Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26735 del 05/03/2015


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 26735 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Seminara Davide, nato a Catania il 15-12-1978
avverso la ordinanza del 07-08-2014 del tribunale della libertà di Catania;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gabriele
Mazzotta che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito per il ricorrente

Data Udienza: 05/03/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Davide Seminara ricorre per cassazione impugnando l’ordinanza indicata
in epigrafe con la quale il tribunale della libertà di Catania ha confermato quella
resa dal Gip presso il tribunale della medesima città che aveva disposto la
custodia cautelare in carcere nei confronti del ricorrente per i delitti di
partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e di
detenzione e spaccio, commessi in Catania, dal maggio 2010 al dicembre 2010,

avvalendosi delle condizioni di assoggettamento e di omertà tipiche
dell’associazione mafiosa denominata

“Santapaola – Ercolano” ed al fine di

agevolarla.

2.

Per la cassazione dell’impugnata ordinanza il ricorrente, tramite il

difensore, articola un unico motivo di gravame, qui enunciato, ai sensi dell’art.
173 disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la
motivazione.
Con esso il ricorrente deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione della
legge penale nonché la mancanza e l’illogicità della motivazione (articolo 606,
comma 1, lettere b) ed e), codice di procedura penale.
Assume come le conversazioni ambientali che, secondo l’assunto dei giudici
cautelari riguardavano la posizione dell’indagato, abbracciassero un arco
temporalmente limitato e comunque insufficiente a provare, seppure a livello
indiziarlo, la cooptazione del Seminara all’interno di una compagine associativa e
la cosiddetta affectio societatis. Ed infatti, a fronte di una contestazione che
copriva un segmento temporale ben definito (dal mese di maggio al dicembre
2010), il ricorrente non poteva essere ritenuto intraneus al consesso criminoso in
quanto detenuto senza soluzione di continuità sino al settembre 2010 e il
numero esiguo di conversazioni, così come la circostanza che dopo appena due
mesi il sodalizio non fosse più operativo sul territorio, rappresentavano segni
inequivoci della carenza di un coacervo indiziario grave.
Il tribunale del riesame, limitandosi apoditticamente a richiamare le pagine
44-46 della scheda personale dalle quali emergerebbero nove conversazioni
telefoniche dal contenuto neutro perché in esse non si faceva riferimento alcuno
allo spaccio di sostanza stupefacente, avrebbe confezionato una motivazione
apparente e l’illogica, riportandosi per la relazione neppure al contenuto
dell’ordinanza custodiale ma ad una scheda relativa al ricorrente alla quale il gip
non aveva fatto alcun riferimento, ritenendola la inidonea a sorreggere il
provvedimento applicativo della misura.

2

delitti aggravati ex art. 7 Legge 12 luglio 1991 n. 203 per aver commesso i reati

Il tribunale avrebbe poi ignorato di motivare in ordine a specifiche
doglianze: sulla circostanza che sul ciclomotore erano state intercettate
conversazioni dalle quali emergeva l’esistenza di un altro soggetto, con lo stesso
nome di battesimo del Seminara, non identificabile però con quest’ultimo e sulla
circostanza che alcuno dei collaboratori di giustizia aveva specificamente
chiamato in correità il ricorrente.
Né il Collegio cautelare avrebbe motivato sulla necessità di ricorrere allo
strumento cautelare nonostante il tempo trascorso dalla commissione dei fatti

dai quali evincere condotte dirette allo spaccio di sostanze stupefacenti ovvero
collegamenti con i soggetti raggiunti dal provvedimento coercitivo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato in quanto
presentato fuori dei casi consentiti.

2. Il tribunale cautelare, dopo aver diffusamente motivato circa l’esistenza
dell’organizzazione criminale, ha ampiamente spiegato come il materiale
probatorio dal quale è stata tratta la gravità indiziaria fondi su una pluralità di
atti di investigazione costituiti da tecniche di intercettazione telefonica ed
ambientale, videoriprese, controlli su strada eseguiti delle forze dell’ordine,
pedinamento nonché dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia che hanno
ulteriormente arricchito le fonti di prova già autonomamente acquisite circa
l’attività di traffico di sostanze stupefacenti realizzata dagli indagati.
Quanto alla specifica posizione del ricorrente il tribunale della libertà ha
sottolineato come il collaboratore di giustizia con Goffredo Di Maggio avesse
indicato il ricorrente, riconoscendolo specificamente attraverso una
individuazione fotografica, come affiliato alla cosca e spacciatore di sostanze
stupefacenti per conto di Fabrizio Nizza (e Giuseppe Rizzotto).
La riconducibilità dell’indagato a detta organizzazione criminale è
chiaramente emersa, secondo i giudici cautelari, da alcune conversazioni, alle
quali egli è stato interessato, intercettate sullo scooter e sull’autovettura in uso a
Davide Licciardello: a) conversazione intercettata del 7 ottobre 2010 dalla quale
emergeva che Daniele Nizza era il destinatario finale degli incassi derivanti dalla
vendita della droga; b) conversazione del 3 novembre 2010 dal cui contenuto si
traeva la conferma del legame associativo tra i Nizza e gli interlocutori (di
Licciardello e Seminara) nonché della posizione sovraordinata che Daniele Nizza
assumeva nell’ambito del sodalizio; c) la conversazione del 16 ottobre 2010 dalla
quale emergeva che il Licciardello, accompagnato dal Seminara, si accordava con

