Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26738 del 05/03/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 26738 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Vitale Andrea, nato a Catania il 05-02-1980
avverso la ordinanza del 29-07-2014 del tribunale della libertà di Catania;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gabriele
Mazzotta che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito per il ricorrente

;

Data Udienza: 05/03/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Andrea Vitale ricorre per cassazione impugnando l’ordinanza indicata in
epigrafe con la quale il tribunale della libertà di Catania ha confermato quella
resa dal Gip presso il tribunale della medesima città che aveva disposto la
custodia cautelare in carcere nei confronti del ricorrente per i delitti di
partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e di
detenzione e spaccio, commessi in Catania, dal maggio 2010 al dicembre 2010,

avvalendosi delle condizioni di assoggettamento e di omertà tipiche
dell’associazione mafiosa denominata

“Santapaola – Ercolano” ed al fine di

agevolarla.

2.

Per la cassazione dell’impugnata ordinanza il ricorrente, tramite il

difensore, articola sei motivi di gravame, qui enunciati, ai sensi dell’art. 173 disp.
att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l’erronea applicazione della
legge penale in relazione all’articolo 74 d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309 (articolo
606, comma 1, lettera b), codice di procedura penale).
Assume il ricorrente che la mancanza di gravi indizi di colpevolezza, quanto
alla sua pretesa partecipazione al sodalizio criminoso, costituisce logica
conseguenza di una corretta lettura del materiale processuale, apparendo
evidente come il suo operato, quantunque fondato su base strettamente
ipotetica attesa l’assenza di qualsivoglia elemento di riscontro, non travalichi mai
l’assoluta occasionalità della collaborazione.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la contraddittorietà o la
manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento
impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di
gravame in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in merito al
reato previsto dall’articolo 74 d.p.r. 309 del 1990 (articolo 606, comma 1, lettera
e), codice di procedura penale).
Sostiene il ricorrente che il tribunale cautelare ha ritenuto di ravvisare la sua
partecipazione al sodalizio criminoso sulla base di una presunzione di una sua
consolidata intraneità ad esso, inspiegabile tuttavia proprio in base ad una
conversazione (numero 3959 richiamata a pagina 9 e 11 del provvedimento
impugnato), posta a fondamento del quadro indiziario, atteso che l’autonomia
con la quale il Vitale abbia abbandonato la cosiddetta “piazza di spaccio ” stride
con l’affermazione della ritenuta partecipazione all’organizzazione criminale.

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delitti aggravati ex art. 7 legge 12 luglio 1991 n. 203 per aver commesso i reati

2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta l’erronea applicazione della
legge penale con riferimento all’articolo 7 della legge 203 del 1991 (articolo 606,
comma 1, lettera b), codice di procedura penale).
Rileva il ricorrente come la configurabilità dell’aggravante privilegiata sia
stata fondata su un sillogismo motivazionale inaccettabile, partendo il tribunale
del riesame dalla premessa, frutto di congettura, circa la cointeressenza tra
l’organizzazione dedita al traffico di sostanza stupefacente e la consorteria
mafiosa Santapaola – Ercolano, per giungere ad un automatismo che vuole la

raggiungimento dei fini propri di tale associazione mafiosa.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente denunzia la mancanza, la
contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla
configurazione della predetta aggravante (articolo 606, comma 1, lettera e),
codice di procedura penale), posto che si sarebbe dovuto dimostrare, per ogni
singolo fatto reato ascritto, la ricorrenza dei presupposti applicativi della detta
circostanza aggravante, dimostrando come i delitti ascritti fossero stati
commessi attraverso l’esperimento di metodologie mafiose, o al fine di favorire
l’eventuale associazione criminale di riferimento.
2.5. Con il quinto motivo il ricorrente prospetta la mancanza, la
contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in merito al reato previsto dall’articolo
73 d.p.r. 309 del 1990 (articolo 606, comma 1, lettera e), codice di procedura
penale).
Argomenta il ricorrente come il tribunale del riesame, nonostante la chiara
esplicitazione del motivo con il quale si denunciava l’assoluta insussistenza della
gravità indiziaria in merito al reato di cui al capo m) della rubrica, abbia omesso
qualunque valutazione in proposito.
2.6. Con il sesto ed ultimo motivo il ricorrente si duole dell’erronea
applicazione della legge penale e segnatamente dell’articolo 1 del decreto-legge
146 del 2013 con conseguente vizio di motivazione in ordine alla valutazione
delle esigenze cautelari (articolo 606, comma 1, lettere b) ed e), codice di
procedura penale).
Rileva il ricorrente come il tribunale cautelare, chiamato a decidere sulla
sussistenza delle esigenze cautelari, si sia limitato ad una vaga asserzione di
principio fondata sulla presunzione di pericolosità del ricorrente stesso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato ed in quanto
presentato fuori dei casi consentiti.

consapevolezza di tutti gli indagati di operare anche nell’interesse e per il

I primi cinque motivi, essendo loro strettamente collegati, possono essere
esaminati congiuntamente.

