Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26721 del 04/03/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 26721 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
1) Montella Vincenzo, nato a Montecorvino Pugliano il 13-02-1963
2) Autuori Aldo, nato a Salerno il 21-02-1970
3)

Galiano Maurizio, nato a Battipaglia il 25-05-1973

4)

Montella Ernesto, nato ad Olevano sul Tusciano il 11-08-1970

5)

Felitti Romeo, nato a Vietri di Potenza il 28-03-1956

6)

Iuorio Cosimo, nato ad Eboli il 25-12-1976

avverso la ordinanza del 12-08-2014 della Tribunale della libertà di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Izzo
Gioacchino che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
udito per i ricorrenti gli avvocati Gaetano Pastore, Massimo Ancarola, anche in
sostituzione dell’avvocato Agostino De Caro, Saverio Maria Accarino, Alessandro
Gaeta che hanno concluso per l’accoglimento dei ricorsi;

Data Udienza: 04/03/2015

RITENUTO IN FATTO

1. È impugnata l’ordinanza indicata in epigrafe con la quale il tribunale della
libertà di Salerno ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal
gip presso il medesimo tribunale in data 25 maggio 2014 per il reato di
associazione a delinquere (di carattere transnazionale) finalizzata a commettere
una serie indeterminata di reati diretti a sottrarre un’ingente quantità di oli
minerali al pagamento dell’accisa, ordinando il sequestro preventivo finalizzato

3.876.200 a carico di numerose persone.
Nel pervenire alla conclusione di ritenere integrati il fumus criminis ed il
periculum in mora, il tribunale cautelare ha osservato come il gip avesse emesso
un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di dodici persone per il
reato associativo, disponendo inoltre l’applicazione di altre misure cautelari
personali per altri indagati e decreto di sequestro preventivo finalizzato alla
confisca per equivalente sul rilievo che, nel corso di attività investigativa posta in
essere per reprimere le violazioni alla normativa in tema di accisa, nel mese di
gennaio 2013, erano stati acquisiti consistenti elementi in ordine ad una
associazione per delinquere finalizzata all’illecita introduzione e alla distribuzione,
in agro salernitano, di prodotti petroliferi, segnatamente di ingenti quantità di
carburante per autotrazione, proveniente da depositi attivi in paesi comunitari, al
fine di evadere la relativa imposta, grazie anche all’eliminazione dei controlli alle
frontiere tra Stati membri.
Avviato il procedimento penale, le attività investigative, in modo particolare
le attività di intercettazione delle conversazioni tra gli indagati, consentivano di
scoprire l’esistenza e l’operatività, da oltre un anno, di una consolidata
organizzazione criminale, stabilmente operante, nonché di definire nel dettaglio il
fine illecito perseguito e il contesto criminale di riferimento, rilevando i contatti
intercorsi tra i soggetti coinvolti e in particolare il ruolo che essi rivestivano in
seno all’organizzazione. Veniva infatti ricostruita un’associazione per delinquere
capeggiata dal cittadino rumeno Pop Laurentiu Marius, che si avvaleva della
attiva collaborazione di Salvatore Attanasio e di altri sodali, tesa a trasferire
indebitamente, ad operatori economici del settore, gasolio per autotrazione
attestandone fittiziamente il trasporto su strada mediante documentazione non
idonea, con la quale il prodotto energetico veniva indicato come olio lubrificante.
Venivano altresì individuati sia i luoghi di scarico temporaneo di detto
prodotto che alcuni operatori i quali ne avevano beneficiato e soprattutto i reali
destinatari dello stesso. In definitiva, alle attività di intercettazione telefonica,
erano state efficacemente associate quelle di osservazione e pedinamento dei

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alla confisca per equivalente fino ad un valore corrispondente alla somma di euro

soggetti di interesse investigativo nonché quelle dirette all’acquisizione
documentale e ai sequestri degli autoarticolati trasportanti gasolio.
In relazione poi alla natura dei dati acquisiti tramite le conversazioni
captate, il Gip evidenziava che in alcuni colloqui il linguaggio utilizzato appariva
chiaramente tale da dissimulare il reale oggetto dei dialoghi (ovvero il prodotto
petrolifero) e che ciò nonostante poteva giungersi ad una completa e corretta
interpretazione delle conversazioni stesse.
Inoltre, nel corso delle indagini, erano stati disposti, parallelamente alla

