Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26739 del 05/03/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 26739 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Ritrovato Vincenzo, nato a Polistena il 19-02-1991
avverso la ordinanza del 14-07-2014 del

tribunale della libertà di Reggio

Calabria;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gabriele
Mazzotta che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio;
udito per il ricorrente

Data Udienza: 05/03/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Vincenzo Ritrovato ricorre per cassazione impugnando l’ordinanza indicata
in epigrafe con la quale il tribunale della libertà di Reggio Calabria ha confermato
quella resa dal Gip presso il tribunale della medesima città che aveva disposto la
custodia cautelare in carcere nei confronti del ricorrente per il delitto previsto
dall’articolo 74, commi 1-2-3-4, d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309 e articolo 7 della
legge 12 luglio 1991, n. 203 per aver partecipato ad una organizzazione per

rivendita di sostanza stupefacente del tipo hashish e cocaina che veniva
acquistata soprattutto dal Marocco e dalla Albania ma anche da appartenenti alla
‘ndrina Mancuso di Limbadi e rivenduta in Roma e comune viciniori, essendo
risultato organico al sodalizio per avere promosso e condotto i traffici
unicamente ad Arcangelo Furfaro soprattutto a partire dall’inizio del 2012,
occupandosi del trasferimento delle partite di stupefacente verso la capitale e dal
loro successivo smistamento, facendo riferimento, unitamente a Stefano
Sammarco e Rocco Molè, alla piena disponibilità di armi e, segnatamente, di
pistole e silenziatori, con l’aggravante di avere commesso il reato per favorire la
`ndrina Molé di Gioia Tauro.

2.

Per la cassazione dell’impugnata ordinanza il ricorrente, tramite il

difensore, articola due motivi di gravame, sostenuti anche da memoria, qui
enunciati, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente
necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l’inosservanza della legge
penale e processuale penale nonché vizio di motivazione su punti decisivi per il
giudizio in relazione all’associazione prevista dall’articolo 74 d.p.r. 309 del 1990.
Assume il ricorrente come l’ordinanza impugnata meriti censura sotto il
profilo della carenza ed illogicità della motivazione circa la sussistenza dei gravi
indizi di colpevolezza del reato di partecipazione all’associazione finalizzata al
traffico di stupefacenti.
Sul punto, il ricorrente premette di essere stato accusato di avere promosso
e condotto traffici illeciti a partire dal 2012, occupandosi del trasferimento delle
partite di stupefacente verso la capitale ed del loro successivo smistamento
tant’è che, secondo l’ordinanza impugnata, egli sarebbe subentrato dall’inizio del
2012 ad altri sodali inserendosi nella fase intermedia della catena di distribuzione
dello stupefacente con il compito di tenere la contabilità delle transazioni e dei
rapporti di dare-avere, cosicché la sua piena attività nel sodalizio sarebbe
dimostrata dal fatto di aver supportato Arcangelo Furfaro nel trasporto di
stupefacenti e la sua consapevolezza circa i traffici illeciti emergerebbe

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delinquere finalizzata al sistematico ed illecito acquisto, detenzione, trasporto,

dall’interessamento alla cessione di 1 kg di droga (il 14 gennaio), alla
collocazione di 2 pezzi di fumo (il 18 gennaio) e alla cessione del rimanente stock
di hashish (il 20 gennaio).
Tuttavia l’attività di supporto a vantaggio del Furfaro contestata al ricorrente
(al capo T della rubrica) è stata esclusa dal giudice per le indagini preliminari, il
quale non ha ravvisato nella specie la gravità indiziaria.
Ne consegue che, nel breve periodo in cui il ricorrente è stato coinvolto
nell’indagine, nulla di specifico è stato rinvenuto nei suoi confronti sicché

