Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26630 del 21/05/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 26630 Anno 2015
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: SAVANI PIERO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DEL MASTRO RAFFAELE N. IL 13/11/1955
avverso la sentenza n. 3053/2012 CORTE APPELLO di ANCONA, del
12/12/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERO SAVANI;

Data Udienza: 21/05/2015

IN FATTO E DIRITTO
Con la sentenza del 12 dicembre 2013 la Corte d’appello di Ancona ha confermato la sentenza
emessa in data 10 dicembre 2011 dal Tribunale di Pesaro, appellata da DEL MASTRO Raffaele,
dichiarato responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta aggravata ex art. 219, cpv. n. 1. Legge fallimentare, commesso il 18 dicembre 2001.
Propone ricorso per cassazione l’imputato deducendo nullità della sentenza per nullità della citazione per il giudizio di appello.
Successivamente sono state prodotte due memorie, una a firma del difensore d’ufficio, che ripropone gli argomenti del ricorso, ed una personale del prevenuto che nel riportarsi al ricorso deduce anche la prescrizione del reato.
Osserva il Collegio che il ricorso è inammissibile in quanto proposto senza l’osservanza del terinine di legge.
Invero, la sentenza della Corte d’Appello è stata pronunciata il 12 dicembre 2013, con termine
per il deposito di giorni 90, rispettato, essendo il deposito della motivazione avvenuto in data 11
febbraio 2014, ben prima della scadenza del termine il 12 marzo 2014.
Al DEL MASTRO l’estratto contumaciale risulta notificato in data 31 maggio 2014 dalla polizia
giudiziaria, con la conseguenza che il termine di giorni 45 per l’impugnazione, decorrente solo
da quella data, scadeva in data 15 luglio 2014 (martedì).
L’impugnazione risulta proposta in data 1° ottobre 2014, ben oltre la scadenza del termine di cui
sopra, con la conseguenza che il ricorso per cassazione deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorso è inammissibile anche nel merito in quanto manifestamente infondato. Invero risulta
proprio dal ricorso che il difensore di fiducia del ricorrente aveva ricevuto la notificazione della
citazione per il giudizio di appello ai sensi dell’art. 157, comma 8 bis, c.p.p. e che nell’occasione
aveva dichiarato di non voler ricevere le notificazioni per il prevenuto.
Osserva il Collegio che costante giurisprudenza di questa Corte suprema ha ritenuto che in tema
di notificazioni, il rifiuto del difensore di accettare la notifica degli atti diretti al proprio assistito
deve essere enunciato, per produrre effetti, o contestualmente all’atto di nomina o, con comunicazione diretta all’autorità procedente, subito dopo quest’ultima, ma sempre prima della notifica
di un atto, avendo la Corte ritenuto invalida la dichiarazione di non accettazione del difensore di
fiducia effettuata soltanto all’ufficiale giudiziario in sede di notifica (Sez. I, n. 16615 del
g7/2/2013, Di Silvio, Rv. 255319; Sez. III, n. 41063 del 20/9/2007, Rv. 237640; Sez. I, n. 6068
del 30/1/2008, Rv. 238921; Sez. IV, n. 23523 del 6/5/2008, Rv. 240844), con la conseguenza che
la notificazione era regolarmente avvenuta e la dichiarazione di non accettazione non aveva avuto rilevanza alcuna.
Erra poi il ricorrente quando afferma che la notificazione ex art. 157, c. 8 bis c.p.p. sarebbe avvenuta in quanto irreperibile; infatti, la notificazione con quelle modalità è la notificazione che
spetta al soggetto difeso di fiducia, dopo la prima notificazione dell’intero procedimento.
Nulla si documenta in ricorso che dimostri che la notificazione in quei termini non fosse legittima secondo le corrette scansioni processuali, né, in più, che la difesa (irrilevante essendo che
fosse fiduciaria o d’ufficio) avesse in sede di giudizio di appello avanzato specifica eccezione al
proposito.
Manifestamente infondata anche la censura relativa alla prescrizione atteso che il termine sarebbe scaduto in data 18 giugno 2014, successiva a quella sopra indicata, di pronuncia della sentenza del giudice d’appello, con la conseguenza che, trattandosi di ricorso inammissibile e inidoneo
pertanto a costituire un valido rapporto di impugnazione, l’evento estintivo verificatosi successivamente alle pronunce dei giudici del merito non può produrre effetti.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 C.P.P., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e — per i profili di colpa correlati all’irritualità
dell’impugnazione — di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in €. 1.000,004.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese pro-

cessuali ed al versamento della somma di €. 1.000,00# alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 21 maggio 2015.

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