cisterna di nazionalità rumena circa 25.000 kg di prodotto petrolifero con
contestuale arresto dell’autista anch’esso di nazionalità rumena; quello del 17
luglio 2013 di ulteriori 26.000 litri di analogo prodotto, contenuti in contenitori di
plastica da mille litri cadauno, dell’automezzo commerciale telonato che li
trasportava e la denuncia a piede libero dei due autisti; quello del 25 luglio 2013
di 435 kg circa di t.l.e. di contrabbando, oltre all’automezzo, con il contestuale
arresto dei due autisti nazionalità rumena; e quello del 16 ottobre 2013 di
52.000 litri di gasolio, contenuti in 52 “cubi” di plastica, di 52 contenitori vuoti e
di un automezzo commerciale, nonché la denuncia a piedi e libero di due
soggetti.

2. Per la cassazione dell’impugnata ordinanza i ricorrenti, tramite i rispettivi
difensori, hanno articolato i seguenti motivi, qui enunciati, ai sensi dell’articolo
173 disposizione di attuazione al codice di procedura penale, nei limiti
strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Ernesto Montella e Vincenzo Montella (il quale ha proposto due ricorsi
per il tramite dei rispettivi difensori) deducono, con un primo motivo, la nullità
dell’ordinanza impugnata per violazione di legge in relazione all’art. 321 cod.
proc. pen. e all’articolo 416 cod. pen. nonché difetto di motivazione (art. 606,
comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.) nonché, con un secondo motivo, la
nullità dell’ordinanza per violazione di legge in relazione all’art. 321 cod. proc.
pen. e all’art. 11 legge 146 del 2006 oltre al difetto di motivazione (art. 606,
comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.).
Assumono come il sequestro per equivalente sia stato disposto ritenendo
che le imposte evase costituissero automaticamente il profitto del reato
associativo e tanto sulla base di calcoli assertivamente operati dalla Guardia di
finanza ed omettendo tuttavia di considerare come un tale automatismo non
trovasse alcun giuridico fondamento posto che, anche al cospetto di proventi
associativi, sarebbe stato necessario accertare la sussistenza o meno di un nesso
di derivazione causale immediata tra il reato associativo e l’asserito profitto
correlato alle imputazioni costituenti realizzazione del proposito solidale.

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progressione investigativa, quattro sequestri: quello del 17 maggio 2013 di una

Sostengono inoltre i ricorrenti come fosse stato indispensabile, in relazione
al sequestro per equivalente dei profitti conseguiti con i reati scopo, individuare il
reale coinvolgimento di un gruppo transnazionale al quale fossero riferibili i
profitti conseguiti attraverso la realizzazione del programma di delinquenza,
dovendosi poi distinguere (analisi, secondo i ricorrenti, del tutto pretermessa nel
corso degli incidenti cautelari) il profitto diretto dei singoli reati perpetrati, che
avvantaggiava evidentemente soltanto gli autori di questi ultimi, dal profitto che
riceveva invece l’associazione nel suo complesso attraverso la consumazione dei

2.2. Romeo Felitti lamenta, con un primo motivo, la nullità dell’ordinanza
impugnata per erronea applicazione della legge penale con riferimento
all’ammontare dell’imposta evasa ed in relazione al concetto di profitto nonché al
quantum sequestrabile desumibili dall’articolo 11 legge 16 marzo 2006 n. 146, e
dall’articolo 322 ter codice penale (art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.)
e, con un secondo motivo, la nullità dell’ordinanza impugnata per mancanza di
motivazione, in violazione dell’articolo 125, comma 3, cod. proc. pen., riguardo
al motivo di gravame circa l’insussistenza del fumus delicti (art. 606, comma 1,
lett. e), cod. proc. pen.).
2.3. Maurizio Galiano denunzia, con un primo motivo, la violazione e/o la
falsa applicazione della legge in relazione al concetto di profitto desumibile
dall’articolo 11 legge 146 del 2006 (art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.);
con un secondo motivo, la violazione e/o l’erronea applicazione della legge
processuale penale in relazione all’articolo 321 cod. proc. pen. in merito al fumus
delicti (art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.) e, con un terzo motivo, la
mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione su punti
decisivi per il giudizio (art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.).
Assume che il giudice cautelare, nella applicazione della misura, aveva
disposto il sequestro preventivo di somme di denaro, beni ed altre utilità fino ad
un valore corrispondente ad un profitto, del tutto esorbitante, quantificato
sommando anche i presunti profitti parannetrati a singoli reati fine mai
contestati.
Secondo il ricorrente, se è vero che il profitto dell’associazione costituisce la
sommatoria dei profitti dei reati – fine, tuttavia il concetto penalistico di profitto
sarebbe stato, nella specie, completamente svilito e travisato dai giudici della
cautela perché il valore di esso doveva essere contenuto nella somma dei profitti
individuabili dai reati scopo contestati, che successivamente diventava anche
profitto dell’associazione e, come tale, per il principio solidaristico, imputabile ad
ogni associato che, a limite, rispondeva in concorso anche dei reati scopo
commessi da altri.