quanto gli elementi desunti dalle intercettazioni telefoniche sarebbero del tutto
sganciati da qualsiasi contributo materiale offerto dal ricorrente alla realizzazione
delle condotte che, nei casi riferiti ai dialoghi intercettati e se costituenti reato,
non sono state nemmeno contestate al ricorrente.
Il contributo partecipativo sarebbe stato poi desunto su base puramente
ipotetica posto che l’ordinanza cautelare e quella del tribunale del riesame non si
sono misurate con le precise risultanze documentali, le quali attestano come
l’indagine si sia protratta ben al di là della parentesi di 22 giorni in cui si è
registrata la presenza in Roma del ricorrente e, in particolare, con le risultanze
investigative sulla operatività del gruppo insediato nell’appartamento romano
con il compito di curare la fase intermedia della catena di distribuzione dello
stupefacente.
Si rileva come le intercettazioni ambientali eseguite nel suddetto
appartamento si siano protratte fino all’aprile 2012 e come le attività di
monitoraggio delle utenze di ciascuno degli indagati ritenuti inseriti nel gruppo
operante a Roma si sia estesa fino al 2014 (nel corso dell’udienza camerale la
difesa per facilitarne la consultazione aveva prodotto la documentazione relativa
a tali attività investigative). Ne consegue che il tribunale cautelare avrebbe
dovuto spiegare, a fronte della specifica deduzione difensiva, la ragione per la
quale non ha ritenuto attendibile, ignorandola, la versione fornita dall’indagato in
sede di interrogatorio di garanzia che aveva riferito di conoscere “Yuppi” ed altri
giovani (il minore Rocco Molè) che si erano avvicendati nella casa di via Latina, a
Roma, dove era stato invitato a fermarsi per un breve periodo da Baba Khalyi.
Egli aveva riconosciuto di aver partecipato ai dialoghi che si svolgevano
all’interno dell’abitazione ma aveva anche precisato che il rientro a Gioia Tauro,
verso la fine di gennaio, aveva segnato l’interruzione di tutti i rapporti con il
Yuppi, Rocco Molè e Stefano Samnnarco. La ricostruzione dell’indagato, proprio
collimante con il pacifico dato dal monitoraggio limitato al breve periodo di
permanenza in Roma, non poteva essere ignorata nella prospettiva dell’indagine
sulla qualità delle relazioni intercorrenti con i presunti appartenenti al gruppo
criminale. In altri termini, la dedotta carenza più significativa tra i

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facta

l’ordinanza impugnata sarebbe, sotto tale aspetto, manifestamente illogica in

concludentia dell’esistenza del vincolo associativo, quello della continuità ed
intensità dei rapporti, avrebbe imposto un rilevante impegno giustificativo che i
giudici del merito hanno del tutto rinunciato ad ottemperare.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’inosservanza della legge
penale e processuale penale nonché vizio di motivazione (articolo 606, comma 1,
lettere b), c) ed e), codice di procedura penale).
Sostiene il ricorrente che la motivazione sarebbe del tutto elusiva sul tema
della stabilità del vincolo segnando ed introducendo una ulteriore grave carenza

Il tribunale del riesame avrebbe derogato del tutto al dovere di valutare il
duplice elemento della coscienza e della volontà del singolo di partecipare al
sodalizio criminoso. I Giudici cautelari avrebbero dovuto dare invece puntuale
dimostrazione dell’affectio societatis e cioè dimostrare l’esistenza della peculiare
cifra psicologica che connota il rapporto dell’associato con l’organismo di
appartenenza e che caratterizza l’inserimento stabile del soggetto inquisito nel
gruppo criminoso, in quanto la dimostrazione del dolo di partecipazione richiede
la valorizzazione di elementi altamente significativi non solo della consapevolezza
dell’attività illecita svolta dai componenti del gruppo ma anche della volontà di
fornire in via duratura un apporto all’indeterminato programma di delinquenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato per quanto di ragione nei limiti e sulla base delle
considerazioni che seguono.
I motivi di gravame, in quanto connessi, possono essere congiuntamente
esaminati.

