Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2659 del 20/12/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 2659 Anno 2014
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: DE AMICIS GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RIVA ENERGIA S.R.L.
MUZZANA TRASPORTI S.R.L.
RIVA ACCIAIO S.P.A.
avverso l’ordinanza n. 5488/2010 GIP TRIBUNALE di TARANTO, del
17/07/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS;
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-lette/sentite le conclusioni del PG Dott. rao,Lo C4
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1.1.

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Data Udienza: 20/12/2013

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RITENUTO IN FATTO

1. RIVA ENERGIA s.r.I., MUZZANA TRASPORTI s.r.l. e RIVA ACCIAIO s.p.a. hanno
proposto, a mezzo dei loro difensori di fiducia, ricorso per cassazione ex art. 325
c.p.p. avverso il provvedimento adottato dal G.i.p. presso il Tribunale di Taranto in
data 17 luglio 2013, a titolo di precisazione del decreto emesso dallo stesso Giudice in
data 22 maggio 2013 – sì come integrato anche da un successivo provvedimento del

per equivalente sino alla concorrenza della somma complessiva di euro
8.100.000.000,00, in relazione alla contestazione di alcuni illeciti amministrativi
dipendenti da reato nell’ambito del procedimento originariamente pendente nei
confronti della dirigenza della ILVA s.p.a. e successivamente esteso alle società ILVA
s.p.a. e RIVA FIRE s.p.a., ai sensi degli artt. 5, 24-ter, comma 2, 25 undecies, comma

2, lett. a), b), c) ed h), 19 e 53 del D. Lgs. n. 231/01, nonché agli artt. 321 c.p.p.,
104, 104-bis e 92, disp. att., c.p.p.,

1.1. In particolare, le società ricorrenti – premesso: a) di non essere sottoposte
ad indagine penale, ciò che le accomuna alla socia di maggioranza RIVA Forni
Elettrici); b) di non essere beneficiarie di alcun conferimento a seguito di scissione
dell’indagata RIVA FIRE, ciò che ne diversifica la posizione rispetto alla socia di
maggioranza RIVA Forni Elettrici; c) di non essere destinatarie del decreto emesso in
data 22 – 24 maggio 2013 – tanto che l’esecuzione del vincolo cautelare veniva
condotta nei soli confronti di ILVA, RIVA FIRE e RIVA Forni Elettrici – e di essere state
tuttavia attinte de facto dal sequestro preventivo, a dispetto dei limiti oggettivi
espressamente enunciati nel dispositivo del decreto in data 22 maggio 2013, nonché
delle relative motivazioni – pongono preliminarmente in evidenza come il
provvedimento del 17 luglio 2013 – estensivo del vincolo in rem nei confronti delle
società soggette a controllo, collegamento o influenza dominante di RIVA FIRE, ovvero
di RIVA Forni Elettrici – modifichi in modo sostanziale il contenuto dell’originaria
misura cautelare e non ne costituisca affatto una mera interpretazione in executivis,
costituendo, semmai, l’effetto di un nuovo e separato impulso cautelare.
Al riguardo deducono, pertanto, tre motivi di doglianza il cui contenuto viene di
seguito sinteticamente illustrato.

i

24 maggio 2013 – avente ad oggetto il sequestro preventivo funzionale alla confisca

1.2. Abnormità del provvedimento adottato il 17 luglio 2013, poiché il G.i.p.,
dietro un’apparente precisazione in executivis, individua un nuovo e distinto genus
patrimoniale, classificato in base a nozioni giuridiche (controllo societario,
collegamento, ecc.) del tutto estranee al dispositivo ed alle motivazioni del sequestro
del 22-24 maggio 2013.
Si tratta, infatti, di un vincolo cautelare nuovo, che colpisce svariate società
estranee a qualsivoglia criterio ascrittivo ex D. Lgs. n. 231/01, e niente affatto

G.i.p. per via del tutto officiosa, non potendo la domanda del custode amministratore tener luogo di una indefettibile richiesta cautelare da parte del P.M. .

1.3. Violazione di legge in relazione alla totale carenza di motivazione del
provvedimento impugnato, rilevabile ictu °cui/ dal suo esame, tenuto conto che la res
attinta dal vincolo risulta descritta attraverso nozioni giuridiche astratte, non
contenute nè logicamente deducibili dal dispositivo della prima cautela, ovvero dalle
motivazioni di quella.
La relazione del custode-amministratore in data 27 giugno 2013, peraltro, non
contiene alcuna motivazione del nuovo vincolo reale, né risulta allegata al
provvedimento del G.i.p. in data 17 luglio 2013, onde il meccanismo della motivazione
“per rinvio” non potrebbe neppure in astratto perfezionarsi.