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reati scopo.

Ciò avrebbe consentito anche di assecondare il requisito della individualità
del profitto così da giustificare, sia pure con la provvisorietà tipica della fase
cautelare, il quantum del sequestro per equivalente da accollare ad ogni singolo
associato.
Quindi, prima che il profitto dell’associazione possa essere posto a carico di
ogni associato, è necessario che il reato fine che ha determinato quale profitto
venga, sebbene con le forme attenuate tipiche della fase cautelare, contestato a
qualcuno dei sodali (e, in ordine ad esso, se ne ravvisi il fumus criminis).

scopo, ha genericamente affermato come sarebbe da escludere che l’importo
sequestrato fosse esorbitante dal profitto del reato accertato, in ragione di una
serie di elementi fattuali, che non risolvono, ad avviso del ricorrente, né il
problema della attribuibilità soggettiva di quei fatti reato e neppure il problema
dell’assoluta indeterminatezza dei quantitativi importati.
2.4. Aldo Autuori ha prospettato, con un primo motivo, l’erronea
applicazione della legge penale in relazione al concetto di profitto previsto
dall’articolo 11 legge 146 del 2009 e art. 322 ter cod. pen. (art. 606, comma 1,
lett. b), cod. proc. pen.; con un secondo motivo, la nullità dell’ordinanza
impugnata per l’art. 125, comma 3, cod. proc. pen. in relazione alla specifica
doglianza del perimetro del profitto sequestrabile nel caso di associazione
finalizzata al contrabbando di oli minerali (art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod.
proc. pen.) e, con un terzo motivo, la nullità dell’ordinanza per violazione
dell’articolo 125, comma 3, cod. proc. pen. in ordine alla doglianza sul difetto di
fumus criminis (art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen.).
2.5. Cosimo Tuono eccepisce, con un primo motivo, la violazione di legge
per erronea quantificazione del profitto confiscabile (art. 606, comma 1, lett. b),
cod. proc. pen.) e, con un secondo motivo, il difetto di motivazione per mero
richiamo dell’ordinanza di riesame al decreto Gip in tema di sussistenza del
fumus criminis (art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono fondati nei limiti e sulla base delle considerazioni che
seguono.

2.

Sono invece manifestamente infondati tutti i motivi di ricorso che

denunciano il vizio di motivazione o la violazione di legge per l’insussistenza del
fumus criminis con riferimento alle ipotesi di reato oggetto delle imputazioni
provvisorie per le quali è stata disposta la misura cautelare reale.

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Il tribunale, anziché porsi il problema della mancata contestazione dei reati

Sul punto, è sufficiente osservare come il Collegio cautelare abbia fondato la
ratio decidendí non solo sulle risultanze rassegnate nel provvedimento emesso
dal giudice per le indagini preliminari, oggetto di specifica disamina (v. sub 1 del
ritenuto in fatto), ma anche sulla base di diffuse ed autonome valutazioni
operate (v. pag. 8 e ss. dell’impugnata ordinanza) sia con riferimento al quadro
cautelare generale e sia con riferimento alle singole posizioni processuali, in
ordine alle quali ha dato specificamente atto delle doglianze mosse nei confronti
del decreto gravato con il riesame, con la conseguenza che, da un lato, deve

