Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26756 del 16/06/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 26756 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
– MORBIOLO FRANCO, n. 22/02/1955 a Cavarzere

avverso la sentenza del GUP del tribunale di VENEZIA in data 16/10/2014;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. G. Izzo, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, con le
ulteriori statuizioni di legge;

Data Udienza: 16/06/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 16/10/2014, depositata in data 7/11/2014, il
GUP del tribunale di VENEZIA applicava ex art. 444 cod. proc. pen., sull’accordo
delle parti, al ricorrente MORBIOLO FRANCO la pena condizionalmente sospesa di
1 anno e 6 mesi di reclusione, con il concorso dì attenuanti generiche e unificati i
reati sotto il vincolo della continuazione e ridotta ulteriormente la pena per la

della rubrica, relativi a violazioni della legge n. 195 del 1974 (i primi tre) e del d.
Igs. n. 74 del 2000 (i restanti capi di imputazione).

2.

Ha proposto personalmente ricorso MORBIOLO FRANCO, impugnando la

sentenza predetta con cui deduce due motivi, di seguito enunciati nei limiti
strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), cod. proc.
pen., sotto il profilo della violazione degli artt. 129 e 444 cod. proc. pen. e degli
artt. 8, commi 1 e 2, comma 1, del d. Igs. n. 74 del 2000, in relazione ai fatti
contestati ai capi 15) e 19) della rubrica
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza per aver il giudice ratificato
l’accordo anziché prosciogliere per difetto dell’elemento psicologico il ricorrente;
quest’ultimo, in particolare, premesso che i capi di imputazione predetti
riguardano fatti riconducibili al c.d. meccanismo del costi passati e condividendo
la scelta del GUP di ritenerli avvinti dal vincolo della continuazione, contesta la
sussistenza dell’elemento soggettivo richiesto per la configurabilità dei reati
ascritti (artt. 2 ed 8, d. Igs. n. 74 del 2000), costituito dal dolo specifico,
sostenendo che la finalità sottesa alle operazioni contestate non fosse quella
prevista dalla legge, essendosi provata l’assenza di vantaggi fiscali per il
CO.VE.CO . derivanti dall’utilizzazione delle fatture emesse per operazioni
inesistenti; ciò sarebbe confermato, secondo l’assunto del ricorrente, anche
dall’ordinanza emessa dal tribunale del riesame di Venezia in data 27/06/2014.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), cod. proc.
pen., sotto il profilo della violazione degli artt. 129 e 444 cod. proc. pen. e degli
artt. 8, commi 1 e 2, comma 1, del d. Igs. n. 74 del 2000, in relazione ai fatti
contestati ai capi 21) e 24) della rubrica
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza per aver il giudice ratificato
l’accordo anziché prosciogliere per difetto dell’elemento psicologico il ricorrente;
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diminuente del rito, per i reati di cui ai capi 11a), 12a), 13a), 15), 19), 21) e 24)

quest’ultimo, in particolare, premesso il contenuto delle imputazioni (consistente
nell’aver affermato la sussistenza di un meccanismo in base al quale il
CO.VE.CO . aveva ricevuto somme di denaro dalla Coop. San Martino, nei cui
confronti erano state emesse fatture per operazioni inesistenti, per poi girarle a
tale dott. Ruscitti in forza di un contratto di collaborazione a progetto stipulato
con quest’ultimo), sostiene che gli ipotetici vantaggi fiscali derivati al CO.VE.CO .
dall’utilizzazione del predetto contratto, sarebbero stati azzerati dai pregiudizi

allo scopo di creare i necessari fondi, donde l’assenza di qualsiasi finalità di
evasione/elusione fiscale e l’assenza dell’elemento soggettivo che avrebbe
dovuto condurre al proscioglimento per difetto di dolo.

3. Con requisitoria scritta depositata presso la Cancelleria di questa Corte in data
2/04/2015, il P.G. ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, osservando
come, con il ricorso, la parte intenda porre in discussione il fatto per il quale è
intervenuta implicita ammissione, ciò che ha esentato il giudice dall’accertare la
responsabilità, non soddisfacendo il ricorso nemmeno l’esistenza di specificità
“rafforzata” delle censure che deve assistere la critica ad un patteggiamento
ratificante l’accordo tra le parti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.

5. Premessa la necessità di un esame congiunto di ambedue i motivi di ricorso
che, attesa l’omogeneità dei profili di doglianza mossi (sostanzialmente rivolti a
censurare la valutazione del GIP che avrebbe dovuto prosciogliere, nell’ottica del
ricorrente, per difetto dell’elemento psicologico dei solo reati tributari, non
investendo le censure le residue imputazioni), possono essere valutati
unitariamente,

osserva il Collegio come le deduzioni del ricorrente siano, in

estrema sintesi, rivolte a contestare la sentenza su basi del tutto generiche e, in
ogni caso, attraverso argomentazioni fattuali.
Deve, anzitutto, rilevarsi che nell’ipotesi di impugnazione di una decisione
assunta in conformità alla richiesta formulata dalla parte, secondo lo schema
procedimentale previsto dagli artt. 444 e seguenti cod. proc. pen., l’esigenza di
specificità del discorso giustificativo della ragione di impugnazione deve ritenersi
più pregnante rispetto ad ipotesi di diversa conclusione del giudizio, dato che la
censura sul provvedimento che abbia accolto la richiesta dell’impugnante deve
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fiscali conseguenti alle fatture emesse nei confronti della predetta cooperativa,