1.4. Nullità del provvedimento ex art. 606, lett. b), c.p.p., in relazione agli artt.
19 e 30 del D. Lgs. n. 231/01, poiché, da un lato, esso non allega, né dimostra,
l’ascrivibilità alle società ricorrenti dei reati contestati nell’ambito del procedimento
penale, secondo il rapporto di presupposizione invece contestato nei confronti di RIVA
FIRE e di ILVA, né afferma che quelle società abbiano mai tratto un profitto-risparmio
dall’ipotetica consumazione dei reati-presupposto, dall’altro lato esso non indica in
alcuna delle ricorrenti, né potrebbe farlo, un ente beneficiario di scissione, onde tali
società non sono colpite neppure in tale veste, sul diverso piano dell’obbligazione
civile configurabile ex art. 30 del su citato D. Lgs. .
Le ricorrenti, infatti, sono controllate da RIVA Forni Elettrici, società, quest’ultima,
non indagata ed estranea alla genesi e all’incameramento dell’ipotizzato profitto da
reato.

2

beneficiarie di alcuna operazione di scissione delle società indagate, costituito dal

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il ricorso è fondato e va accolto sulla base delle ragioni di seguito esposte.

3.

Occorre preliminarmente osservare, sulla base di una pacifica linea

interpretativa tracciata da questa Suprema Corte (in motivazione, v. Sez. Un., n. 8388
del 22/01/2009, dep. 24/02/2009, Novi; da ultimo, Sez. 2, n. 47257 del 20/10/2009,

cautelari delineato dal codice di rito, con riferimento sia a quelle personali che a quelle
reali, postula, come “indefettibile antecedente”, uno specifico atto propulsivo
rappresentato dalla “domanda” che il pubblico ministero rivolge al giudice.
Al riguardo, la stessa Corte Costituzionale (sent. n. 4 del 20-22 gennaio 1992) ha
osservato, relativamente alla corretta interpretazione dei principii fissati dagli artt.
101, secondo comma, e 102, primo comma, della Costituzione, che “se, infatti, la
domanda della parte privata costituisce espressione del diritto di agire e difendersi e
se, ancora, la domanda del pubblico ministero si colloca nell’alveo dell’obbligatorio
esercizio dell’azione penale, è evidente, allora, che la configurazione di un giudice
“autosufficiente” e “monopolista” verrebbe a porsi in stridente antinomia rispetto a
quei princìpi, specie se calati in un modello processuale che dichiaratamente mira ad
esaltare il ruolo delle parti ed a preservare, correlativamente, la terzietà del giudice”.
Se, come si premura di precisare la Relazione illustrativa del Progetto preliminare
al codice di proceduta penale, deve essere da un lato esclusa “una legittimazione ai
provvedimenti cautelari in capo al pubblico ministero (…) così è da escludersi
l’adozione di misure cautelari che prescinda dalla iniziativa del pubblico ministero, il
quale è, sotto questo profilo, soggetto necessariamente richiedente senza
legittimazione a disporre, mentre, per converso, il giudice è soggetto decidente, ma
non ex officio”.
Spetta, dunque, al pubblico ministero il potere esclusivo di promuovere,
attraverso la richiesta, il procedimento applicativo delle misure, non diversamente da
ciò che accadrebbe ove si configurasse la richiesta stessa alla stregua di un atto di
esercizio della “azione cautelare”; sicché, alla domanda formulata dalla parte pubblica
corrisponde la genesi di un fenomeno devolutivo che assegna al giudice un potere
decisorio, il cui ambito di applicazione ben può essere circoscritto all’interno dei confini
tracciati dal devolutum.

3

dep. 11/12/2009, Rv. 245368), che il procedimento di applicazione delle misure

Ne discende, ancora, che il perimetro del potere delibativo assegnato al giudice
non può fuoriuscire dall’alveo tematico tracciato dalla richiesta del pubblico ministero,
giacché, ove al giudice stesso fosse riconosciuto uno ius variandi tale da consentirgli di
debordare dallo specifico petitum che ha formato oggetto della richiesta, finirebbe per
evocarsi in capo all’organo giurisdizionale un potere sostanzialmente officioso, che
invece il legislatore ha inteso ripudiare.
In tal senso, deve coerentemente escludersi non solo la possibilità che il giudice

