Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26737 del 05/03/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 26737 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Santonocito Raimondo, nato a Catania il 18-10-1973
avverso la ordinanza del 28-07-2014 del tribunale della libertà di Catania;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gabriele
Mazzotta che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito per il ricorrente

Data Udienza: 05/03/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Raimondo Santonocito ricorre per cassazione impugnando l’ordinanza
indicata in epigrafe con la quale il tribunale della libertà di Catania ha confermato
quella resa dal Gip presso il tribunale della medesima città che aveva disposto la
custodia cautelare in carcere nei confronti del ricorrente per i delitti di
partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e di
detenzione e spaccio, commessi in Catania, dal maggio 2010 al dicembre 2010,

avvalendosi delle condizioni di assoggettamento e di omertà tipiche
dell’associazione mafiosa denominata “Santapaola – Ercolano” ed al fine di
agevolarla.

2.

Per la cassazione dell’impugnata ordinanza il ricorrente, tramite il

difensore, articola due motivi di gravame, qui enunciati, ai sensi dell’art. 173
disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l’erronea applicazione della
legge penale nonché la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità
della motivazione in ordine alla sussistenza dell’indispensabile requisito, ai fini
della configurabilità del reato di associazione per delinquere, della
“indeterminatezza del programma criminoso” (articolo 606, comma 1, lettere b)
ed e), codice di procedura penale).
Assume il ricorrente come il tribunale abbia omesso qualsiasi riferimento in
ordine all’esistenza di un generico ed indeterminato programma delinquenziale
(necessario per la configurazione del delitto previsto dall’articolo 74 d.p.r. 9
ottobre 1990, n. 309) che fosse destinato a far perdurare nel tempo
l’associazione anche dopo la realizzazione dei singoli reati fine, limitandosi ad
affermare in maniera assolutamente apodittica che dalle intercettazioni sarebbe
“emerso chiaramente come il ricorrente coadiuva(sse) il Lombardo
nell’organizzazione della piazza svolgendo il ruolo di pusherfi.
Secondo il ricorrente la gravità dei vizi logici dell’impugnata provvedimento
è evidenziata dal fatto che, nonostante l’attività di indagini si fosse protratta per
un lunghissimo periodo, le conversazioni ritenute processualmente rilevanti sono
intercorse in 1 periodo di tempo assai ristretto, senza che nient’altro fosse
emerso come illecito realizzato, tentato, ideato, o anche solo pensato.
Oltre alla insussistenza del reato associativo, il provvedimento impugnato
difetterebbe, secondo il ricorrente, di motivazione anche con riferimento
l’aggravante privilegiata di cui all’articolo 7 della legge numero 203 del 1991.

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delitti aggravati ex art. 7 legge 12 luglio 1991 n. 203 per aver commesso i reati

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la mancanza e la manifesta
illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari
(articolo 606, comma 1, lettera e), codice di procedura penale).
Sostiene il ricorrente come l’ordinanza impugnata sia palesemente
contraddittoria perché, dopo aver implicitamente riconosciuto che nel presente
procedimento “non vi sono tracce o elementi che inducono a ritenere l’attuale
operatività dell’associazione criminosa”,

ha concluso nel senso di ritenere

l’esistenza di attuali e pressanti esigenze cautelari con riferimento alla posizione

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato ed in quanto
presentato fuori dei casi consentiti.

2. Quanto al primo motivo, il tribunale cautelare, con specifico riferimento
alla posizione del ricorrente, ha adeguatamente motivato circa l’esistenza
dell’organizzazione criminale, chiarendo come gli elementi di prova raccolti
avessero consentito
consentito di svelare, nell’ambito di una più ampia attività investigativa
riguardante le attività criminali facenti capo al clan Santapaola – Ercolano,
l’esistenza di un sistema di cosiddette piazze di spaccio, attraverso le quali alcuni
esponenti della famiglia mafiosa, ed in particolare i fratelli Nizza, realizzavano il
traffico delle sostanze stupefacenti in diversi quartieri di Catania.
In particolare, una delle piazze di spaccio era situata nel quartiere di

“San

Cristoforo” ed è risultata gestita da Rosario Lombardo (circostanza che, come si
evince dal testo del provvedimento impugnato, può essere ritenuta pacifica alla
luce di quanto riferito dai collaboratori di giustizia e delle risultanze emerse
attraverso le operazioni di intercettazione).
La tesi accusatoria, convalidata dai giudici cautelari, fonda sulla circostanza
che Rosario Lombardo si avvaleva di alcuni collaboratori, tra i quali il ricorrente
che svolgeva per il primo il ruolo di pusher, e la cui intraneità al sodalizio e la
correlata attività di spaccio sono state dimostrate, secondo quanto si ricava dal
testo del provvedimento impugnato, dai seguenti elementi: dalle dichiarazioni
dei collaboratori di giustizia Carmelo Di Stefano e Salvatore Viola; dal costante
contatto, nel periodo monitorato, con il responsabile della piazza (il Lombardo);
dai risultati delle intercettazioni confermative dei rapporti intensi, dal punto di
vista criminale, intercorsi tra il Lombardo e il ricorrente nonché tra questi e lo
Scavone; dai contatti con altri indagati; dallo svolgimento costante nell’arco
monitorato dell’attività di spaccio.

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del ricorrente.