3

(quasi 4 anni), senza che a carico del ricorrente fossero emersi ulteriori elementi

un fornitore calabrese per concludere la transazione per un corrispettivo di
complessivi C 340.000; d) la conversazione del 20 ottobre 2010 dalla quale
emergeva come il Licciardello e il Seminara fossero nella vana attesa di un
fornitore di sostanza stupefacente; e) la conversazione del 30 ottobre 2010 che
registrava il successivo incontro con il fornitore di nome Bruno, evincendosi
altresì che le trattative si inserivano in un quadro di rapporti stabili, o che si
avviavano a divenire tali, e si chiariva che il mancato appuntamento precedente
era stato dovuto ad un disguido in ordine all’orario concordato, stabilendosi un

all’interno dell’autovettura del Licciardello all’interno della quale si trovavano
quest’ultimo, il Seminara e il Rizzotto, nel corso della quale gli interlocutori
facevano riferimento al fatto che il soggetto di nome Bruno costituisse il loro
canale di approvvigionamento di stupefacenti in Calabria; g) altre conversazioni
(citate a pagina 10 dell’ordinanza impugnata) dalle quali si evinceva che il
ricorrente fosse al fianco della Licciardello del Rizzotto per risolvere le
temporanee difficoltà che gli spacciatori reclutati dal gruppo criminale
incontravano nello svolgimento della loro attività.

3. Da ciò il Collegio cautelare ha tratto il logico argomento per ritenere che il
contenuto delle dichiarazioni del Di Maggio e le intercettazioni richiamate fossero
ampiamente dimostrative della sussistenza di un grave quadro cautelare sia con
riferimento alla partecipazione al reato associativo e sia con riferimento
all’attività di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.

4. Al cospetto perciò di una motivazione adeguata e priva di vizi logici, il
ricorrente svolge censure che si concentrano e si diffondono sugli aspetti fattuali
della vicenda ed esse tendono a supportare un’interpretazione alternativa dei
fatti, preclusa in sede di legittimità.
Come questa Corte ha più volte ribadito, il vizio di motivazione in tanto
sussiste se ed in quanto si dimostri che il testo del provvedimento sia
manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non invece quando si
opponga alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una
diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di
Francesco, Rv. 205621).
Ciò si spiega in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo
della pronuncia impugnata ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato
demandato al giudice di legittimità essere limitato – per espressa volontà del
legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari
punti della decisione gravata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle
argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo
4

nuovo appuntamento; f) la conversazione del 2 novembre 2010 intercorsa

convincimento, esulando dai poteri della Corte di cassazione quello di una
“rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui
valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa
integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il
ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402
del 30/04/1997, Dessimone ed altri, Rv. 207944), con la specificazione che
l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè
di spessore tale da risultare percepibile “ictu ocull”, dovendo il sindacato di

ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni
difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente
incompatibili con la decisione adottata, purché le ragioni del convincimento siano
spiegate in modo logico e adeguato (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv.
214794; Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).
Consegue da ciò la manifesta infondatezza dell’assunto circa la violazione di
legge e la carenza motivazionale dell’ordinanza impugnata in punto di
sussistenza della gravità indiziaria a carico del ricorrente con riferimento al titolo
cautelare per il quale è stato attinto.

5. Le obiezioni poi contenute nel ricorso, oltre ad essere connotate da
genericità, appaiono

ictu ocull irrilevanti: gli elementi indiziari sono tutti

successivi all’eventuale scarcerazione del ricorrente (secondo il suo assunto del
settembre 2010); il quadro indiziario appare all’evidenza dimostrativo di un
inserimento organico e stabile nel gruppo criminale, rendendo irrilevante la
durata della partecipazione criminosa; l’utilizzazione di atti del procedimento da
parte del tribunale della libertà è legittima, potendo i giudici cautelari integrare il
provvedimento impugnato utilizzando tutti gli atti che il pubblico ministero ha
posto a fondamento della domanda cautelare; qualora sia stata applicata, come
nella specie, la misura della custodia in carcere per uno dei delitti indicati
nell’art. 275, comma terzo, cod. proc. pen. (nella specie, art. 74 d.P.R. n. 309
del 1990), non è necessario che l’ordinanza cautelare motivi anche in ordine alla
rilevanza del tempo trascorso dalla commissione del fatto, così come richiesto
dall’art. 292, comma secondo, lett. c), dello stesso codice, in quanto per tali reati
vale la presunzione di adeguatezza di cui al predetto art. 275, che impone di
ritenere sussistenti le esigenze cautelari salvo prova contraria, fermo restando
che il “tempus commissi delicti” può costituire per i reati non coperti da
presunzione assoluta un elemento specifico dal quale desumere che le esigenze
cautelari possono essere soddisfatte anche con altre misure (Sez. 3, n. 27439
del 01/04/2014, P.M. in proc. Cetrullo Rv. 259723) e, nel caso in esame, il
profilo dell’adeguatezza cautelare non solo non è stato devoluto con il gravame e

5

legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando

comunque lo stesso ricorrente, avendo ammesso di aver trascorso un precedente
periodo di detenzione, non pare possa giovarsi di per sé della circostanza relativa
al lasso di tempo intercorso tra la commissione dei fatti e la spedizione del titolo
cautelare, posto che il precedente stato cautelare rende, all’evidenza, neutro il
fatto che nel frattempo il ricorrente non fosse incorso in altre infrazioni.

6. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto
che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per

procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13
giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso
sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via
equitativa, di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 05/03/2015

il ricorrente ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA