Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26728 del 04/03/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 26728 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto dal
Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma
nei confronti di
Garrisi Giovanni, nato a Firenze il 06-06-1948
avverso la ordinanza del 03-11-2014 della Tribunale della libertà di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Izzo
Gioacchino che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi per l’indagato l’avv. Daniela Agnello e l’avv. Roberta Feliziani che hanno
concluso per il rigetto del ricorso del pubblico ministero;

Data Udienza: 04/03/2015

RITENUTO IN FATTO

1. È impugnata l’ordinanza con la quale il tribunale della libertà di Roma ha
annullato il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per
equivalente ed emesso dal Gip presso il medesimo tribunale con riferimento al
reato di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 ed reso, fra
l’altro, nei confronti di Giovanni Garrisi e fino alla concorrenza del valore
corrispondente al profitto del su indicato reato e complessivamente per l’importo

Al Garrisi si contesta, in via cautelare, il reato previsto dall’articolo 5 decreto
legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (capo b) perché, unitamente e in concorso con
altre persone in qualità di “directors” del board (consiglio di amministrazione)
della inglese Stanley International Betting Limited (SIBL) con sede in Liverpool
(UK), quale membro quantomeno dal 1 gennaio 2007 ad oggi del board della
SIBL nonché suo reale proprietario ed anche in qualità di amministratore di fatto
della SML e della Stanley Italia, con più azioni esecutive di un medesimo disegno
criminoso al fine di evadere le imposte sui redditi omettevano di presentare in
Italia le dichiarazioni annuali relative a dette imposte per la Stanley International
Betting Limited di Liverpool per gli anni 2008, 2009, 2010, 2011 e 2012, pur
essendovi obbligati avendo prodotto sul territorio nazionale reddito imponibile,
grazie all’attività di raccolta di giochi, scommesse e lotterie sotto il marchio
Stanleybet esercitata di fatto per loro conto da una stabile organizzazione
occulta di persone e mezzi (cosiddetta Stanley Italia) articolata sul duplice
binario di centri trasmissione dati (cosiddetti CTD) controllati coordinati da
manager assunti e gestiti dapprima direttamente da Stanley International
Betting Limited, tramite un direttore commerciale italiano e formalmente assunti
dalla collegata Stanleybet Malta Limited, che apparentemente esercita anche
l’attività di raccolta di scommesse in nome proprio essendo i CTD ad essa legati
dal contratto di ricevitoria. In particolare omettevano di dichiarare ricavi
complessivamente pari ad euro 204.928.666 con imposta evasa quantificata in
totale in euro 56.355.933,22 con conseguente superamento della soglia di legge.

2. Per la cassazione dell’impugnata ordinanza il pubblico ministero ricorrente
ha articolato un unico complesso motivo di gravame, qui enunciato, ai sensi
dell’articolo 173 disposizioni di attuazione al codice di procedura penale, nei limiti
strettamente necessari per la motivazione.
Con esso, sviluppato attraverso molteplici profili e questioni, il ricorrente
deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’articolo 5 decreto legislativo
n. 74 del 2000 in relazione all’articolo 5 del modello di convenzione OCSE contro
la doppia imposizione, agli articoli 73, comma 1, lettera d), 23, comma 1, 162 e

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di euro 56.355.933,22.

169 d.p.r. 917 del 1986 (TUIR) nonché degli articoli 1 e 3 della legge
disciplinante il contratto di franchising n. 129 del 2004 ed inoltre lamenta difetto
assoluto di motivazione o comunque di motivazione apparente, avendo il giudice
omesso di indicare, nell’ordinanza, gli elementi da cui ha tratto il proprio
convincimento e comunque esponendo tali elementi senza una approfondita
disamina logica e giuridica delle prove raccolte poste a base del provvedimento
del Gip, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sul suo ragionamento
(art, 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen.).