ministero (extra petita), ma anche che egli adotti una misura, non già meno severa,
bensì, in peius, più grave di quella richiesta (ultra petita).
Ove si verifichi l’inosservanza della preclusione nascente dal principio della
domanda cautelare, si configura, sul piano interpretativo (Sez. Fer., 6/9/1990 n.
2668, Palma, Rv. 185652; Sez. III, 8/10/1998, n. 2554, P.M. in proc. Corigliano, Rv.
212169; Sez. VI, 26/6/2003, n. 35106, De Masi, Rv. 226515; Sez. VI, 10/7/2008, n.
33858, P.M. in proc. Maazouzi, Rv. 240799; Sez. 6, n. 29593 del 04/07/2011, dep.
22/07/2011, Rv. 250742 ), la nullità – di ordine generale ed assoluta, insanabile e
rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento – dell’ordinanza del giudice,
riferita, ai sensi degli artt. 178, lett. b) e 179, comma 1, c.p.p., all’iniziativa
indefettibile e riservata in via esclusiva al pubblico ministero nell’esercizio dell’azione
cautelare.

4. Ebbene, nella vicenda in esame è pacifico che il provvedimento impugnato è
stato emesso dal G.i.p. non in relazione ad una richiesta cautelare proveniente dal
P.M., ma ad una richiesta di precisazione della portata applicativa di un precedente
provvedimento di sequestro adottato dal medesimo G.i.p. in data 22-24 maggio 2013,
avanzata il 27 giugno 2013 dal custode e amministratore giudiziario dei beni
sottoposti a sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente fino alla
concorrenza della complessiva somma di euro 8.100.000.000,00.
Su richiesta del custode, in particolare, il provvedimento impugnato ha inteso
precisare due aspetti, richiamandosi al decreto di sequestro del 22 maggio 2013 e alla
successiva ordinanza del Tribunale del riesame che lo ha confermato: a) che le azioni,
le quote sociali, i cespiti aziendali, le partecipazioni in portafoglio e la liquidità delle
società che si ritengono controllate, collegate o comunque sottoposte all’influenza
dominante di Riva Fire s.p.a. e Riva Forni Elettrici s.p.a. ex art. 2359 c.c., ivi incluse
quelle controllate da ILVA s.p.a., devono intendersi sottoposti a sequestro preventivo
4

applichi ex officio una misura cautelare in mancanza di una domanda del pubblico

per equivalente sino all’importo sopra considerato, in ciò ritenendosi integralmente
condivise le osservazioni svolte dallo stesso custode; b) che il sequestro dei cespiti
aziendali, delle partecipazioni in portafoglio e della liquidità delle società che si
ritengano controllate, collegate o comunque sottoposte all’influenza dominante di Riva
Fire s.p.a. e Riva Forni Elettrici s.p.a. deve ritenersi senz’altro esteso all’intero valore
di tali beni, sempre sino alla concorrenza della somma sopra indicata, e non li riguarda
dunque pro quota, ossia in proporzione al capitale detenuto da Riva Fire s.p.a. e da

Con il decreto di sequestro preventivo emesso in data 22 maggio 2013 il vincolo
cautelare era stato apposto, sino alla concorrenza della complessiva somma di euro
8.100.000.000,00, con riguardo a beni (ossia, denaro, saldi attivi di conti correnti
bancari e/o postali, depositi a risparmio,

dossier titoli ed eventuali cassette di

sicurezza, partecipazioni in altre imprese, beni immobili e mobili registrati, impianti,
macchinari, ecc.), nella disponibilità, anche mediante interposizione fittizia, ovvero
interposizione reale fiduciaria, della società Riva Fire s.p.a., ovvero dell’ente o degli
enti eventualmente nati dalla sua trasformazione o fusione – anche per incorporazione
– o scissione parziale (dunque, beni nella disponibilità sia dell’ente scisso, sia
dell’ente, o degli enti, beneficiari della scissione).
In via solo residuale, ed in caso di incapienza dei beni sopra indicati, il
provvedimento di sequestro aveva esteso il suo oggetto sui beni immobili nella
disponibilità – anche mediante interposizione fittizia, ovvero interposizione reale
fiduciaria – della società ILVA s.p.a., sempre che non si trattasse di beni strettamente
indispensabili all’esercizio dell’attività produttiva nello stabilimento siderurgico
tarantino.
Con successivo decreto del 24 maggio 2013, inoltre, il G.i.p. di Taranto aveva
integrato il precedente provvedimento del 22 maggio 2013, specificando che il
sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente nei confronti della Riva
Fire s.p.a. poteva essere eseguito anche su “rapporti e/o disponibilità finanziarie di
qualunque tipo e quale che sia la loro denominazione”.
Ne discende che il provvedimento impugnato ha autorizzato, in difetto di una
correlativa richiesta da parte del P.M., una estensione del sequestro preventivo in
relazione ad oggetti (azioni, quote sociali, cespiti aziendali, ecc.) e a destinatari (le
società ricorrenti, neanche sottoposte ad indagine riguardo ai fatti di reato oggetto di
contestazione) del tutto diversi rispetto a quelli indicati nell’originario decreto.

