Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2660 del 11/12/2012


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 2660 Anno 2013
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: LA POSTA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) PEPE ANNA N. IL 13/04/1970
avverso l’ordinanza n. 1988/2012 TRIB. LIBERTA’ di ROMA, del
04/07/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA LA POSTA;
le /sentite le conclusioni del PG Dott. 6. ces Q t ,c 1″.i, Lv
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Data Udienza: 11/12/2012

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 4.7.2011 il Tribunale di Roma, decidendo quale giudice
del riesame, confermava – per quanto qui interessa – il provvedimento emesso
dal Gip dello stesso tribunale, in data 28.5.2012, con il quale era stata applicata
ad Anna Pepe la misura cautelare degli arresti domiciliari, in relazione ai reati di
cui agli artt. 74 e 73 d.P.R. n. 309 del 1990, per avere partecipato ad una
associazione dedita al traffico di stupefacenti della quale era promotore il marito,

nonché, per i reati-fine di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990.
Il tribunale, richiamata la ricostruzione del quadro indiziario in relazione ai
singoli reati fine contenuta nel provvedimento impugnato, rilevava che gli indizi
erano stati tratti prevalentemente dalle conversazioni intercettate che, anche per
quel che riguarda la specifica posizione della Pepe, risultano precise ed univoche,
pur nel linguaggio convenzionale utilizzato, alla luce dalla riconducibilità delle
stesse ad una ripetuta attività di approvvigionamento e commercio di
stupefacenti emersa anche attraverso altri accertamenti e dai numerosi
sequestri.
Premessa, quindi, la configurabilità del reato associativo, il tribunale
affermava la sussistenza degli indizi di partecipazione della moglie del Graziani,
promotore ed organizzatore del sodalizio, la quale, consapevole pienamente
dell’attività svolta dal marito, veniva impiegata per la cessione e per la custodia
dello stupefacente sia presso l’abitazione che all’interno dell’autovettura Fiat
Panda. In specie, la consapevolezza del ruolo svolto all’interno del sodalizio
emergeva senza alcun dubbio dal tenore delle conversazioni intercettate.
Il tribunale, infine, condivideva la valutazione del primo giudice in ordine alla
sussistenza delle esigenze cautelari tenuto conto, altresì, della pluralità dei reati
contestati e dell’attività svolta all’interno di un’associazione radicata nel
territorio; conseguentemente, confermava la misura domiciliare ritenuta
necessaria e proporzionata alle predette esigenze cautelari.

2. Avverso il citato provvedimento l’indagata ha proposto ricorso per
cassazione, a mezzo del difensore di fiducia.
Con il primo motivo di ricorso denuncia il vizio della motivazione
dell’ordinanza impugnata avuto riguardo alla valutazione della sussistenza dei
gravi indizi di colpevolezza, sia in ordine alle fattispecie di cui all’art. 73 d.P.R.
n.309 del 1990, sia in relazione alla partecipazione all’associazione criminale.
Rileva come la carenza motivazionale si palesi già attraverso la scelta di
trattare unitariamente la diverse posizioni degli indagati ritenuti partecipi del
sodalizio ed evidenzia come i gravi indizi a carico della ricorrente siano stati tratti
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Mauro Graziani, agente della polizia penitenziaria, fino a giugno 2011 (capo A);

dal contenuto di conversazioni intercettate dalle quali non può inferirsi in alcun
modo il riferimento a cessioni di stupefacenti. Si tratta, quindi, di un evidente
travisamento del fatto e di una interpretazione del preteso linguaggio criptico
utilizzato nelle conversazioni del tutto arbitraria.
Ancor più evidente risulta il vizio della motivazione per la sua illogicità con
riferimento alla ritenuta partecipazione all’associazione criminosa, non avendo il
tribunale in alcun modo argomentato sul punto. Rileva, quindi, la ricorrente che
tale affermazione è contraddetta dalla circostanza che alla stessa sono stati