2. Occorre premettere che – quanto alla configurabilità dell’assetto
associativo finalizzato al narcotraffico, alla connessione di detta struttura con
l’organizzazione mafiosa, all’agevolazione dei fini da quest’ultima perseguiti
attraverso l’esistenza dell’associazione ex articolo 74 d.p.r. 309 del 1990 e della
consumazione dei reati scopo – il tribunale cautelare ha condiviso l’apparato

preliminari, affermando che quest’ultimo, con valutazioni fondate su elementi
probatori chiari e diffusi del tutto condivisibili, sviluppate da pagina 124 e
seguenti e, per la piazza di spaccio interessata, in particolare, quanto all’attività
del ricorrente, quella di “San Cristoforo”, con valutazioni sviluppate da pagina
183 a pagina 218 dell’ordinanza impugnata (passaggi motivazionali, noti alle
parti, che il tribunale del riesame ha legittimamente inteso richiamare

per

relationem) ha innanzitutto ricostruito il sistema delle piazze di spaccio gestite
nell’interesse del clan Santapaola – Ercolano in quanto strutture operative
riconducibili ad esso. Tale ricostruzione, nell’ottica argonientativa del tribunale
cautelare, ha trovato supporto nel contributo qualificato offerto anche da diversi
collaboratori di giustizia del medesimo contesto criminale o di contesti criminali
limitrofi, anch’essi in passato partecipi di tali attività, che hanno apportato un
compendio di conoscenze in massima parte corroborato dalle risultanze
intercettative, nelle quali peraltro, come nel caso di specie, si parla
espressamente di piazza di spaccio riguardo a quelle coinvolgenti il ricorrente.
Da ciò il tribunale cautelare ha tratto argomento per ritenere la sussistenza
dell’organizzazione finalizzata al traffico delle sostanze stupefacenti e alla sua
riconducibilità al contesto di stampo mafioso che la presupponeva, desumendo la
partecipazione del ricorrente all’associazione per delinquere dai numerosi esiti
delle conversazioni intercettate ove, secondo il tribunale cautelare, è apparso
chiaro il ruolo organico del ricorrente stesso al contesto criminale in parola
perché, leggendo i dialoghi nella loro interezza e non sulla base di una lettura
parziale di essi, è chiaramente emerso il suo pieno inserimento nel contesto in
esame ed il suo diretto coinvolgimento nelle attività di spaccio poste in essere in
maniera organizzata attraverso la piazza di spaccio della zona di San Cristoforo.
Il Collegio cautelare dunque è passato ad enumerare le plurime
intercettazioni che hanno visto il ricorrente legato da un chiaro vincolo di
subordinazione rispetto a Giovanni Lombardo, referente della cosca per la piazza
di spaccio di San Cristoforo, ed ai rapporti del ricorrente con altri associati.

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argomentativo espresso nell’ordinanza cautelare dal giudice per le indagini

3. Nel pervenire a tali conclusioni, con specifico riferimento al profilo
associativo addebitato al ricorrente e dallo stesso a torto contestato, il Collegio
cautelare ha fatto buon governo dei principi affermati da questa Corte in base ai
quali, ai fini della configurabilità di un’associazione per delinquere finalizzata al
narcotraffico, è necessaria la presenza di tre elementi fondamentali: a)
l’esistenza di un gruppo, i componenti del quale siano aggregati
consapevolmente per il compimento di una serie indeterminata di reati in
materia di stupefacenti; b) l’organizzazione di attività personali e di beni

dell’impegno di apportarli anche in futuro per attuare il piano permanente
criminoso; c) sotto il profilo soggettivo, l’apporto individuale apprezzabile e non
episodico di almeno tre associati, che integri un contributo alla stabilità
dell’unione illecita (Sez. 4, n. 44183 del 02/10/2013, Alberghini, Rv. 257582).