2. Secondo il tribunale cautelare la partecipazione del ricorrente al reato
associativo è emersa sulla base di alcune intercettazioni ambientali captate nel
mese di gennaio 2012 (all’incirca dal 12 al 29 gennaio), le quali delineano il
contributo offerto dal ricorrente nella conduzione dei traffici delle sostanze
stupefacenti, per essersi egli reso disponibile al trasferimento delle partite di
droga verso Roma ed del loro successivo smistamento. Perciò il contributo
offerto dal ricorrente si inserisce, nell’ottica accusatoria recepita nell’ordinanza
impugnata, nella fase intermedia della catena di distribuzione dello stupefacente
ed il suo compito era quello di provvedere a tenere la contabilità delle transazioni
e dei rapporti di dare-avere con i vari distributori che dai Mole erano riforniti.
La sua operatività, al di là del breve periodo in cui è stata monitorata, è
dimostrata anche dall’essersi messo a disposizione per fare da autista al Furfaro
(organico alla indrina Mole) e quindi dall’essere stato chiamato a rispondere agli
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del provvedimento impugnato.

ordini impartiti da un livello gerarchico sopraelevato e nel contesto della
pianificazione e realizzazione delle illecite cessione di ingenti quantitativi di
sostanza stupefacente.
Da ciò anche deriva un suo ruolo di piena adesione al sodalizio nonostante
nei suoi confronti non sia stato raggiunto un livello di gravità indiziaria nei
diversi reati fine. La sua capacità operativa e di partecipazione diretta al sodalizio
discende anche dal suo diretto interessamento a considerare l’eventualità della
commissione di rapine per assicurare i proventi illeciti all’organizzazione

dovevano essere assicurati parte dei proventi dell’associazione stessa. Il
ricorrente aveva pertanto una esatta percezione dell’organigramma associativo
ed una diretta conoscenza dei livelli gerarchici della stessa, seguendo le direttive
impostegli ed assicurando al sodalizio investigato la sua attiva operatività in
tema di smistamento e piazzamento dello stupefacente, accumulazione ed
approvvigionamento illecito delle risorse necessarie per il mantenimento in vita e
l’operatività del sodalizio e diretta adesione al programma criminoso investigato
rapportandosi con i vertici del sodalizio, conoscendo la loro caratura ed
utilizzando nelle conversazioni captate il linguaggio criptico impiegato dai sodali
per occultare l’illecita attività criminosa posta in essere.

3. Pur al cospetto di tali significativi elementi, il Collegio cautelare, come
fondatamente lamenta il ricorrente, non ha adeguatamente motivato, pur
essendo stato specificamente investito della questione, in ordine alla sussistenza
del dolo di partecipazione, non essendo sufficientemente comprensibile se la
prova cautelare circa la stabile ed organica partecipazione del ricorrente
all’associazione per delinquere sia stata ritenuta nonostante il breve tempo nel
quale l’attività del ricorrente sia stata monitorata (dandosi per scontato quindi
che solo nel corso del mese di gennaio sia stato fornito il contributo
partecipativo) o nonostante il tempo in cui la stessa si è articolata (ossia anche
oltre il termine in cui la condotta partecipativa è stata monitorata).
Il tribunale del riesame, ritenendo la sussistenza dei gravi indizi di
partecipazione al reato associativo “al di là del breve periodo in cui [il ricorrente,
n.d.r.] è stato monitorato in indagine”,

ha sostanzialmente eluso l’obbligo di

motivazione non avendo spiegato se la messa a disposizione del ricorrente a
favore del Furfaro e/o del Molé si sia risolta in un contributo al singolo associato,
sia pure in posizione apicale, o in un contributo all’associazione nel suo
complesso.
Se il tempo di adesione organica al sodalizio non costituisce un elemento
concludente per stabilire la presenza o meno del requisito della partecipazione
organica ad un’organizzazione criminale, non potendo, a rigore, la partecipazione
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criminosa in vista della scarcerazione imminente del fratello del Molè al quale