commissi delicti e con specifico riferimento all’elemento oggettivo del reato di
omessa dichiarazione, l’ordinanza non avrebbe fatto corretta applicazione della
normativa fiscale penale che regolamenta il pagamento delle imposte da parte
dei soggetti fiscalmente non residenti nel nostro Stato ove ad essi si riconosca
una presenza sul territorio qualificata, che la normativa ha definito come “stabile
organizzazione” dichiarata o anche solo “occulta”.
Secondo il ricorrente, il tribunale del riesame ha sostanzialmente negato la
natura di “stabile organizzazione” alla struttura formalmente impiantata sul
territorio dalla Stanleybet Malta Limited (S.M.L.), ma di fatto dalla Stanley
International Betting Linnited (S.I.B.L.), perché ritenuta priva di una “sede fissa
di affari nella disponibilità della casa madre” e mancante di “idoneità produttiva”.
Ciò ha fatto, oltre tutto, in maniera del tutto apodittica e quindi apparente,
avendo totalmente mancato di prendere anche solo minimamente in esame le
copiose prove in senso contrario acquisite nel corso dell’indagine e puntualmente
analizzate dal Gip nel corso del proprio percorso argomentativo.
I Giudici del riesame non si sono curati di dare alcuna spiegazione,
nemmeno sintetica, alle risultanze delle intercettazioni telefoniche e delle
numerosissime s.i.t. raccolte dagli inquirenti e valorizzate sia dalla Procura che
dal Gip.
Assume il ricorrente che le indagini hanno evidenziato come i CTD non
possano ridursi a meri trasmettitori di dati e che su di essi oltre 20 manager
sotto l’egida del direttore commerciale della S.I.B.L. hanno esercitato un
controllo penetrante e continuo assicurando la massinnizzazione della loro
produttività e redditività nel solco delle scelte strategiche della casa madre. Il
tribunale cautelare si è limitato, in sostanza, ad ascrivere l’attività tanto dei
manager quanto dei CTD ad un’attività “preparatoria” rispetto a quella svolta
dalla casa madre, sposando acriticamente la tesi difensiva.
Il ricorrente, al fine di dimostrare l’avvenuta violazione della normativa
tributaria applicabile al caso di specie, si diffonde nel richiamare la disciplina
della tassabilità dei redditi d’impresa prodotti sul nostro territorio dai soggetti
non residenti, definendo la nozione di “stabile organizzazione” dichiarata o

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Assume il ricorrente che, con riguardo alla ritenuta insussistenza del fumus

occulta ai sensi dell’articolo 5 della convenzione OCSE sulla doppia imposizione e
dell’articolo 162 Tuir, cui occorre operare imprescindibile riferimento.
Secondo il ricorrente, il riconoscimento dell’esistenza o meno di una stabile
organizzazione, anche occulta e, quindi, dell’applicazione dell’articolo 5 del
modello di convenzione OCSE, dell’articolo 162 Tuir, in relazione all’articolo 23
lettera e) Tuir, implica un preciso esame fattuale delle evidenze disponibili con la
premessa che, per verificare l’esistenza di una stabile organizzazione, occorrono
quattro parametri:

2) stabilità dell’installazione nel tempo e nello spazio;
3) esercizio, da parte dell’installazione, dell’attività ordinarie di impresa;
4) idoneità a produrre reddito.
Così ricostruita la vicenda cautelare, il ricorrente sottolinea come il tribunale
del riesame avesse raggiunto conclusioni errate nell’applicazione delle norme del
modello OCSE citate e delle norme del Tuir relativamente al riconoscimento
dell’esistenza di una stabile organizzazione di impresa non residente in Italia e
che ne determinano l’assoggettamento al dovere di contribuzione alle spese dello
Stato.
L’ordinanza impugnata ha infatti sostenuto del tutto apoditticamente, e
quindi con motivazione assolutamente apparente (se non del tutto assente), che
gli elementi di indagine posti alla base del provvedimento di sequestro non
avessero supportato la dimostrazione del possesso in capo alla S.I.B.L. dei
requisiti richiesti dalla normativa internazionale e da quella italiana (art. 162
d.p.r. 917 del 1986 che l’ha di fatto recepite) per integrare stabile
organizzazione “nell’interpretazione comunemente accettata”.
Nel pervenire a tale conclusione, il tribunale cautelare avrebbe, secondo il
ricorrente, integralmente omesso di considerare tutti gli argomenti e le evidenze
assunte nel corso della copiosa attività di indagine espletata che avevano portato
puntualmente a ritenere il possesso dei requisiti richiesti dalla normativa e a
riscontrare nel business model adottato dalla S.I.B.L. una stabile organizzazione
formata da plurime unità produttive di reddito a direzione unitaria “occulta”; il
Collegio cautelare ha poi trascurato di considerare che le società estere

