Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26759 del 09/03/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 26759 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: CERVADORO MIRELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BARDELLINO SILVIO GIUSEPPE N. IL 02/11/1973
PAGLIUCA RAFFAELE N. IL 14/03/1970
avverso la sentenza n. 3010/2013 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
29/10/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/03/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MIRELLA CERVADORO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso pe

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 09/03/2015

Udita la requisitoria del sostituto procuratore generale, nella persona del dr.ssa
Giuseppina Fodaroni, il quale ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato
inammissibile.

Udito il difensore di fiducia di Bardellino Silvio Giuseppe, avv. Alfonso Baldascino,
che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Udito il difensore di Pagliuca Raffaele, avv.Riccardo La Ferla, che ha concluso per
raccoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 29.10.2013, la Corte d’Appello di Firenze confermava
la decisione di primo grado che, esclusa l’aggravante di cui all’art.628 co.3 n.1
c.p. e concessa la diminuente prevista per il rito, aveva condannato
Bardellino Silvio Giuseppe alla pena di anni sei mesi nove di reclusione e e
Pagliuca Raffaele alla pena di anni quattro mesi tre di reclusione per i reati di
estorsione aggravata e di sostituzione di persona avvinti nel vincolo della
continuazione.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato Bardellino Silvio
Giuseppe deducendo la nullità della sentenza per violazione ed erronea
applicazione di legge con riferimento agli artt.629 e 393 c.p., 7 d.l. 152/1991,
494 c.p. e illogicità della motivazione ex art.606 lett.b ed e c.p.p. L’imputato
ha agito in nome e per conto di chi intendeva recuperare un credito legittimo,
non vi è stata alcuna violenza o minaccia, come dichiarato dagli stessi Tozzi
ai quali non è derivato alcun danno, in quanto i 500,00 euro furono versati
dal Ricciardelli perché decurtati dalla somma di 17.000,00 euro oggetto
dell’intervenuta transazione. I Tozzi si sono decisi a raggiungere un accordo,
non perché indotti dalle particolari espressioni usate dagli intermediari, né
perché li abbiano ricollegati ad una organizzazione mafiosa, ma soltanto
perché hanno ritenuto di porre fine alla controversia con Ricciarelli Giuseppe
1

mediante un accordo e l’accordo si appalesava vantaggioso. E’ poi
indifferente che il ricorrente si sia presentato con il proprio o con altrui nome;
egli si è presentato con il coimputato a nome di Ricciarelli Giuseppe, e i Tozzi
non sono stati indotti in errore sulla provenienza dei mediatori, né
sull’oggetto della loro visita.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato Pagliuca Raffaele,
deducendo la mancanza e manifesta illogicità della motivazione ai sensi

dell’art.606 lett.e) c.p.p ed erronea applicazione della legge penale in
relazione al reato di estorsione ai sensi dell’art.606 lett.b) c.p.p. La Corte
d’Appello ha infatti omesso di motivare circa la sussistenza degli elementi
essenziali e caratterizzanti il reato contestato, nonché in relazione
all’attendibilità delle dichiarazioni delle parti offese.
Chiedono pertanto entrambi l’annullamento della sentenza.

Motivi della decisione

1.1 motivi dei due ricorsi sono in parte analoghi, nella parte in cui

contestano la sussistenza degli elementi fondanti il reato di estorsione e
l’attendibilità delle dichiarazioni delle persone offese, e pertanto possono
essere esaminati congiuntamente.
2.La ricostruzione dei fatti è stata operata, dai giudici di merito, nel
rispetto delle risultanze processuali e in modo logico e coerente; nessuna
censura, e tanto meno nessuna diversa ricostruzione inidonea a contrastare
come illogica la limpida conclusione della sentenza, può essere quindi
accolta in questa sede di legittimità.
3.In relazione al reato di estorsione, e con riferimento alla posizione che
assume l’intermediario, rammenta il Collegio che, secondo la giurisprudenza
di questa Corte, l’intermediario fra gli estorsori e la vittima, anche se per
incarico di quest’ultima, non risponde del concorso nel reato solo se agisce
nell’esclusivo interesse della persona offesa e per motivi di solidarietà
umana, dovendosi altrimenti ritenere che la sua opera contribuisce alla
pressione morale e alla coazione psicologica nei confronti della vittima e
2

quindi conferisce un apporto causativo all’evento delittuoso (cfr. da ultimo
Sez.II, Sent. n. 2833/2012 Rv. 254298; Sez.II, Sent. n. 26837/2008 Rv. 240701).
Tenendo presente tale criterio interpretativo, avuto riguardo alla
ricostruzione del fatto, e segnatamente alla palese finalizzazione della
condotta di coazione al profitto (chiaramente sussistente per la Airone, ma
anche per gli imputati in relazione alla ricezione della somma di cinquecento
euro per la mediazione, somma tra gli stessi divisa), la Corte territoriale ha