stessa essere esclusa dalla maggiore o minore durata cronologica di essa, va
tuttavia considerato che, a fronte di un’asserita (e risultante anche dal testo del
provvedimento impugnato) dismissione del rapporto con tutti i coindagati dalla
fine del gennaio 2012 (pure in costanza di una perdurante attività investigativa),
il tribunale cautelare, per come sono stati ricostruiti i fatti, non poteva esimersi
dal motivare sul punto per confermare gli approdi cui è giunto oppure per
smentirli, anche solo parzialmente, attraverso la configurazione di diverse
fattispecie (di concorso esterno o di favoreggiamento reale aggravato dalla

incidenti sulla vicenda cautelare nel suo complesso.
Da un lato, va infatti tenuto presente che, ai fini della configurabilità del
reato di partecipazione a un’associazione per delinquere comune o di altro tipo,
non è necessario che il vincolo tra il singolo e l’organizzazione si protragga per
una certa durata, ben potendo, al contrario, ravvisarsi il reato anche in una
partecipazione di breve periodo (Sez. 1, n. 31845 del 18/03/2011, D. ed altri,
Rv. 250771) e, dall’altro, va considerato che, per ritenere sussistente la
compartecipazione di un soggetto al delitto di associazione per delinquere,
occorre la dimostrazione chiara e certa della sicura volontà del soggetto di
entrare a far parte, come membro, della associazione per recare un contributo
concreto al raggiungimento dello scopo sociale, all’attuazione, cioè, del
programma di delinquenza per cui l’associazione è stata costituita. Quando,
invece, l’attività criminosa non può essere ricondotta se non alla sussistenza di
un accordo circoscritto alla realizzazione di uno o più delitti nettamente
individuati, la responsabilità penale non può andare oltre i singoli delitti (Sez. 1,
n. 1238 del 18/07/1980,dep. 20/02/1981, Tombolato, Rv. 147656; Sez. 1, n.
1674 del 21/04/1982, dep. 25/02/1983, Calabrò, Rv. 157571).
Ne consegue che, ai fini della sussistenza del dolo di partecipazione, la
consapevolezza da parte dell’agente dell’esistenza di un’organizzazione criminale
(situazione, nella specie, ampiamente sussistente come ha correttamente
motivato sul punto il tribunale cautelare) costituisce fatto concludente per
ritenere la configurazione dell’elemento soggettivo di fattispecie, tuttavia occorre
anche considerare, fatta salva la prova sullo stadio della consumazione, come sia
ammissibile la configurabilità della ipotesi di favoreggiamento reale, anche con
riguardo ad un reato presupposto di carattere permanente, quale è la
partecipazione ad una associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico,
produttiva di beni e proventi illeciti rispetto ai quali l’agente – che non partecipi
all’associazione o concorra esternamente con essa – con la sua condotta può
aiutare il partecipe ad assicurare il prodotto o il profitto (Sez. 6, n. 30873 del
18/06/2014, Luganà, Rv. 260050) ed essendo perciò rilevante stabilire se
l’attività ausiliatrice (nel caso di specie il tribunale cautelare ha dato atto

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finalità mafiosa o di eventuale recesso dall’associazione), fattispecie comunque

dell’intercettazione del 29 gennaio 2012, in base alla quale il ricorrente avrebbe
rivestito anche il ruolo di soggetto lo deputato alla raccolta del denaro provento
di traffici di sostanza stupefacente) sia stata prestata da parte del ricorrente a
favore dell’associazione o di un singolo associato, sia pure in posizione apicale, e
se la durata del contributo prestato o anche solo promesso, anche in relazione
agli altri fatti accertati, faccia propendere per la prima o per la seconda ipotesi.
Si impone pertanto un annullamento della sentenza impugnata con rinvio
per nuovo esame in relazione alla sussistenza in capo al ricorrente del dolo di

stupefacenti ed il tribunale cautelare, riesaminando la questione, terrà conto dei
principi in precedenza espressi.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Reggio Calabria.
Dispone che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore
dell’istituto penitenziario competente, a norma dell’art. 94, comma 1 ter, disp.
att. cod. proc. pen.
Così deciso il 05/03/2015

partecipazione all’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze

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