de

quibus dispongono in Italia di una stabile organizzazione articolata sui centri
trasmissione dati controllati e coordinati da aria manager e che l’imposta evasa
dovrebbe calcolarsi avendo riguardo ad una base imponibile depurata dalle
somme relative alle vincite (per gli scommettitori), dalle commissioni dei centri
trasmissione dati nonché dei costi generali dell’aria manager.

3. Il Garrisi ha presentato memoria con la quale deduce che le ricostruzioni
fattuali e giuridiche operate dalla Guardia di Finanza, recepite nel decreto di
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1) esistenza di una installazione di affari (esempio un ufficio);

sequestro del Gip e reiterate nel ricorso per cassazione, si appalesano
contraddittorie, apodittiche e fondate su un’errata interpretazione delle norme
giuridiche invocate.
Si afferma, in primo luogo, l’insussistenza dell’elemento oggettivo del reato
sia perché non è mai esistita alcuna stabile organizzazione di Stanleybet in Italia
(con conseguente assenza di qualsivoglia obbligo dichiarativo), mancando i
presupposti richiesti dalla normativa italiana e internazionale pattizia ai fini della
configurabilità della stessa e sia perché non risulta in alcun modo dimostrato il

numero 74 del 2000. Peraltro, quand’anche fosse esistita una stabile
organizzazione, il reddito prodotto da Stanleybet sarebbe stato comunque già
sottoposto ad imposizione fiscale in Italia. Infatti, in ogni caso, sarebbero state
già remunerate in Italia le funzioni svolte da tale pretesa stabile organizzazione,
posto che il CTD nonché i compensi riconosciuti agli area manager sarebbero
stati già oggetto di prelievo fiscale tramite i predetti soggetti. Ne consegue che,
essendo stata già soddisfatta ogni pretesa tributaria sui redditi afferenti alle fasi
produttive asseritannente svolte dalla stabile organizzazione in Italia (area
manager e CTD), nessuna imposta risulta sostanzialmente dovuta e quindi
evasa. Tale ultima circostanza peraltro rileva anche sotto il profilo del principio di
offensività, valendo ad escludere la configurabilità del reato ipotizzato per
inidoneità dell’azione a ledere il bene protetto. Neppure ricorre l’elemento
soggettivo del reato non essendo ravvisabile il dolo specifico di evadere le
imposte per essere Stanleybet residente fiscalmente nel Regno Unito ove è
assoggettata all’imposta sui redditi (ovunque prodotti) con un livello di
imposizione di entità del tutto equiparabile a quella che sconterebbe in Italia.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Occorre premettere che i criteri per la determinazione della residenza
fiscale per le società di capitali e gli enti sono stabiliti dall’art. 73 TUIR, il quale
dispone che: “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e
gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la
sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato”.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 1811 del 30/10/2013,
dep. 17/01/2014, Pinhas, le cui coordinate sono state ribadite, sebbene in
materia di competenza per territorio, da Sez. 3, n. 20504 del 19/02/2014,
Cederna ed altri, Rv. 259783), “la sede legale coincide con il luogo indicato nello
statuto della società o dall’atto costitutivo. Peraltro, la sede legale può essere

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superamento della soglia di punibilità penale dall’articolo 5 del decreto legislativo

fittizia e non coincidere con quella effettiva. Quest’ultima va intesa come il luogo
in cui opera il centro direttivo e amministrativo della società, ove avviene il
compimento di atti giuridici in nome di essa, con l’abituale presenza degli
amministratori, investiti della relativa rappresentanza (Sez. 3, 24.1.2012, n.
7080, Barretta).
La sede della amministrazione è il luogo in cui si esplicano la direzione e il
controllo dell’attività; in particolare, qualora gli amministratori risiedano
all’estero, ma svolgano le proprie funzioni a mezzo di procuratori operanti in

