Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26702 del 18/02/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 26702 Anno 2015
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Siciliano Cateno, nato a Barrafranca il 22.2.1961, avverso
l’ordinanza emessa dalla corte di appello di Catania 1’11.7.2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
FATTO E DIRITTO

1. Con ordinanza pronunciata 1’11.7.2014 la corte di appello di
Catania, per la ragioni che saranno illustrate in seguito, dichiarava
inammissibile l’istanza con cui Siciliano Cateno chiedeva la

Data Udienza: 18/02/2015

revisione della sentenza con cui quest’ultimo era stato condannato
dalla corte di assise di appello di Caltanissetta, con sentenza
pronunciata il 21.6.2000, divenuta irrevocabile il 24.10.2001, alle
pene, principale ed accessorie, ritenute di giustizia, in relazione

di arma da fuoco, sparati da una pistola, cal. 9, ed al reato di
porto illegale di arma da sparo.
Come rilevato dalla corte territoriale, la domanda di revisione era
fondata sulla richiesta di una nuova perizia balistica, da svolgersi
secondo una nuova tecnica di indagine, dedotta come prova
nuova, ai sensi dell’art. 630, lett. c), c.p.p., allo scopo di
dimostrare che l’espulsore della pistola dal Siciliano regolarmente
detenuta all’epoca dei fatti, ritenuta l’arma del delitto, non
sarebbe stato sostituito, previa manomissione, effettuata
successivamente all’omicidio proprio per evitare che gli organi
investigativi potessero collegare i proiettili rinvenuti sul luogo del
delitto alla pistola detenuta dal ricorrente, come affermato nella
sentenza di condanna, trattandosi dello stesso espulsore
assemblato in origine dal costruttore.
Con la nuova perizia, nella prospettiva della difesa del Siciliano,
sarebbe possibile escludere la manomissione dell’arma, invece
accertata dai periti d’ufficio e, di conseguenza, che l’arma usata
per il delitto fosse proprio quella detenuta dal Siciliano.
2. Avverso la decisione della corte territoriale, di cui chiede
l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione
l’imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, avv. Stefano
Giorgio, del Foro di Roma deducendo che erroneamente la corte
territoriale, da un lato ha ritenuto che la perizia balistica non può
assumere la veste di prova nuova, in quanto un accertamento

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all’omicidio del cugino Salamone Giuseppe, raggiunto da otto colpi

effettuato con l’impiego di nuove metodologie scientifiche
costituisce quel novum che può superare il giudicato formatosi
sulla sentenza di condanna; dall’altro che l’esito di tale prova, ove
favorevole al condannato, non possieda il carattere della

invece di riferirsi alla motivazione della sentenza di merito, che
aveva definito di decisiva rilevanza la circostanza che la pistola
non fosse del condannato, ha fatto improprio riferimento a
precedenti ordinanze già emesse in ordine ad analoghe richieste
difensive.
3.

Con requisitoria scritta depositata 1’11.12.2014 il pubblico

ministero, nella persona del sostituto procuratore generale, dott.
Massimo Galli, chiede che il ricorso venga accolto.
4. Con memoria depositata il 2.2.2015 il ricorrente ribadisce la
natura di prova nuova dell’accertamento tecnico richiesto e la sua
decisività per rivalutare la condotta del Siciliano, ai fini della
sussistenza della legittima difesa o dell’eccesso colposo della
stessa nel nuovo giudizio di revisione, in caso di esito positivo
della prova richiesta.
5. Il ricorso va rigettato, per infondatezza dei motivi che lo
sostengono.
4. Ed invero, quanto alla invocata richiesta di procedere a nuova
perizia, va sottolineato che, secondo quanto affermato
dall’orientamento dominante in sede di legittimità, condiviso dal
Collegio, in tema di revisione, agli effetti dell’art. 630 lett. c)
c.p.p., una perizia può costituire prova nuova se basata su nuove
acquisizioni scientifiche idonee di per sé a superare i criteri
adottati in precedenza e, quindi, suscettibili di fornire sicuramente
risultati più adeguati (cfr., ex plurimis Cass., sez. V, 22/01/2013,