5

Riva Forni Elettrici s.p.a. nella società che possiede detti valori.

Il decreto di sequestro, infatti, aveva come soggetti destinatari Riva FIRE s.p.a.
(ovvero l’ente, o gli enti, eventualmente nati dalla sua trasformazione o fusione,
anche per incorporazione o scissione parziale) e solo in via meramente subordinata in caso di incapienza dei beni della prima – l’ILVA s.p.a., con particolare riguardo ai
soli beni immobili nella disponibilità di quest’ultima, “anche mediante interposizione
fittizia ovvero interposizione reale fiduciaria”.

sequestro preventivo o probatorio è previsto dall’art. 325, comma primo, c.p.p., solo
per violazione di legge, in tale nozione dovendosi ricomprendere sia gli errori in
iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali, da rendere
l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o
privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, e quindi inidoneo
a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. Un., n. 25932 del
29.5.2008, Ivanov; Sez. Un., 29 maggio 2008 n. 25933, Malgioglio; Sez. Un., n. 5876
del 28.1.2004, Bevilacqua; Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, dep. 11/02/2013, Rv.
254893).
Il provvedimento impugnato, oltre a risultare privo di dispositivo, non espone le
ragioni giustificative delle precisazioni fornite alle richieste in tal senso avanzate dal
custode, richieste il cui contenuto viene apoditticamente condiviso senza illustrare i
motivi della autorizzata estensione, oggettiva e soggettiva, della misura cautelare
reale anteriormente disposta.
Non viene esplicitato, infatti, il contenuto delle osservazioni svolte dal custode, né
vi sono espressamente indicate le ragioni per cui le stesse siano state ritenute
fondate.
Il formale richiamo, operato nel provvedimento impugnato, alla giurisprudenza di
questa Suprema Corte, secondo la quale eventuali diritti vantati da terzi in buona fede
sui beni sottoposti a sequestro possono essere fatti valere nella sede propria, che è
quella esecutiva, è genericamente formulato, pretermette il principio della domanda
cautelare del P.M. e non spiega le ragioni dell’estensione del sequestro rispetto a
soggetti e a beni non ricompresi nel provvedimento cautelare genetico, omettendo
peraltro di specificare i motivi per i quali tali beni – facenti capo a società
giuridicamente autonome, anche se controllate rispetto a quelle coinvolte nell’indagine
– siano stati considerati profitto dei reati associativi ed ambientali oggetto delle
imputazioni formulate a carico di persone fisiche poste in posizione apicale nella
6

5. E’ noto che il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di

società controllante, relativamente agli illeciti-presupposto commessi nell’interesse o
comunque a vantaggio di quest’ultima.
Non vengono illustrate, infatti, le ragioni per cui i beni costituenti oggetto del
sequestro debbano considerarsi profitto del reato, e dunque aggredibili con una
misura cautelare reale ai sensi degli artt. 19 e 53 del D. Lgs. n. 231/2001.
Peraltro, l’ampliamento dell’ambito di applicazione del sequestro ai beni detenuti
dalle società “che si ritengano controllate, collegate o comunque sottoposte

presupposto – il rapporto di controllo o di collegamento all’interno di un gruppo di
società – la cui esistenza rimane indimostrata, trascurando inoltre la necessaria
disamina, con specifico riferimento alla posizione delle società ricorrenti, non solo delle
condizioni e dei limiti della responsabilità delle controllanti per quel che attiene ai reati
commessi nel contesto delle controllate, ma anche degli effetti e delle correlative
implicazioni dell’assunto in tal modo formulato sul piano della configurazione della
responsabilità sanzionatoria degli enti.
Non è infatti possibile desumere, dalla struttura del provvedimento impugnato,
alcun tipo di relazione tra le risorse patrimoniali delle società (controllate o soggette
ad influenza dominante) in tal guisa aggredite dal vincolo cautelare reale e la
destinazione impressa al profitto illecito che sarebbe stato ottenuto dalle società
indagate (e controllanti) RIVA FIRE s.p.a. ed ILVA s.p.a. .
In occasione del decreto di sequestro del 22 maggio 2013, il vincolo cautelare
aveva colpito il patrimonio di società indagate (ILVA e RIVA FIRE), in quanto
asseritamente avvantaggiate da un profitto-risparmio di spesa conseguente a reati
posti in essere nel loro interesse, nonché il patrimonio di un ente (RIVA Forni Elettrici)
beneficiario della scissione parziale di una delle indagate, e dunque attinto in relazione
alla possibile obbligazione solidale di cui all’art. 30 del D. Lgs. n. 231/2001.
Per effetto del provvedimento impugnato, di contro, il patrimonio di diverse
società – non beneficiarie, peraltro, di alcuna operazione di scissione dalle società
sottoposte ad indagine – viene sottoposto a misura cautelare in difetto di un’esplicita
individuazione dei criteri di imputazione della responsabilità fissati dal D. Lgs. n.
231/2001.
Non è possibile, tuttavia, sulla base di una relazione di controllo o di collegamento
societario solo genericamente prospettata, e nell’assenza di un preciso coinvolgimento
delle società partecipate nella consumazione dei reati-presupposto, o, quanto meno,
nelle condotte che hanno determinato l’acquisizione di un illecito profitto, ricavare
7