Allo stesso modo, il tribunale del riesame ha correttamente ritenuto la
sussistenza della contestata aggravante dell’agevolazione mafiosa alla luce della
ritenuta riconducibilità delle attività illecite in oggetto ai fratelli Nizza e della
indubbia consapevolezza di tale riconducibilità in capo al ricorrente, affermazione
che è stata motivata alla luce di quanto riferito dai collaboratori di giustizia sul
suo conto.

3. Nel pervenire a tali conclusioni, con specifico riferimento al profilo

cautelare ha fatto buon governo dei principi affermati da questa Corte in base ai
quali, ai fini della configurabilità di un’associazione per delinquere finalizzata al
narcotraffico, è necessaria la presenza di tre elementi fondamentali: a)
l’esistenza di un gruppo, i componenti del quale siano aggregati
consapevolmente per il compimento di una serie indeterminata di reati in
materia di stupefacenti; b) l’organizzazione di attività personali e di beni
economici per il perseguimento del fine illecito comune, con l’assunzione
dell’impegno di apportarli anche in futuro per attuare il piano permanente
criminoso; c) sotto il profilo soggettivo, l’apporto individuale apprezzabile e non
episodico di almeno tre associati, che integri un contributo alla stabilità
dell’unione illecita (Sez. 4, n. 44183 del 02/10/2013, Alberghini, Rv. 257582).

4. Al cospetto perciò di una motivazione adeguata e priva di vizi logici, con
la quale il tribunale distrettuale ha dato conto e ragione di profili diretti a
radicare i gravi indizi di colpevolezza, nella piena dimostrazione degli elementi
essenziali delle fattispecie cautelari configurate (esistenza di un’associazione,
organizzazione di beni e persone per la realizzazione del programma di
delinquenza, apporto stabile del ricorrente al perseguimento dei fini illeciti del
sodalizio criminoso), il ricorrente, attraverso doglianze di merito, svolge censure
che tendono a supportare un’interpretazione alternativa dei fatti, preclusa in
sede di legittimità.
Come questa Corte ha più volte affermato, il vizio di motivazione in tanto
sussiste se ed in quanto si dimostri che il testo del provvedimento sia
manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non invece quando si
opponga alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una
diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di
Francesco, Rv. 205621).
Consegue da ciò la manifesta infondatezza dell’assunto circa la violazione di
legge e la carenza motivazionale dell’ordinanza impugnata in punto di
sussistenza della gravità indiziaria a carico del ricorrente con riferimento al titolo
cautelare per il quale è stato attinto.
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associativo addebitato del ricorrente e dallo stesso a torto contestato, il Collegio

5. Quanto al secondo motivo, il tribunale del riesame ha correttamente
predicato la sussistenza delle esigenze cautelari perché presunte per legge anche
con riferimento alla adeguatezza della custodia in carcere, quale unica misura
idonea al soddisfacimento del bisogno cautelare.
Questa Corte ha già affermato che le presunzioni cautelari, comportando
una indubbia semplificazione del procedimento probatorio, incidono
profondamente sull’obbligo di motivazione, particolarmente pressante e

personale in senso stretto, con la differenza che, mentre le presunzioni assolute
non ammettono la prova del contrario depotenziando, al massimo grado
possibile, l’obbligo della motivazione, per essere l’effetto giuridico prodotto
direttamente dalla legge, viceversa le presunzioni relative ammettono la prova
contraria, avendo il giudice l’obbligo di spiegare, al cospetto di allegazioni
difensive, le ragioni per le quali il fatto costitutivo della restrizione o delle
specifiche modalità esecutive di essa non sia suscettibile di essere modificato o
estinto da altri specifici fatti (Sez. 3, n. 1488 del 10/12/2013, dep. 15/01/2014,
A., non massimata sul punto).
Ne consegue che, qualora il giudice di merito non ritenga di poter superare
d’ufficio la presunzione relativa, su di lui incombe solo l’obbligo di dare atto
dell’inesistenza di elementi idonei a vincere tale presunzione; tuttavia l’obbligo di
motivazione è imposto e diventa più oneroso (Sez. U, n. 16 del 05/10/1994,
Demitry, Rv. 199387) nell’ipotesi in cui l’indagato o la sua difesa abbiano
evidenziato elementi idonei a dimostrare l’insussistenza di esigenze cautelari e/o
abbiano allegato, o anche solo dedotto l’esistenza ex actis di elementi specifici,
in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono
essere soddisfatte con altre misure.
Tuttavia, nel caso di specie, il ricorrente non si duole affatto di ciò ed anzi
solleva una doglianza del tutto eccentrica rispetto alla ratio decidendi

e dunque

aspecifica – perché, al cospetto di una motivazione con la quale il tribunale del
riesame si limita ad affermare l’esistenza della presunzione, egli deduce due
circostanze del tutto sconosciute al testo del provvedimento impugnato, almeno
nella perentorietà con le quali sono riportate nel ricorso, ossia che non vi sono
tracce che inducano a ritenere l’attuale operatività dell’associazione criminosa e
che il tribunale, al tempo stesso, abbia sostenuto l’esistenza di attuali e pressanti
esigenze cautelari con riferimento alla posizione del ricorrente.

6. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto
che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per

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costituzionalmente imposto nella materia riguardante le limitazioni della libertà

il ricorrente ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del
procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13
giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso
sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via
equitativa, di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Dispone che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore
dell’istituto penitenziario competente, a norma dell’art. 94, comma 1
att. cod. proc. pen.
Così deciso il 05/03/2015

ter, disp.

P.Q.M.

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