impegnarsi a demolire, prima di tutto, proprio quanto richiesto dalla stessa
parte; e ciò anche a scongiurare il pericolo di scarsa serietà e correttezza nella
gestione del processo (v., per tutte: Sez. U, n. 11493 del 24/06/1998 – dep.
03/11/1998, Verga, Rv. 211468).
A ciò va aggiunto il rilievo che, facendo richiesta di applicazione della pena,
l’imputato rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa, o, in altri
termini, non nega la sua responsabilità ed esonera l’accusa dall’onere della

accertamento ed un’affermazione impliciti della responsabilità dell’imputato, e
pertanto l’accertamento della responsabilità non va espressamente motivato,
così come l’affermazione di responsabilità non va espressamente dichiarata.
Trattandosi, dunque, di sentenza che trova il suo fondamento nella concorde
volontà delle parti (la quale diviene oggetto di determinazione da parte del
giudice) e che, se pure affermativa di responsabilità, lo è sulla base di un
accertamento solo implicito, essa non è una vera e propria sentenza di condanna
(v., per tutte: Sez. U, n. 5777 del 27/03/1992 – dep. 15/05/1992, Di Benedetto,
Rv. 191134; v. anche Corte Cost., sent. n. 251 del 6 giugno 1991; sent. n. 313
del 2 luglio 1990).
Sotto tale profilo, è ben vero che l’obbligo della motivazione, imposto al giudice
dagli artt. 111 Cost. e 125, comma terzo, cod. proc. pen. per tutte le sentenze,
opera anche rispetto a quelle di applicazione della pena su richiesta delle parti.
Tuttavia, in tal caso, esso non può non essere conformato alla particolare natura
giuridica della sentenza di patteggiamento, rispetto alla quale, pur non potendo
ridursi il compito del giudice a una funzione di semplice presa d’atto del patto
concluso tra le parti, lo sviluppo delle linee argomentative della decisione è
necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato
dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione. Ne
consegue che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui
all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da una specifica
motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti
emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non
punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una
motivazione consistente nell’enunciazione – anche implicita – che è stata
compiuta la verifica richiesta dalle leggi e che non ricorrono le condizioni per la
pronuncia di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. (per tutte: Sez. U, n.
10372 del 27/09/1995 – dep. 18/10/1995, Serafino, Rv. 202270).

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prova; la sentenza che accoglie la detta richiesta contiene, quindi, un

6. Tanto premesso sulla natura della sentenza di applicazione della pena e sul
perimetro cognitivo e motivazionale del giudice, nel caso in esame, il ricorrente
si limita, come illustrato, a contestare la sentenza asserendo il difetto
dell’elemento psicologico dei reati di cui ai predetti capi (15, 19, 21 e 24).
I motivi, come detto, sono privi di pregio, atteso che è pacifico nella
giurisprudenza di questa Corte che è inammissibile il ricorso per cassazione per

quello materiale del reato (o dei reati) da parte dell’imputato a seguito di
patteggiamento della pena. In tal caso deve ritenersi che l’imputato abbia
rinunciato ad avvalersi di contestare l’accusa ovvero non abbia negato
sostanzialmente la propria responsabilità (giurisprudenza costante: Sez. 1, n. 15
del 10/01/1992 – dep. 10/03/1992, Menani, Rv. 190845; Sez. 3, n. 11610 del
24/11/1993 – dep. 18/12/1993, Bognanni, Rv. 195905), posto che, come già
anticipato, il giudice non è tenuto ad accertare in modo approfondito la concreta
sussistenza degli elementi dei reati contestati sia sotto il profilo materiale sia
psicologico, essendo sufficiente che sulla base degli atti appaia in modo evidente
che non ricorrano gli estremi per la pronuncia di una sentenza di proscioglimento
ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., proprio perché deve ritenersi che l’imputato
abbia implicitamente ammesso la propria responsabilità, rinunciando in tal modo
ad avvalersi del diritto di contestare l’accusa (Sez. 1, n. 2228 del 13/05/1994 dep. 07/07/1994, Dellegrottaglie, Rv. 198419).
Nella specie, il giudice, in ben nove pagine di motivazione, dopo aver ricostruito i
fatti sulla base degli elementi probatori acquisiti in fase di indagini preliminari, ha
ritenuto accertati i fatti oggetto di contestazione, escludendo la sussistenza delle
condizioni per il proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen.
Ciò è sufficiente, non essendo state sollevate censure né sulla congruità della
pena, né sugli elementi di calcolo della stessa né sulle statuizioni accessorie, per
ritenere assolto l’onere motivazionale e del tutto insussistenti i denunciati vizi di
violazione di legge.

7. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile. Segue, a norma dell’articolo
616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della
Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che si stima
equo fissare, in euro 1500,00 (mille/500).

P.Q.M.

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difetto di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico e di

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di C 1.500,00 in favore della Cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 16/06/2015

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