confiscabile e all’attribuzione di esso ad ogni singolo indagato, l’ipotesi
dell’assenza della motivazione o della motivazione apparente e, dall’altro, si deve
ricordare come le Sezioni unite di questa Corte abbiano precisato che il ricorso
per cassazione non è consentito contro le ordinanze emesse in materia di
sequestro preventivo o probatorio allorquando si invoca il sindacato sui vizi della
motivazione, essendo detto controllo ammesso esclusivamente per violazione di
legge, dovendosi comprendere in tale nozione sia gli “errores in iudicando” o “in
procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato
argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo
dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo
a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932
del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692).
Il provvedimento impugnato si sottrae ampiamente dalle dedotte censure
perché, tenendo anche conto delle memorie e dei rilievi difensivi (pag. 15 ss.),
ha fondato la sussistenza del fumus crimínis sulla base degli elementi desunti
dalle intercettazioni telefoniche, dai sequestri eseguiti dalla polizia giudiziaria e
dalla documentazione sequestrata, elementi sui quali si era diffuso il Gip
nell’emettere l’ordinanza di custodia cautelare, acquisita agli atti e seguita
dall’emanazione del decreto di sequestro preventivo, sicché il tribunale del
riesame, nel confermare l’esistenza del fumus, ha ancorato il quadro indiziario ad
una soglia anche superiore alla “serietà degli indizi” quale parametro necessario
per radicare il fumus commissi delicti in materia di misure cautelari reali (Sez. 3,
n. 37851 del 04/06/2014, Parrelli, Rv. 260945).

2.

Sono fondati i restanti motivi di gravame che, in quanto tra loro

strettamente connessi, possono essere congiuntamente scrutinati.
Con essi, i ricorrenti pongono infatti analoghe questioni che attengono alla
individuazione (e conseguente motivazione in proposito) del profitto confiscabile,
per equivalente, nell’ipotesi di sussistenza del

fumus

sia in ordine ad

un’associazione per delinquere a carattere transnazionale e sia dei reati – scopo
anch’essi commessi con l’aggravante della transnazionalità e rientranti nel
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essere esclusa, salvo per quanto si dirà in ordine alla quantificazione del profitto

programma di delinquenza nonché del quantum (e conseguente motivazione in
proposito) del profitto confiscabile a carico di ogni singolo associato e dei criteri
utilizzati per determinarlo.
2.1. Il tribunale cautelare ha affermato che, in base al principio solidaristico,
è legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, di cui
all’articolo 322 ter codice penale, eseguito per l’intero importo del prezzo o del
profitto del reato nei confronti di un concorrente del delitto nonostante le somme
illecite siano state incamerate in tutto o in parte da altri coindagati, salvo

Ad avviso del Collegio cautelare, tale principio, applicabile in tema di
concorso di persone nel reato, sarebbe maggiormente valido nella ipotesi di
concorso necessario, come nelle fattispecie inerenti ai reati associativi, sicché, in
applicazione di detto principio, sarebbe da ritenersi superata la questione della
proporzionalità del sequestro rispetto alle condotte dei singoli ricorrenti, in
presenza di un quadro indiziario dimostrativo del fatto che tutti gli indagati, con i
diversi ruoli da essi ricoperti, avevano contribuito alla realizzazione del
programma associativo (ed alla realizzazione del relativo profitto) mediante
l’acquisto del prodotto petrolifero oppure attraverso le altre condotte oggetto di
contestazione, con la conseguenza che, secondo il principio della solidarietà,
ciascun partecipante all’associazione avrebbe dovuto rispondere del profitto
conseguito anche dagli altri autori del reato e dall’organizzazione criminale nel
suo complesso, potendo eventualmente porsi solo un problema di
determinazione del profitto complessivo.
Sulla base poi di una serie di elementi indiziari (elencati pagina 12
dell’ordinanza impugnata), valutati secondo lo standard probatorio proprio del
giudizio cautelare, il tribunale distrettuale ha affermato che l’organizzazione
criminale aveva movimentato considerevoli quantitativi di gasolio (o comunque
oli combustibili) nel periodo di osservazione, operando numerosi trasferimenti di
prodotti petroliferi verso il territorio nazionale ed utilizzando meccanismi
fraudolenti per evadere le imposte mediante transazioni coinvolgenti più imprese
tra loro collegate (con sede in diversi Stati membri), con la conseguenza che
doveva ritenersi congrua la stima di un profitto illecito conseguito pari ad euro
3.876.000, così come quantificato nell’informativa della Guardia di Finanza in
relazione all’accisa e all’Iva evase.
2.2. Sul punto, i ricorrenti obiettano come il tribunale cautelare avesse
immotivatamente sganciato il profitto del reato associativo dalla sommatoria dei
profitti conseguiti attraverso la realizzazione dei reati – fine, epilogo (secondo
alcuni ricorrenti) per ciò solo conseguito in violazione di legge o comunque
(secondo altri ricorrenti) illegittimo per avere i Giudici della cautela postulato
ulteriori evasioni tributare (rispetto ai reati – fine oggetto delle contestazioni

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l’eventuale riparto tra í concorrenti medesimi.

cautelari) non contestate e neppure attribuite ad alcuni degli associati,
omettendo dunque di motivare (o comunque apparentemente motivando
attraverso il mero richiamo ai calcoli effettuati dalla Guardia di Finanza) sui
criteri in base ai quali è stata determinata l’entità del profitto sequestrabile in
vista della futura confisca.