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decisività, poiché nel formulare tale giudizio la corte territoriale

n. 14255, rv. 256599; Cass., sez. VI, 04/07/2013, n. 34531; rv.
256136).
Né va negletto l’ulteriore principio, affermato in altro condivisibile
arresto della giurisprudenza di legittimità, secondo cui

di revisione, deve porsi, ove abbia comportato il ricorso a nuove
tecniche e a nuove conoscenze, come il risultato di protocolli di
indagine riconosciuti dalla comunità scientifica (cfr. Cass., sez. II,
22/10/2009, n. 3031, rv. 246257).
Affinché, dunque, in presenza di una sentenza di condanna
passata in giudicato, fondata su di un accertamento peritale, la
perizia possa ritenersi una prova nuova, tale da legittimare la
richiesta di revisione, ai sensi dell’art. 630, lett. c), c.p.p., che fa
riferimento a nuove prove, sorte o scoperte successivamente alla
condanna, si badi bene, idonee, da sole o unite a quelle già
valutate, a dimostrare che il condannato deve essere prosciolto a
norma dell’art. 631, c.p.p., occorre che essa si fondi su nuove
acquisizioni scientifiche, quindi su nuove tecniche o su nuove
conoscenze riconosciute dalla comunità scientifica, in grado di
superare, mettendone in discussione i risultati, la valutazione già
effettuata sulla base delle pregresse acquisizioni scientifiche, su
cui si fonda la sentenza di condanna passata in giudicato.
A tali principi si è puntualmente attenuta la corte territoriale,
evidenziando correttamente come la richiesta difensiva di ripetere
l’accertamento peritale attraverso la tecnica della interferometria
e della profilometria, mediante l’utilizzazione di un modernissimo
microscopio “Leika DCM 3 D”, non fornisca alcuna certezza che
“l’indagine richiesta sia basata su nuove acquisizioni scientifiche
idonee di per sé a superare i criteri adottati in precedenza e,

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l’accertamento peritale, che può rendere ammissibile la richiesta

quindi suscettibili di fornire sicuramente risultati più adeguati”
(cfr. p. 1 del provvedimento oggetto di ricorso).
Sul punto, il ricorrente non fa che reiterare, anche con la memoria
depositata il 2.2.2015, il proprio punto di vista sul particolare

attraverso i quali dovrebbe essere rinnovato l’accertamento
peritale, evidenziando come “le valutazioni emerse nell’ambito
della perizia Lopez-Leone siano state acquisite tramite stereomicroscopi, forniti di luci polarizzate di impianto luce radente ed
all’infrarosso” (quindi non “a occhio nudo”, come lo stesso
ricorrente afferma nella citata memoria), “mentre l’accertamento
proposto per acquisire certezza scientifica di ben diverso spessore
si gioverebbe dello strumento di un’applicazione di

imaging

confocale, secondo la tecnica della interferometria e della
profilometria (cfr. pp. 4-5 del ricorso; p. 2 della memoria).
Si tratta, tuttavia, di affermazioni, che, nonostante le ulteriori
precisazioni di natura tecnica fornite in ricorso (cfr. pp. 8-9), da
un lato non spiegano in che termini la nuova perizia è in grado di
superare, mettendoli in discussione, i risultati raggiunti da quella
già espletata, dall’altro non consentono nemmeno di acclarare con
certezza il valore attribuito dalla comunità scientifica alle tecniche
secondo cui si sarebbe dovuto svolgere l’accertamento peritale.
5. Anche con riferimento al secondo motivo di ricorso, relativo al
carattere decisivo della prova nuova, ex art. 631, c.p.p., che la
corte territoriale ha escluso, la motivazione della sentenza
impugnata deve ritenersi esente da vizi.
In tema di revisione, infatti, la valutazione preliminare circa
l’ammissibilità della richiesta proposta sulla base di prove nuove
implica la necessità di una comparazione tra le prove nuove e

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valore scientifico che caratterizzerebbe le tecniche e gli strumenti

quelle già acquisite che deve ancorarsi alla realtà del caso
concreto e che non può, quindi, prescindere dal rilievo di evidenti
segni di inconferenza o inaffidabilità della prova nuova, purché,
però, riscontrabili “ictu oculi” (cfr. Cass., sez. VI, 30/01/2014, n.

