Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26753 del 16/06/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 26753 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

Sui ricorsi proposti da:
– RONCI ANTONIO, n. 29/08/1964 a Cisterna di Latina
– CESARANO GIUSEPPINA, n. 8/07/1966 a Cisterna di Latina

avverso l’ordinanza del tribunale del riesame di LATINA in data 8/04/2014;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. A. Cardino, che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi;
udite, per i ricorrenti, le conclusioni dell’Avv. L. Giudetti, che ha chiesto
accogliersi i ricorsi;

Data Udienza: 16/06/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 8/04/2014, depositata in pari data, il tribunale
del riesame di LATINA respingeva l’appello cautelare proposto nell’interesse di
RONCI ANTONIO e CESARANO GIUSEPPINA avverso l’ordinanza del tribunale
monocratico di Latina, sez. dist. TERRACINA, che aveva rigettato la richiesta di

realizzata in totale difformità dal p.d.c., in zona paesaggisticamente vincolata e
in violazione della normativa antisismica, in quanto imputati dei reati di cui agli
artt. 44, lett. c), 71 e 95, d.P.R. n. 380 del 2001 e 181, d. Igs. n. 42 del 2004.

2. Hanno proposto ricorso RONCI ANTONIO e CESARANO GIUSEPPINA a mezzo
del difensore fiduciario cassazionista, impugnando la ordinanza predetta con cui
deduce un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari
per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con tale motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. c), cod. proc. pen.,
sotto il profilo della violazione dell’art. 321, comma terzo, cod. proc. pen.
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza che ha rigettato l’istanza di
revoca del sequestro preventivo fondata sull’affermazione dell’avvenuta
eliminazione delle difformità riscontrate sull’opera in sequestro rispetto al
progetto approvato; i ricorrenti evidenziano che il precedente 29/11/2011 lo
stesso tribunale del riesame aveva autorizzato i medesimi ad eliminare le
difformità del manufatto in sequestro riscontrate rispetto al progetto assentito,
fermo restando il sequestro; una volta eseguiti I lavori, la difesa aveva fato
richiesta per la restituzione della costruzione, ma il tribunale monocratico aveva
respinto l’istanza richiamando un proprio precedente provvedimento del
13/02/2013, pervenendo ad identiche conclusioni sulla scorta id una nota del
Comune che aveva ribadito il giudizio di difformità tra l’opera eseguita ed il
p.d.c. precedentemente rilasciato (l’opera risultava “specchiata”, ovvero ruotata
di 180 gradi rispetto al posizionamento indicato nel progetto; era stato realizzato
un consistente riporto di terreno intorno al fabbricato, risultavano mutati
conseguentemente, i profili altimetrici trasversali e longitudinali); diversamente,
si sostiene in ricorso, il tribunale del riesame, con motivazione illogica e
processualmente insostenibile, avrebbe ritenuto che proprio compito sarebbe
quello di verificare la difformità delle opere attualmente esistenti, non già
rispetto al capo di imputazione, bensì rispetto al p.d.c. assentito; si tratterebbe
di affermazione, dunque, palesemente illogica ed infondata, in quanto la
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revoca del sequestro preventivo avente ad oggetto una costruzione abusiva

contestazione principale mossa nell’imputazione verteva su difformità diverse
(realizzazione fuori terra del piano interrato; presenza di porte e finestre su tutti
lati, in assenza dell’intercapedine, con conseguente aumento volumetrico; il
primo piano presentava un aumento volumetrico conseguente ad un errato
posizionamento dei pilastri); il tribunale del riesame, dunque, nel pretendere di
verificare l’avvenuta eliminazione delle difformità non già contestate
originariamente nel decreto di sequestro, ma rispetto al p.d.c. assentito, si

infine, si aggiunge, così decidendo, lo stesso tribunale del riesame avrebbe
contraddetto il proprio precedente provvedimento con cui si autorizzavano i
ricorrenti ad eliminare le difformità del manufatto sequestrato, riscontrate
rispetto al progetto assentito, così manifestando la sua illogicità.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. I ricorsi sono infondati.

4.

È quasi superfluo rammentare che il ricorso per cassazione contro le

ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso
solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli
“errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così
radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del
provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza,
completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile
l’itinerario logico seguito dal giudice (così, Sez. U, n. 25932 del 26 giugno 2008,
Ivanov, Rv. 239692; in precedenza, con la sentenza Sez. U, n. 5876 del 13
febbraio 2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710, è stato precisato
che mentre rientra nel sindacato di legittimità la mancanza di motivazione o la
presenza di una motivazione meramente apparente, non vi rientra la sua
eventuale illogicità manifesta).