parte dei predetti procuratori delle direttive ad essi impartite e, quindi la
residenza fiscale societaria. Secondo la giurisprudenza, “la nozione di sede
dell’amministrazione (…), in quanto contrapposta alla nozione di “sede legale”,
deve ritenersi coincidente con quella di “sede effettiva” (di matrice civilistica),
intesa come il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e
di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o
stabilmente utilizzato, per l’accentramento – nei rapporti interni e con i terzi degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e
dell’impulso dell’attività dell’ente” (Cass. civ., Sez. 5, 7.2.2013, n. 2869).
Il criterio dell’oggetto principale dell’attività ha natura residuale ed è
regolato dai commi 4 e 5 dell’art. 73 TUIR, che stabiliscono che per oggetto
principale si intende “l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi
primari indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto” e che, in
mancanza dell’atto costitutivo o dello statuto nelle forme di atto pubblico o di
scrittura privata autenticata, si deve aver riguardo “all’attività effettivamente
esercitata”. Quindi, per identificare la nozione di attività principale necessita fare
riferimento a tutti gli atti produttivi e negoziali, nonché ai rapporti economici, che
lo stesso ente pone in essere con i terzi, e per individuare il luogo in cui viene a
realizzarsi l’oggetto sociale rileva, non tanto quello dove si trovano i beni
principali posseduti dalla società, quanto la circostanza che occorra o meno una
presenza in loco per la gestione della attività dell’ente. Secondo la
giurisprudenza, l’oggetto principale non rappresenta un criterio formale, ma un
dato “sostanziale”, che si allinea ai criteri di individuazione dell’effective piace of
management and con trol elaborati in ambito internazionale dall’art. 4 del Modello
OCSE, anche se però non vi è una perfetta sovrapposizione di concetti, in quanto
il requisito di effettività – che impone una ricerca del luogo di residenza in
concreto – nella norma nazionale di cui all’art. 73 TUIR si riferisce alla attività
esercitata, mentre nell’art. 4 del Modello OCSE, al luogo di gestione effettiva,
cioè il luogo in cui sono prese in sostanza le decisioni importanti di gestione (key
management) e quelle commerciali, necessarie per l’andamento dell’ente

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Italia, si dovrà individuare in Italia il luogo della concreta messa in esecuzione da

commerciale nel suo complesso (cfr. Sez. 2, 22.11.2011, n. 7739 del 2012,
Gabbana)”.
L’arresto in precedenza richiamato (Sez. 3, n. 1811 del 30/10/2013, cit.)
ricorda pure che le norme fiscali italiane “devono essere interpretate e applicate,
secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, in modo da non
ostacolare le libertà sancite dai Trattati dell’Unione e, in particolare, la libertà di
stabilimento. La Corte di giustizia ha invero chiarito che la circostanza che una
società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più

nazionale che restringe la libertà di stabilimento è ammessa solo se concerne
specificatamente le costruzioni di puro artificio, prive di effettività economica
(cfr., sentenza del 12 settembre 2006, caso C-196-04, Casbury Schweppes,
punti 35,37)”.

3. Ciò posto, il tribunale del riesame ha affermato, con congrua motivazione,
che nell’attività del gruppo Stanleybet in Italia, sul piano oggettivo, non possono
ravvisarsi, ai fini di imposizione fiscale, i tratti distintivi di una stabile
organizzazione, mancando una sede fissa di affari strumentalmente connessa
all’esercizio dell’impresa estera e dotata di idoneità produttiva.
Sotto tale profilo, il Collegio cautelare ha escluso che la stabile
organizzazione possa desumersi dal possesso di attrezzature per la
comunicazione telematica e dall’espletamento “a distanza” della prestazione
lavorativa, restando perciò ininfluente, a tali fini, la funzione esercitata dai centri
di trasmissione dati (CTD) distribuiti sul territorio e contrattualmente legati alla
società estera organizzatrice del gioco.
Sulla base di tale ragionamento, il tribunale distrettuale ha perciò escluso
che in Italia possa ritenersi localizzato l’oggetto principale del gruppo Stanley
essendo insufficiente a radicare il criterio di collegamento il solo dato formale
costituito dalla presenza sul territorio nazionale di manager o dei CTD, sprovvisti
di idoneità produttiva, atteso che l’attività di detti centri pacificamente si limita,
tramite postazione internet, a fornire un supporto tecnico per l’inoltro dei dati
dallo scommettitore al gestore, rimanendo così i Centri estranei al contratto di
scommessa e, sotto tale aspetto, svolgendo un’attività meramente ausiliaria o
preparatoria rispetto alla gestione dell’impresa e dunque non sussunnibile nel
concetto di stabile organizzazione, pur volendo dare credito alle critiche che il
ricorrente sul punto solleva, non avendo i CTD, neanche con riferimento
all’attività ulteriore che si assume significativa (rilascio delle ricevute di gioco,
apertura di conto o altro), alcun margine di autonomia organizzativa e
decisionale al riguardo perché solo a S.I.B.L. compete la gestione
dell’organizzazione delle scommesse.