correttamente qualificato i fatti come estorsione, evidenziando sia la
mancanza di un diritto attuale da tutelare da parte della società amministrata
dal Ricciarelli (non essendovi la minima prova dell’esistenza di un credito
azionabile che tra l’altro avrebbe dovuto essere esercitato nel confronti della
società debitrice, e non di terzi quali i Tozzi v.pag.6 della sentenza
impugnata; ed essendo entrambi gli imputati soggetti estranei al presunto
rapporto creditorio), sia l’ingiustizia del profitto e la minaccia, rilevando a tal
fine e, in conformità all’insegnamento di questa Corte, che la minaccia può
assumere forme molteplici (e non necessariamente violente), e quindi ben
può essere, come nel caso di specie, sia esplicita (e determinata) che larvata (e
indeterminata), giacchè ciò che rileva, al di là delle forme esteriori della
condotta, è il proposito perseguito dal soggetto agente, e la coartazione della
libertà di autodeterminazione del soggetto passivo, come emerge
chiaramente dalla circostanza che i Tozzi tornarono sui loro propositi
cedendo alle richieste di Bardellino e Pagliuca, perché intimoriti dalle
minacce espresse da costoro, presentatisi come appartenenti a un gruppo
mafioso, il clan Bardellino. Il racconto della parte offesa Giulio Tozzi era poi
lineare e riscontrato da altri testi (Salvatore Nista e Marino Tozzi); e l’accordo
transattivo fu effetto di costrizione, provocata appunto dalle minacce
ricevute, che cagionarono un forte timore nel Tozzi, costringendolo a mutare
l’atteggiamento iniziale – dettato da un immediato impulso di rabbia – di
completo rifiuto di transigere alcunché, non per convenienza bensì per paura
di ritorsioni (v.pagg.2 e 5 della sentenza impugnata).
4. La Corte d’Appello ha fornito adeguata motivazione delle ragioni/(‘
per le quali ha ritenuto sussistente la contestata aggravante di cui all’art.7
3

1.203/91, evidenziando in conformità con la giurisprudenza di questa Corte
(v., di recente, Cass.Sez.I, sent.n.14193/ 2010, Riv.246841) che la suddetta
aggravante è configurabile nel caso in cui l’imputato utilizzi come tecnica di
intimidazione il riferimento a consorterie criminali. Nella fattispecie, gli
imputati hanno fatto esplicito riferimento all’intervento di “un plotone”,
all’appartenenza al noto clan Bardellino, alla provenienza stessa degli
imputati da zone della sono Campania in cui sono particolarmente attive

associazioni criminali di tipo mafioso-camorristico, nonché alla conoscenza
con Giovanni Potenza che Giulio Tozzi conosceva di fama come persona “di
rispetto”.
5. Lo stesso dicasi per il delitto di cui all’art. 494 c.p., in relazione al
quale correttamente la Corte di appello ha evidenziato la circostanza che
entrambi gli imputati interrogati sulle ragioni per le quali, nel presentarsi ai
Tozzi si erano attribuiti i falsi nomi di Nicola e Stefano, si erano limitati ad
affermare che lo avevano fatto perché avevano paura, aggiungendo poi il
Pagliuca (che della vicenda ha assunto l’iniziativa) che aveva paura perché
//

aveva fatto una , ma in senso buono” (v.pag.6 della sentenza

impugnata), e quindi la finalità di sviare da se stessi le eventuali indagini
delle persone offese prima e degli inquirenti poi.
Come è noto, integra il delitto di sostituzione di persona qualsiasi
condotta ingannevole tesa a far attribuire all’agente, da parte del soggetto
passivo, un falso nome o un falso stato o false qualità personali cui la legge
attribuisce specifici effetti giuridici, richiedendosi, sotto il profilo
dell’elemento soggettivo del reato, il dolo specifico, consistente nel fine di
procurare a sè o ad altri un vantaggio patrimoniale o non patrimoniale o
anche di recare ad altri un danno (cfr. Cass., sez.V, sent.n. 13296/2013, rv.
255344; sez.VI, sent.n. 4394/2014, rv. 258281). Orbene appare indubitabile che
con la loro condotta entrambi gli imputati, consapevoli dell’attività
intimidatrice che stavano per compiere per risolvere al Ricciarelli il problema
con la ditta Tozzi, abbiano agito allo scopo specifico di trarre in inganno la
persona offesa, sulle loro esatte generalità.

4

Il vantaggio avuto di mira, peraltro, non deve avere necessariamente un
contenuto patrimoniale, potendo invece consistere in qualunque altra utilità
che l’agente si proponga di trarre dalla falsa attribuzione: nel caso specifico
evitare o rendere comunque difficoltosa la loro identificazione in caso di
denuncia.
I ricorsi, in quanto privi di fondamento, vanno pertanto rigettati.

rigetta i ricorsi, gli imputati che li hanno proposti devono essere condannati
al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese proce suali.
iberato, il 9.3.2015.
liere estensore
Cerva o

Il ‘rs dente
s sosito
Ant

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che

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