3. Il secondo rilievo è fondato e richiede di affrontare la questione centrale
(e pregiudiziale), proposta con i ricorsi, ossia quella relativa ai rapporti tra il

le doglianze hanno investito l’ordinanza impugnata sotto due principali aspetti:
quello più radicale, secondo cui il profitto confiscabile sarebbe esclusivamente
corrispondente ai vantaggi derivati dalla consumazione dei reati – scopo, essendo
il reato – mezzo insuscettibile di generare profitti, sicché il patrimonio di ogni
associato sarebbe aggredibile, anche per equivalente, nei limiti del vantaggio
conseguito attraverso la sommatoria del profitto dei singoli reati – fine ascrivibili
a ciascuno di essi ed essendo indifferenti i reati commessi dagli altri, sebbene in
vista della realizzazione del comune programma di delinquenza; e l’altro, più
attenuato, secondo il quale il profitto del reato associativo corrisponderebbe alla
sommatoria dei profitti conseguiti con i reati – fine da qualsiasi associato
commessi con la specificazione che la determinazione del profitto dei reati scopo, che devono perciò essere previamente accertati e contestati, costituisce
necessariamente il limite oltre il quale non può spingersi il sequestro di valore.
3.1. Sul punto, è il caso di precisare come la giurisprudenza di questa Corte
sia divisa, essendo emerso un recente contrasto interpretativo sul punto.
3.1.1. Secondo un primo orientamento, il reato di associazione per
delinquere di cui all’art. 416 cod. pen. non genera autonomamente dai reati-fine
vantaggi economici costituenti prodotto o profitto illecito immediatamente
riconducibili al sodalizio criminale come tali suscettibili di confisca, in quanto il
mero fatto di associarsi al fine della commissione dì più delitti è di per sé
improduttivo di ricchezze illecite (Sez. 1, n. 7860 del 20/01/2015, Meli, Rv.
262758). Tale approdo, secondo il richiamato indirizzo, sarebbe stato ribadito in chiave esplicativa della differente proiezione sul terreno economico correlata
alla associazione di stampo mafioso ex art. 416 bis cod. pen. – dalle Sezioni
Unite Iavarazzo (Sez. U. n. 25191 del 27.2.2014).
3.1.2. Secondo un altro orientamento il delitto di associazione per
delinquere può essere considerato in sé idoneo a generare profitto illecito – come
tale suscettibile di confisca in via del tutto autonoma da quello conseguito dai
reati-fine perpetrati in esecuzione del programma criminoso – con riferimento
alle utilità percepite dagli associati per il contributo da essi prestato per

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reato mezzo (reato associativo) e i reati – fine, posto che, come si è anticipato,

assicurare il regolare funzionamento del sodalizio (Sez. 2, n. 6507 del
20/01/2015, Scoponi, Rv. 262782).
Partendo dal principio già affermato in termini da questa Corte secondo cui il
profitto del reato di associazione per delinquere, sequestrabile ai fini della
successiva confisca per equivalente (L. 16 marzo 2006, n. 146, art. 11), è
costituito dal complesso dei vantaggi direttamente conseguenti dall’insieme dei
reati fine, dai quali è del tutto autonomo e la cui esecuzione è agevolata
dall’esistenza di una stabile struttura organizzata e dal comune progetto

