Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26636 del 21/05/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 26636 Anno 2015
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: SAVANI PIERO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
SOTNYCHENKO GALYNA N. IL 10/03/1949
avverso la sentenza n. 19/2012 TRIBUNALE di VALLO DELLA
LUCANIA, del 05/02/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERO SAVANI;

Data Udienza: 21/05/2015

IN FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in data 5 febbraio 2014 il Tribunale di Vallo della Lucania, giudice d’appello, ha
confermato la sentenza emessa in data 15 giugno 2011 dal Giudice di Pace di Agropoli, appellata
da SOTNYCHENKO Galyna, dichiarata responsabile dei delitti di minacce e ingiurie, commessi
il 26 giugno 2006.
Propone ricorso per cassazione l’imputata deducendo violazione di legge per omessa decisione
da parte del primo giudice sulla richiesta di audizione di testi a difesa in un primo tempo non
ammessi; per mancata assunzione di testi decisivi; vizio di motivazione sulla responsabilità.
Osserva il Collegio che il ricorso è inammissibile in quanto generico e manifestamente infondato
nelle prospettazioni processuali; invero a verbale non risultano proposte tempestive eccezioni in
merito alla non ammissione della lista testimoniale della difesa prodotta tardivamente. Quanto
poi all’eccezione proposta dopo anni di udienza ed alla mancata risposta alla richiesta ivi presentata, con chiusura dell’istruttoria dibattimentale senza provvedimento, rileva il Collegio che non
ha dimostrato la ricorrente di aver proposto eccezione sulla completezza dell’istruttoria al momento della chiusura dell’istruttoria e prima della discussione.
Manifestamente infondata è pure la doglianza sulla mancata assunzione di prova decisiva in
quanto si fa un generico riferimento a non assunte dichiarazioni di testimoni senza specificare in
che termini fosse stato indicato che le stesse avrebbero permesso senza dubbio alcuno di portare
il giudice d’appello ad una valutazione diametralmente opposta a quella del primo giudice, dovendosi ribadire che la prova potenzialmente utile non è prova decisiva.
Le censure prospettate con l’ultimo motivo di ricorso sono infine inammissibili, in quanto generiche e tendenti a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e
all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito e già adeguatamente valutati sia dal Giudice di Pace che dal Tribunale.
Nel caso in esame, difatti, i giudici del merito hanno ineccepibilmente osservato che la prova del
fatto ascritto all’imputata riposava nella testimonianza della persona offesa, la cui credibilità è
adeguatamente argomentata, e nel sostegno a questa che poteva trarsi dalla testimonianza
dell’operante della polizia giudiziaria.
La sentenza impugnata non è dunque sindacabile in questa sede perché la Corte di cassazione
non deve condividere o sindacare la decisione, ma verificare se la sua giustificazione sia, come
nel caso in esame, sorretta da validi elementi dimostrativi e non abbia trascurato elementi in astratto decisivi, sia compatibile con il senso comune e, data come valida la premessa in fatto, sia
logica: insomma, se sia esauriente e plausibile.
Il delitto non è prescritto atteso che al termine di prescrizione del 26 dicembre 2013 devono essere aggiunti 49 giorni per le sospensioni, che avrebbero reso operativa la causa di estinzione del
reato in data 13 febbraio 2014, successiva a quella della pronuncia della sentenza del giudice
d’appello, se il ricorso non fosse stato inammissibile e quindi inidoneo a costituire un valido rapporto di impugnazione.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 C.P.P., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e — per i profili di colpa correlati all’irritualità
dell’impugnazione — di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in €. 1.000,004.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di €. 1.000,00# a11 Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 21 maggio 2015.

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