5. Non possono pertanto essere censurati in questa sede presunti vizi di illogicità
della motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento alle circostanze di
fatto, quale quella relativa agli argomenti esposti dal tribunale del riesame in
relazione alla “nuove” difformità oggetto di accertamento da parte del personale
del Comune in sede di verifica della conformità dei lavori eseguiti rispetto al
progetto assentito. Infatti, benché la doglianza concerne la motivazione
dell’impugnata ordinanza (che fa riferimento ad elementi fattuali che i ricorrenti
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sarebbe attribuito un potere non corrispondente a quello attribuitogli dalla legge;

asseriscono essere rispondenti a quanto affermato dal personale di vigilanza,
non contestandone la veridicità ma solo prospettando trattarsi di difformità
nuove e diverse rispetto a quelle indicate nell’originaria imputazione che ha
legittimato il sequestro preventivo), nella sostanza il motivo si risolve nel
dissenso dei ricorrenti rispetto al risultato della valutazione di tali elementi
fattuali da parte del tribunale del riesame, operazione inibita in questa sede di

e, quindi, inesistente soltanto quando la stessa risulti completamente avulsa
dalle risultanze processuali “ovvero si avvalga di argomentazioni di puro genere
o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa”, per
cui il ragionamento che il giudice ha posto a base della decisione adottata risulti
meramente fittizio e perciò sostanzialmente inesistente (cfr. Sez. 5, n.24862 del
19/5/2010, dep. 1/7/2010, Mastrogiovanni, Rv. 247682).
Di contro, nel caso di specie l’ordinanza impugnata risulta immune da censure, in
quanto ha esaustivamente motivato le ragioni del rigetto del gravame proposto,
chiarendo le ragioni per le quali – pur nella sommarietà della delibazione
dell’incidente cautelare svolto – ha ritenuto (in assenza di censure sul

fumus

delicti o sul periculum) che occorresse avere riguardo alle difformità rilevate
rispetto all’originario p.d.c. assentito, alla luce delle quali ha ritenuto che i lavori
di ripristino autorizzati, volti proprio alla loro eliminazione, non avessero ottenuto
il risultato di rendere l’opera sequestrata conforme all’originario progetto.

6. Piuttosto, osserva il Collegio, esclusa la censurabilità in sede di legittimità ex
art. 325 cod. proc. pen. di vizi motivazionali comunque determinati, l’unico
profilo di diritto che investe l’impugnata ordinanza riguarda l’affermazione
contenuta nel provvedimento impugnato secondo cui il tribunale del riesame, in
tale fase incidentale, deve limitarsi a verificare che rimangano intatte le ragioni
poste a fondamento dell’originario provvedimento ablativo, non venute meno in
seguito ai lavori di ripristino effettuati; in altri termini, come si legge
nell’ordinanza impugnata, il tribunale ritiene che eventuali diversità afferenti alle
difformità attualmente riscontrate nelle opere edilizie sequestrate, rispetto a
quelle indicate nel capo di imputazione e nell’originario decreto di sequestro,
involgono unicamente la contestazione nel merito del procedimento e non la
possibilità di revoca del medesimo in tale sede, nella quale è necessario
verificare la difformità delle opere attualmente esistenti non rispetto al capo di
imputazione, ma rispetto al p.d.c. assentito, con la conseguenza che, essendo le
censure afferenti al merito del processo, le stesse dovrebbe essere oggetto di
approfondimento in sede dibattimentale.
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legittimità. Infatti, la giurisprudenza ha stabilito che si ha motivazione apparente

7. Occorre, sul punto, rilevare, trattandosi di appello cautelare, opera il principio
tantum devolutum quantum appellatum, per cui i motivi che la parte espone a
sostegno della sua istanza di impugnazione determinano l’oggetto del giudizio,
circoscrivendo la cognizione del Tribunale della libertà ai punti della decisione
che hanno formato oggetto di censura (Sez. 2, n. 7225 del 21/12/2006 – dep.
21/02/2007, Liquidato e altri, Rv. 235935; Sez. 6, n. 20530 del 28/03/2003 dep. 08/05/2003, Sabatelli, Rv. 224934; Sez. 4, n. 2038 del 27/08/1996 – dep.

20/04/1996, Piserchia, Rv. 204409), pur non essendo la cognizione del giudice
d’appello cautelare, condizionata dalle deduzioni in fatto e dalle argomentazioni
in diritto poste a base della decisione impugnata (Sez. 3, n. 28253 del
09/06/2010 – dep. 20/07/2010, B., Rv. 248135).
Nel caso di specie, l’oggetto dell’impugnazione era costituito dal provvedimento
del tribunale monocratico che, a seguito della presentazione dell’istanza di
revoca del sequestro conseguente all’esecuzione di alcuni lavori di ripristino,
aveva rigettato il 10/01/2014 l’istanza fondandola sulla richiamata nota del
Comune che rilevava le “nuove” difformità; in sede di appello cautelare i
ricorrenti sostenevano che il rigetto non poteva fondarsi su tali nuove difformità,
in quanto diverse da quelle indicate nel decreto di sequestro, in quanto afferendo
a nuovi rilievi di illegittimità dell’opera, ciò avrebbe dovuto formare oggetto di un
nuovo sequestro, essendo comunque difformità irrilevanti sotto il profilo
urbanistico.