approdo ermeneutico è stato ritenuto coerente con l’analisi interpretativa
effettuata dalle Sezioni Unite penali proprio nella sentenza Iavarazzo, laddove è
stato affermato che il delitto di associazione di tipo mafioso può costituire il
presupposto dei reati di riciclaggio e di reimpiego di capitali, in quanto di per sé
idoneo a produrre proventi illeciti, rientrando negli scopi dell’associazione anche
quello di trarre vantaggi o profitti da attività economiche lecite per mezzo del
metodo mafioso (Sez. U, n. 259587 del 27/02/2014, Iavarazzo, Rv. 259587).
Tali valutazioni, secondo l’indirizzo in rassegna, possono essere estese a tutti i
casi in cui la associazione, pur non inquadrandosi come mafiosa, si fonda su una
organizzazione complessa che prevede la corresponsione di utili in relazione al
solo contributo prestato al sistema associativo, come nel caso di associazione
transnazionale che presenta una organizzazione complessa ed un funzionamento
articolato il quale richiede l’impiego permanente di risorse umane e professionali
e si presenta idonea a garantire un profitto illecito conseguente al solo contributo
associativo, essendo le risorse dirette ad assicurare tale profitto generate dalla
consumazione dei reati – fine.
3.1.3. Tale ultimo orientamento, con i necessari temperamenti, appare
maggiormente condivisibile dovendosi partire dall’indubbio presupposto che
proprio il rapporto esistente tra reato – mezzo e reati – fine, che è quello
intercorrente tra il reato associativo e i reati – scopo, rende il fatto tipico del
primo delitto diverso dal fatto tipico dei secondi sicché non appare giustificabile
la tesi che non ammette la possibilità di imputare direttamente al reato
associativo il profitto dei reati-fine.
Una tale possibilità sembra peraltro ammessa ex positivo iure laddove l’art.
416 bis cod. pen. afferma che l’associazione è di tipo mafioso quando coloro che
ne fanno parte si avvalgono del “metodo mafioso” per realizzare, tra l’altro,
“profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri” sicché, in un contesto criminale
associativo sia esso o meno di tipo mafioso, non vale obiettare che, siccome gli
agenti pongono in essere i reati-fine, sono questi delitti – non quello associativo a produrre direttamente il profitto.

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delinquenziale (Sez. 3, n. 5869 del 27/01/2011, Scaglia,Rv. 249537), siffatto

Il reato di associazione per delinquere, integrate tutte le altre condizioni per
la sua configurabilità che nella specie devono ritenersi sussistenti, implica che gli
associati agiscano nella consapevolezza delle attività volte alla realizzazione del
comune programma criminale e dei profitti che ne derivano, ossia dei profitti
che, in qualunque forma, l’associazione vada concretamente e periodicamente a
conseguire in maniera duratura e permanente, anche e soprattutto attraverso la
consumazione dei reati programmati, sicché non vi è dubbio che i proventi
delittuosi, realizzati con la consumazione dei detti reati costituisce il vantaggio

prevedibile ripartizione degli utili, del cui conseguimento, quale profitto del reato
associativo, tutti gli associati, a maggior ragione i promotori e gli organizzatori,
devono pertanto rispondere.
In altri termini, i partecipi sono consapevoli sia del fatto che le proprie
condotte rientrano nell’esecuzione del programma criminoso attraverso lo
specifico contributo ricompreso nel generico programma di delinquenza e sia del
fatto che il profitto non è destinato a recare un vantaggio uti singuli, se non
limitatamente alla divisione degli utili conseguiti dall’organizzazione.
Questa è la ragione per la quale la giurisprudenza di legittimità ha affermato
che il profitto dei reati-fine ben può essere direttamente considerato come
profitto del reato associativo (Sez. 3, n. 11969 del 24/02/2011, Rossetti, Rv.
249760), senza che si abbia alcuna inaccettabile duplicazione di esso.
In siffatti casi il profitto dei singoli reati – fine, e dunque la sommatoria dei
vantaggi che da essi scaturiscono, si traduce in una utilità per l’intera
organizzazione criminale ed i suoi componenti sicché, quando il profitto dei reati
– fine (soprattutto allorché essi, come nella specie, siano costituiti da condotte
latu sensu fraudolente) giova all’intera societas sceleris nel suo complesso, tale
profitto, così individuato, può essere fondamentalmente posto a base della
quantificazione del valore dei beni da confiscare per equivalente alla duplice
condizione che la confisca di valore, cui il sequestro preventivo è finalizzato,
costituisca misura espressamente prevista in presenza della realizzazione del
reato associativo e sempre che, qualora detta misura sia anche espressamente
prevista per in caso di realizzazione dei reati – fine, non si abbia una indebita
duplicazione del profitto confiscabile, preclusa, stante la natura sanzionatoria
della confisca, dal principio del

ne bis in idem sostanziale e da quello di

proporzionalità, presidiato da copertura costituzionale (art. 42 Cost.) e
sovranazionale (art. 1 del protocollo addizionale CEDU nella misura in cui
appresta una stringente tutela alla proprietà non ammettendo una disciplina
della confisca di valore che vedesse fissati i limiti di espropriabilità dei beni in
maniera troppo elastica o contrastante con il principio di ragionevolezza o di
proporzionalità).