Sicché il giudice di merito, nel corso della fase preliminare, ha il
limitato compito di valutare in astratto, e non in concreto, la sola
idoneità dei nuovi elementi dedotti a dimostrare – ove
eventualmente accertati – che il condannato, attraverso il riesame
di tutte le prove, unitamente a quella “noviter producta”, debba
essere prosciolto a norma degli art. 529, 530 e 531 c.p.p.; detta
valutazione preliminare, tuttavia, pur operando sul piano astratto
riguarda pur sempre la capacità dimostrativa delle prove vecchie e
nuove a ribaltare il giudizio di colpevolezza nei confronti del
condannato e, quindi, concerne la stessa valutazione del
successivo giudizio di revisione, pur senza gli approfondimenti
richiesti in tale giudizio, dovendosi ritenere preclusa, “in limine”,
una penetrante anticipazione dell’apprezzamento di merito,
riservato, invece, al vero e proprio giudizio di revisione, da
svolgersi nel contraddittorio delle parti (cfr. Cass., sez. V,
07/03/2014, n. 15403, rv. 260563).
Per l’ammissibilità della richiesta di revisione basata sulla
prospettazione di una nuova prova, dunque, il giudice deve
valutare non solo l’affidabilità della stessa, ma anche la sua
persuasività e congruenza nel contesto probatorio già acquisito
nel giudizio di cognizione, del quale occorre quindi identificare il
tessuto logico-giuridico (cfr. Cass., sez. I, 05/03/2013, n. 20196,
rv. 256157).

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20022, rv. 259779).

A tali principi si è scrupolosamente attenuta la corte territoriale,
evidenziando proprio l’inconferenza della prova nuova rispetto al
contesto probatorio acquisito nel giudizio di cognizione, che ha
escluso la possibilità di configurare la scriminante della legittima

presupposti (a partire dalla proporzione tra offesa e difesa), in
relazione alle concrete modalità del fatto” (cfr. p. 2 dell’ordinanza
oggetto di ricorso).
Il richiamo, effettuato nella motivazione dell’ordinanza della corte
territoriale, a precedenti ordinanze della stessa corte di appello,
va, pertanto, inteso correttamente come riferimento a decisioni di
analogo tenore rispetto a quella oggetto del presente giudizio, in
cui la richiesta di revisione era stata del pari rigettata proprio per
la ritenuta impossibilità di configurare la legittima difesa, alla luce
della dinamica dell’azione delittuosa, come ricostruita dai giudici di
merito in sede di giudizio, nel corso della quale ben otto colpi di
pistola vennero sparati dal Siciliano, più giovane e prestante della
persona offesa, mentre quest’ultima era disarmata.
Pertanto, risponde ad evidenti criteri di coerenza logica ritenere,
come fatto dalla corte territoriale, che, ove anche la perizia
provasse che l’arma rinvenuta nella disponibilità del Siciliano non
sia stata oggetto di manipolazione e, quindi, non sia la pistola con
cui è stato ucciso il Salamone, ciò non consente di affermare che
si possa dare credito alla versione difensiva, secondo cui il
Siciliano avrebbe ucciso il Salamone per legittima difesa,
utilizzando altra pistola in possesso di quest’ultimo, stante la
dimostrata insussistenza dei presupposti di legge per
l’applicazione di tale scriminante.

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difesa “in ogni grado del giudizio, per carenza dei relativi

6. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in
premessa va, dunque, rigettato, con condanna del ricorrente, ai
sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del
procedimento.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
Così deciso in Roma il 18.2.2015

P.Q.M.

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