8. In tema di riesame dei decreti di sequestro preventivo, non è ipotizzabile una
“piena cognitio” del tribunale della libertà, cui è conferita esclusivamente la
cognizione in ordine alla legittimità dell’esercizio della funzione attribuita alla
misura coercitiva

reale e, quindi, al perseguimento degli obiettivi

endoprocessuali che sono propri delle cautele reali, con l’assenza di ogni potere
conoscitivo circa il fondamento dell’accusa, un potere riservato al giudice del
procedimento principale. E ciò perché, in caso contrario, verrebbe
surrettiziamente utilizzata la procedura incidentale – implicante una

“cognitio

piena” sulle modalità di esercizio di un potere strumentale – in un preventivo
accertamento del “meritum causae”, così determinando una non consentita
preventiva verifica della fondatezza dell’accusa il cui oggetto finirebbe per
compromettere la rigida attribuzione di competenze nell’ambito di uno stesso
procedimento; per di più in un sistema in cui alla potenziale conflittualità dei
“decisa” non corrisponde un criterio in grado di comporre le conseguenti
inevitabili antinomie.
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02/09/1996, Gerotti, Rv. 206294; Sez. 1, n. 1596 del 12/03/1996 – dep.

Ma, osserva il Collegio, se un tale potere non può essere attribuito al giudice del
riesame – e, quindi, pure in sede di sindacato di legittimità – quando si contesti la
sussistenza dei presupposti di fatto dell’imputazione per farne derivare
conseguenze solo indirettamente legate alla cautela su cui in via esclusiva deve
incentrarsi il controllo del giudice del procedimento incidentale, perché aventi
come effettivo oggetto la procedura principale, un simile controllo non può

l’utilizzazione della cautela sia così difforme dall’ipotesi di reato astrattamente
ipotizzata da incidere, deviandola, sulla stessa funzione della misura. Ne
consegue che l’unico potere che sul “meritum causa& il giudice del riesame è
abilitato ad esercitare si riferisce al raffronto tra fattispecie astratta (legale) e
fattispecie concreta (reale), così da imporre il suo potere demolitorio nei soli casi
in cui tale difformità sia rilevabile “ictu ocull” e da impedire alla misura di
perseguire il suo fine tipico mai in grado comunque di essere realizzato, proprio
per essere risultata impossibile, anche in ipotesi, ed indipendentemente dalla
natura “rebus sic stantibus” della verifica, quanto addebitato all’inquisito.
Di conseguenza, solo nel caso in cui la configurabilità del reato appaia
manifestamente impossibile il giudice del riesame è tenuto a revocare la misura
(v., in termini: Sez. 6, n. 316 del 04/02/1993 – dep. 07/04/1993, Francesconi,
Rv. 193854).
Nel caso di specie, correttamente il giudice del riesame ha rilevato come la
richiesta di revoca del sequestro non era fondata sulla mancanza del fumus o sul
venir meno del

periculum,

ma solo su una questione – quella relativa

all’esistenza di difformità nuove rispetto a quelle poste alla base dell’originario
sequestro – che non rendevano attualmente illegittimo il mantenimento della
misura cautelare, atteso l’oggettivo contrasto – secondo quanto emergente allo
stato e nella limitata cognitio propria della fase incidentale – tra l’assentito ed il
realizzato, ciò che giustificava il rigetto dell’istanza di revoca che, in base al
disposto dell’art. 321, comma terzo, cod. proc. pen., dev’essere disposta quando
risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità di
cui al comma primo, ciò che, legittima, per converso, il mantenimento della
misura quando, per fatti sopravvenuti, ne permangano le condizioni di
applicabilità. A ciò va aggiunto, peraltro, che nel giudizio di riesame del decreto
di sequestro preventivo, che coinvolge anche il merito del provvedimento
cautelare impugnato, possono e devono essere presi in considerazione elementi
diversi da quelli valutati dal giudice che ha emesso il detto provvedimento,
compresi quelli sopravvenuti (Sez. 4, n. 980 del 13/07/1993 – dep. 10/11/1993,
Tiramani ed altro, Rv. 196189).
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essere sottratto a tale giudice quando l’addebito che ha determinato

Quanto nel resto dedotto, ovviamente, costituisce tipica questione di meritum
causae, in quanto tale sfuggente sia alla cognizione del tribunale del riesame
che, a maggior ragione di questa Corte di legittimità, ferma restando,
ovviamente, ove non sia già intervenuta medio tempore, la eventuale modifica
dell’imputazione da parte del P.M. finalizzata a rendere conforme la realtà

9. I ricorsi vanno, dunque, rigettati. Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la
condanna dì ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 16/06/2015

fattuale con quella giuridica.

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