4. Al cospetto perciò di una motivazione adeguata e priva di vizi logici, con
la quale il tribunale distrettuale ha dato conto e ragione di profili diretti a
radicare i gravi indizi di colpevolezza, nella piena dimostrazione degli elementi
essenziali delle fattispecie cautelari configurate (esistenza di un’associazione,
organizzazione di beni e persone per la realizzazione del programma di
delinquenza, apporto stabile del ricorrente al perseguimento dei fini illeciti del
sodalizio criminoso, controllo dell’associazione mafiosa delle piazze di spaccio,
agevolazione dei fini dell’organizzazione mafiosa attraverso il traffico della
droga), il ricorrente, attraverso doglianze di merito, svolge censure che tendono
a supportare un’interpretazione alternativa dei fatti, preclusa in sede di
legittimità.
Peraltro, allorquando la motivazione del tribunale del riesame è integrata da
quella contenuta nell’ordinanza cautelare per il legittimo rinvio che la prima operi
nei confronti della seconda (Sez. U, n. 7 del 17/04/1996, Moni, Rv. 205257), è
sufficiente che il tribunale cautelare prenda in considerazione solo le specifiche
doglianze che il ricorrente muova nei confronti del provvedimento impugnato e
non anche quelle che contro quest’ultimo il ricorrente non abbia sollevato
cosicché, in sede di impugnazione dell’ordinanza emessa dal tribunale del
riesame, il gravame, per rispettare il principio di specificità che deve sorreggere
anche le impugnazioni cautelari, deve attaccare le parti motivazionali
dell’ordinanza cautelare che il tribunale abbia richiamato con la propria ordinanza
e non dolersi di un difetto motivazionale di quest’ultima, come se il rinvio non vi
fosse stato.
Nel caso di specie, il Collegio cautelare ha risposto alle doglianze del
ricorrente (circa l’esistenza dell’associazione finalizzata al traffico degli
stupefacenti, il controllo di quest’ultima da parte del clan mafioso attraverso la
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economici per il perseguimento del fine illecito comune, con l’assunzione

signoria esercitata sul territorio evincibile da capillare controllo delle piazze di
spaccio, l’agevolazione del clan mafioso attraverso la diffusività e la gestione
monopolistica del traffico degli stupefacenti, il contributo stabile offerto dal
ricorrente all’associazione dedita al traffico della droga nella piazza di spaccio di
riferimento e la consapevolezza di agevolare le famiglie mafiose che detta
piazza controllavano), operando tuttavia anche il rinvio specifico (da pagina 124
e seguenti e, per la piazza di spaccio interessata, da pagina 183 a pagina 218) ai
passaggi argomentativi dell’ordinanza cautelari per gli ulteriori elementi di

In tale caso, i provvedimenti dei giudici cautelari integrandosi a vicenda,
configurano un unico complesso motivazionale rispetto al quale, nella sua
interezza, va mossa la critica argomentata per rimuovere il pregiudizio
lamentato, sicché deve ritenersi generico il motivo di gravame che, ignorando
una parte della motivazione contenuta in uno dei provvedimenti, rivolga la sua
attenzione (situazione nella specie ricorrente) esclusivamente verso l’altra.

5. Quanto al sesto motivo, il tribunale del riesame ha correttamente
predicato la sussistenza delle esigenze cautelari perché presunte per legge anche
con riferimento alla adeguatezza della custodia in carcere, quale unica misura
idonea al soddisfacimento del bisogno cautelare.
Questa Corte ha già affermato che le presunzioni cautelari, comportando
una indubbia semplificazione del procedimento probatorio, incidono
profondamente sull’obbligo di motivazione, particolarmente pressante e
costituzionalmente imposto nella materia riguardante le limitazioni della libertà
personale in senso stretto, con la differenza che, mentre le presunzioni assolute
non ammettono la prova del contrario depotenziando, al massimo grado
possibile, l’obbligo della motivazione, per essere l’effetto giuridico prodotto
direttamente dalla legge, viceversa le presunzioni relative ammettono la prova
contraria, avendo il giudice l’obbligo di spiegare, al cospetto di allegazioni
difensive, le ragioni per le quali il fatto costitutivo della restrizione o delle
specifiche modalità esecutive di essa non sia suscettibile di essere modificato o
estinto da altri specifici fatti (Sez. 3, n. 1488 del 10/12/2013, dep. 15/01/2014,
A., non nnassimata sul punto).
Ne consegue che, qualora il giudice di merito non ritenga di poter superare
d’ufficio la presunzione relativa, su di lui incombe solo l’obbligo di dare atto
dell’inesistenza di elementi idonei a vincere tale presunzione; tuttavia l’obbligo di
motivazione è imposto e diventa più oneroso (Sez. U, n. 16 del 05/10/1994,
Demitry, Rv. 199387) nell’ipotesi in cui l’indagato o la sua difesa abbiano
evidenziato elementi idonei a dimostrare l’insussistenza di esigenze cautelari e/o
abbiano allegato, o anche solo dedotto l’esistenza ex actis di elementi specifici,
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dettaglio.

in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono
essere soddisfatte con altre misure.
Nel caso di specie, alle deduzioni del ricorrente, il tribunale, con logica ed
adeguata motivazione, ha risposto che la intensità, la diuturnità del contributo
operativo del ricorrente, esplicato senza interruzioni e con le modalità indicate
nella motivazione dell’ordinanza impugnata, in un ambito temporale in ogni caso
non disprezzabile, oltre che la sussistenza dell’aggravante mafiosa, rendono
evidente la sussistenza delle esigenze cautelari e la loro tutelabilità solo

6. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto
che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per
il ricorrente ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del
procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13
giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso
sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via
equitativa, di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Dispone che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore
dell’istituto penitenziario competente, a norma dell’art. 94, comma 1
att. cod. proc. pen.
Così deciso il 05/03/2015

ter, disp.

attraverso la custodia cautelare in carcere.

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