eccezione di Luca Graziani, che non vi sono conversazioni con altri sodali se non
con il marito. Intrinsecamente contraddittoria deve ritenersi la motivazione
dell’ordinanza impugnata laddove afferma la rilevanza, ai fini della valutazione
del contributo causale della Pepe, della circostanza che la stessa avesse, su
indicazione del marito, rimosso un barattolo contenente sostanze stupefacenti;
circostanza ritenuta dal tribunale non significativa ai fini dell’inserimento nel
sodalizio criminoso del conindagato Pignalberi.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta il vizio della motivazione in
ordine alla valutazione delle esigenze cautelari con riferimento alla specifica
posizione e al ruolo svolto dalla ricorrente, avendo il tribunale richiamato
esclusivamente la rilevanza dell’attività svolta dal sodalizio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Le doglianze relative alla sussistenza del compendio indiziario a carico della
ricorrente non sono fondate.
Come è noto, il vaglio di legittimità demandato a questa Corte non può non
arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai
canoni legali che presiedono all’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza,
prescritti dall’art. 273 cod. proc. pen. per l’emissione dei provvedimenti restrittivi
della libertà personale, senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle
valutazioni riservate al giudice di merito.
Il tribunale ha evidenziato come dalle conversazioni captate si inferisse
univocamente il coinvolgimento della Pepe nell’attività illecita svolta dal marito.
In specie, con riferimento a quanto contestato al capo la) la predetta, su
disposizione del Graziani, aveva ceduto dosi di sostanze stupefacenti ad alcuni
acquirenti individuati in Recchia Simone, Oliva Felice e Salvi Luciano; per
l’episodio contestato al capo Ib) dalle conversazioni emergeva che il Graziani
aveva comunicato alla moglie che il Caldaro gli sarebbe recato presso la loro
abitazione per prelevare lo stupefacente dalla Fiat Panda, circostanza confermata

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contestati soltanto tre reati fine, che non conosce gli altri presunti partecipi ad

dal sequestro successivo della cocaina nel corso di un controllo a bordo di
un’auto sulla quale viaggiava il Caldano.
La ricorrente censura l’interpretazione delle conversazioni intercettate
proponendo una lettura alternativa non consentita al giudice di legittimità.
Di contro, lo sviluppo argomentativo della motivazione – che richiama anche
le motivazioni del provvedimento cautelare – è fondato su una coerente analisi
degli elementi indizianti e sulla loro coordinazione in un organico quadro
interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e

questi sono stati reputati conducenti, con un elevato grado di probabilità,
rispetto al tema di indagine concernente la partecipazione ad associazione
finalizzata al commercio di sostanze stupefacenti ed ai singoli reati fine
contestati alla ricorrente.
Sono, altresì, destituiti di fondamento i rilievi di illogicità e contraddizione
fondati sulla affermata mancanza di conoscenza da parte dell’indagata di altri
sodali e la partecipazione a soli tre reati fine, atteso che ai fini della
configurabilità dell’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze
stupefacenti non è richiesto un patto espresso fra gli associati, né la conoscenza
reciproca fra tutti gli associati, essendo sufficiente la consapevolezza e la volontà
di partecipare, assieme ad almeno altre due persone aventi la stessa
consapevolezza e volontà, ad un sodalizio (Sez. 6, n. 11733 del 16/02/2012 dep. 28/03/2012, Abboubi, rv. 252232).
Le restanti doglianze si sostanziano in censure di merito precluse nel
giudizio di legittimità.
Quanto ai rilievi formulati in ordine alla motivazione del provvedimento
impugnato avuto riguardo alla valutazione delle esigenze cautelari, deve essere
ribadito che l’insussistenza delle stesse è censurabile in sede di legittimità
soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme o nella mancanza o
manifesta illogicità della motivazione, rilevabili dal testo del provvedimento
impugnato (Sez. 1, 6 febbraio 1996, n. 795, rv. 204014).
Va, altresì, ricordato che il parametro della concretezza cui si richiama l’art.
274 lett. c) cod. proc. pen., non si identifica con quello di attualità del pericolo,
derivante dalla riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla
commissione di nuovi reati, dovendo, al contrario, il predetto requisito essere
riconosciuto alla sola condizione necessaria e sufficiente che esistano elementi
concreti (cioè non meramente congetturali) sulla base dei quali possa affermarsi
che l’indagato possa, verificandosene l’occasione, commettere reati della stessa
specie di quello per cui si procede, ossia che offendono lo stesso bene giuridico
(Sez. 1, 3 giugno 2009, n. 25214, Pallucchini, riv. 244829; Sez. 1, 20 gennaio
2004, n. 10347, Catanzaro, rv. 227227).
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giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravità, nel senso che

Orbene, il tribunale, condividendo la valutazione del primo giudice in ordine
alla sussistenza delle esigenze cautelari ed evidenziando la pericolosità del
sodalizio radicato nel territorio, ha implicitamente dato conto della sussistenza di
esigenze cautelari tali da mantenere la misura cautelare domiciliare.
A fronte di ciò, le doglianze del ricorrente sono, peraltro, assolutamente
generiche.
Si deve concludere, quindi, per il rigetto del ricorso al quale consegue per

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso, l’11 dicembre 2012.

legge la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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