all’influenza dominante di Riva FIRE s.p.a. e Riva Forni Elettrici s.p.a.” poggia su un

l’esistenza di alcun nesso logico-giuridico tra quest’ultimo ed il conseguimento di
eventuali illeciti benefici da parte delle controllate.

6. Sulla base delle su esposte considerazioni deve ritenersi, in definitiva, che la
disamina dei tratti identificativi del provvedimento impugnato non ne consente una
sicura, o quanto meno riconoscibile, collocazione fra i modelli di atto processuale
tipicamente delineati dal sistema e ne rivela, per converso, aspetti di abnormità

conseguente rimozione.
Invero, deve considerarsi affetto da abnormità, secondo il consolidato
insegnamento giurisprudenziale elaborato in questa Sede, non solo il provvedimento
che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento
processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo
potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni
ragionevole limite. L’abnormità dell’atto processuale può riguardare tanto il profilo
strutturale, allorché l’atto, per la sua singolarità, si ponga al di fuori del sistema
organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non
estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di
proseguirlo (Sez. Un., n. 17 del 10/12/1997, dep. 12/02/1998, Rv. 209603; in
motivazione, da ultimo, v. Sez. Un., n. 25957 del 26/03/2009, dep. 22/06/2009, Rv.
243590).
Provvedimento abnorme, dunque, è quello che presenta anomalie genetiche o
funzionali tanto radicali da non potere essere inquadrato nello schema normativo
processuale (ex multis, v. S.U., 18-6-1993, P.M. in proc. Garonzi; S.U., 24-3-1995,
P.M. in proc. Cirulli; S.U., 9-7-1997, P.M. in proc. Balzan; S.U., 9-7-1997, P.M. in
proc. Quarantelli; S.U., 10-12-1997, Di Battista, cit.; S.U., 24-11-1999, Magnani;
S.U., 24-11-1999 confl. giur. in proc. Di Dona; S.U., 22-11-2.000, P.M. in proc.
Boniotti; S.U., 31-1-2001, P.M. in proc. Romano; S.U., 11-7-2001, P.G. in proc.
Chirico ; S.U., 29-5-2002, Manca; S.U., 25-2-2004, P.M. in proc. Lustri).
Nel caso in esame, come si è rilevato, il provvedimento impugnato non risulta
inquadrabile normativamente, avendo di fatto consentito, in assenza di una domanda
cautelare proveniente dall’unico organo in tal senso legittimato, ossia dal P.M., una
indebita estensione dell’ambito di applicazione dell’originario vincolo cautelare reale in
relazione ad oggetti del tutto diversi da quelli indicati nell’iniziale titolo esecutivo, e a
soggetti del tutto estranei alla commissione degli illeciti fonte della loro responsabilità
8

strutturale che lo pongono fuori dell’ordinamento, con l’esigenza della sua

amministrativa ex artt. 19 e 53 del D. Lgs. n. 231/2001. L’esecuzione di quel vincolo è
stata in tal modo reiterata, senza individuare le ragioni poste alla base della
correlativa imputazione di responsabilità degli enti e senza illustrare i motivi per cui i
beni individuati come oggetto del sequestro dovessero considerarsi profitto del reato
ai fini sopra indicati.

7.

In conclusione, in accoglimento dei motivi di ricorso, deve disporsi

restituzione delle cose sequestrate agli aventi diritto.
La Cancelleria curerà l’espletamento degli incombenti previsti dall’art. 626 c.p.p.

P. Q. M.

Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e ordina la restituzione di quanto
in sequestro agli aventi diritto.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 626 c.p.p. .

Così deciso in Roma, lì, 20 dicembre 2013

Il Consigliere estensore

l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato, con il dissequestro e la

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