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\sr)-1

per il quale il reato associativo è stato concepito, anche in funzione della

Conclusivamente, la determinazione del profitto confiscabile – nei confronti
di colui che, come nella specie, risponda, oltre che dei reati – fine (aggravati
all’art. 4 legge n. 146 del 2006, avendo nella commissione di essi contribuito un
gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato),
anche del reato associativo transnazionale, essendo contestato il fatto di
partecipare ad una societas sceleris

costituita allo scopo di assicurare l’ingresso

illecito nel territorio nazionale di prodotto petrolifero in contrabbando (in quanto
commercializzato in totale evasione dell’imposta di consumo, accisa ed IVA) –

complesso per effetto della consumazione dei singoli reati – fine, che vanno
pertanto accertati e attribuiti, sia pure nelle forme provvisorie della fase
cautelare, ad uno o più associati (anche, se del caso, ignoti) e di tale profitto, in
uno ai coimputati, ogni associato è chiamato a rispondere dal momento in cui ha
aderito al sodalizio criminale.
Sicché – vertendosi in una ipotesi di concorso necessario – il sequestro
preventivo, funzionale alla futura adozione della confisca per equivalente di beni
per un importo corrispondente al prezzo, prodotto o al profitto del reato, può
essere disposto per l’intera entità del profitto accertato e può interessare
indifferentemente ciascuno degli associati anche se l’espropriazione non può
essere duplicata, né può eccedere nel

quantum

l’ammontare complessivo

dell’accertato profitto.

4.

Nel caso di specie, l’impugnata ordinanza – pur facendo corretta

applicazione del principio secondo il quale anche l’associazione per delinquere
può generare profitti illeciti e del principio solidaristico applicabile nei reati a
concorso necessario – non ha spiegato, da un lato, il criterio attraverso il quale il
profitto confiscabile è stato determinato in via presuntiva (v. sub 2.2. del
considerato in diritto), incorrendo nel vizio di omessa motivazione su un punto
decisivo per il giudizio cautelare, ed ha trascurato, dall’altro, di considerare che,
per la determinazione del profitto confiscabile, è necessario, nel caso di specie,
fare riferimento alla sommatoria dei profitti conseguiti attraverso l’accertamento
dei reati – fine.

5. L’ordinanza impugnata va pertanto annullata con rinvio per nuovo esame
ed il giudice di rinvio si atterrà ai seguenti principi di diritto enunciati ai sensi
dell’art. 173, comma 2, disp. att. cod. proc. pen.: “il delitto di associazione per
delinquere è idoneo a realizzare profitti illeciti sequestrabili – ai fini della
successiva confisca per equivalente nei casi espressamente previsti dalla legge
(nella specie ex art. 11, legge 16 marzo 2006, n. 146) – in via del tutto
autonoma rispetto a quelli conseguiti attraverso i reati-fine perpetrati in

11

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corrisponde alla sommatoria dei profitti conseguiti dall’associazione nel suo

esecuzione del programma di delinquenza e la cui esecuzione è agevolata
dall’esistenza di una stabile struttura organizzata e dal comune progetto
criminale, con la precisazione che la determinazione del profitto confiscabile
corrisponde alla sommatoria dei profitti conseguiti dall’associazione nel suo
complesso per effetto della consumazione dei singoli reati – fine, che vanno
pertanto accertati e attribuiti, sia pure nelle forme provvisorie tipiche della fase
cautelare, ad uno o più associati (anche, se del caso, ignoti) e di tale profitto, in
uno ai coimputati, ogni associato è chiamato a rispondere dal momento in cui ha

anche parziale, del profitto confiscabile e, qualora si ricorra per la
determinazione di esso a calcolare le imposte evase in via presuntiva o indiziaria,
con la specifica indicazione dei criteri utilizzati per il relativo calcolo”.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Salerno.
Così deciso il 04/03/2015

aderito alla societas sceleris, senza che ciò possa comportare una duplicazione,

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