vantaggiosa, non costituisce abuso della libertà di stabilimento e che la misura

Siffatti aspetti fattuali il ricorrente stesso non contesta ma di essi fornisce
una diversa e più logica, dal suo punto di vista, ricostruzione ed interpretazione
attraverso la quale postula l’esistenza di una struttura societaria “occulta”, come
tale autonoma e diversa da S.I.B.L. e S.M.L.
Tuttavia, pacifico che l’attività di gestione della piattaforma di gioco non è
in alcun modo svolta in Italia, il criterio di collegamento costituito dal fatto che
l’oggetto principale dell’attività deve essere esercitata nel territorio nazionale non
appare configurabile e la presenza di figure manageriali, unitamente all’attività

piattaforma informatica che il gruppo Stanley deve necessariamente svolgere per
l’esercizio dei giochi on line e che svolge interamente all’estero.
Del resto la normativa di settore (L. n. 88 del 2009, art. 24),
conformemente al principio comunitario della libertà di stabilimento, non richiede
la necessaria correlazione tra l’offerta del gioco nel territorio dello Stato e la sede
dell’impresa nel medesimo territorio, con la conseguenza che è possibile de iure
svolgere l’attività dall’estero e ciò si spiega evidentemente in ragione della
peculiarità del gioco a distanza, che è fornito mediante piattaforme on line, per
cui è possibile la gestione dell’attività fuori del territorio dello Stato (previo
rilascio della concessione che il gruppo Stanley non possiede e per la qual cosa
è stato introdotto presso la Corte di Giustizia un contenzioso, tuttora in corso,
con lo Stato italiano) nel quale risiedono i soggetti cui il gioco viene offerto (e
quindi dal mercato di riferimento).
Deve pertanto essere ribadito il principio di diritto secondo il quale, ai fini
della integrazione del reato di cui all’art. 5 del D.Lgs. 74 del 2000, l’obbligo di
presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte di una società
commerciale avente sede legale all’estero ma operante in Italia non sussiste
quando la sede della direzione effettiva della società non è sita nel territorio
italiano atteso anche quanto previsto dalle norme internazionali contro le doppie
imposizioni fiscali (Sez. 3, n. 1811 del 30/10/2013, dep. 17/01/2014, Pinhas,
Rv. 258367).
La circostanza poi che, rispetto alla gestione delle scommesse, i CTD e i
managers svolgano o meno un’attività preparatoria e ausiliaria (invece che
autonoma e produttiva tanto da indurre a ritenere che nel territorio nazionale
operi, con carattere di stabilità, una impresa occulta corrispondente a Stanley
Italia) costituisce un aspetto fattuale della vicenda che non è censurabile in
questa sede attraverso il controllo del provvedimento gravato, posto che in
materia di impugnazioni cautelari reali il ricorso per cassazione è ammesso
soltanto per la violazione di legge e non per i vizi della motivazione, dovendosi
escludere, per quanto in precedenza esposto, che il tribunale cautelare sia
incorso sul punto nel vizio di omessa o apparente motivazione, i soli casi che
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dei CTD, non può certo esaurire la più complessa attività di gestione della

consentono di configurare, in relazione all’apparato argonnentativo, la violazione
di legge.

3. Assorbite le restanti questioni, il ricorso va dunque rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso del pubblico ministero.

Così deciso il 04/03/2015

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