Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2658 del 20/12/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 2658 Anno 2014
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: DE AMICIS GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SAA’ MAURIZIO N. IL 24/07/1940
PARRELLO GIUSEPPE N. IL 24/03/1946
BIANCHI ANGELO N. IL 23/06/1945
avverso l’ordinanza n. 5488/2010 GIP TRIBUNALE di TARANTO, del
17/07/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS;
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-lette/sentite le conclusioni del PG Dott. ?,4–o Lo e
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Data Udienza: 20/12/2013

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RITENUTO IN FATTO

1. Marzio Saà, Giuseppe Parrello e Angelo Bianchi, nelle rispettive qualità di legali
rappresentanti, il primo, di ILVA Commerciale s.r.l. e di ILVA IMMOBILIARE s.r.I., il
secondo, di CELESTRI s.r.I., di INNSE cilindri s.r.I., di TARANTO ENERGIA s.r.l. e di
ILVA Servizi marittimi s.p.a., il terzo di SANAC s.p.a., hanno proposto, a mezzo del
loro difensore di fiducia, ricorso per cassazione

ex art. 325 c.p.p. avverso il

2013, a titolo di precisazione del decreto emesso dallo stesso Giudice in data 22
maggio 2013, avente ad oggetto il sequestro preventivo funzionale alla confisca per
equivalente sino alla concorrenza della somma complessiva di euro 8.100.000.000,00,
in relazione agli artt. 5, 24-ter, comma 2, 25-undecies, comma 2, lett. a), b), c) ed
h), 19 e 53 del D. Lgs. n. 231/01, nonché agli artt. 321 c.p.p., 104, 104-bis e 92,
disp. att., c.p.p., deducendo quattro motivi di doglianza il cui contenuto viene di
seguito sinteticamente illustrato.

1.1. Violazione degli artt. 321, comma 1, 606, lett. b), c.p.p., in relazione alla
mancanza della richiesta di applicazione della misura cautelare reale da parte del P.M.,
trattandosi di un provvedimento emesso dal G.i.p. in risposta ad una richiesta di
precisazione avanzata il 27 giugno 2013 dal custode ed amministratore giudiziario dei
beni sottoposti a sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente con
precedente decreto adottato dallo stesso G.i.p. il 22 maggio 2013.
Il provvedimento di sequestro, che si assume avere un’efficacia meramente
interpretativa, ma il cui oggetto in realtà risulta essere non soltanto estensivo, ma
addirittura incoerente rispetto a quello adottato nel maggio 2013, è stato emesso dal
G.i.p. in assenza del presupposto indefettibile della richiesta di applicazione della
misura cautelare reale da parte del P.M. (ex artt. 53 del D. Lgs. n. 231/01, 321,
comma 1, 178, lett. b), c.p.p.).
L’autorizzazione del sequestro è avvenuta nei confronti di società – controllate da
ILVA s.p.a. – estranee ai fatti oggetto di contestazione, e con riguardo a beni sia
mobili che immobili, indipendentemente dalla loro eventuale rilevanza ai fini della
prosecuzione dell’attività di ILVA s.p.a., quando invece il precedente decreto di
sequestro consentiva l’apposizione del vincolo – anche nell’ipotesi in cui non fosse
stato possibile raggiungere la su indicata somma di denaro – nei confronti della sola

i

provvedimento adottato dal G.i.p. presso il Tribunale di Taranto in data 17 luglio

ILVA s.p.a., dei soli beni immobili e soltanto di quelli non indispensabili alla
prosecuzione dell’attività.
Siffatte considerazioni, pertanto, valgono a qualificare come abnorme il
provvedimento impugnato.

1.2. Violazione degli artt. 53 del D. Lgs. n. 231/01, 321, comma 1 e 606, lett. b),
c.p.p., in relazione alla radicale mancanza di motivazione del provvedimento, che

adottata, il cui contenuto si presenta in termini chiaramente estensivi, ed anzi
dissonanti, rispetto a quella emessa il 22 – 24 maggio 2013.

1.3. Violazione degli artt. 19, 27, 53 del D. Lgs. n. 231/01, e 606, comma 1, lett.
b), c.p.p., in relazione all’intervenuto sequestro di beni appartenenti a soggetti terzi
ed estranei alla commissione degli illeciti amministrativi oggetto di contestazione,
avendo il G.i.p. implicitamente ritenuto, senza alcuna motivazione, l’esistenza di una
sorta di “gruppo apparente”, che risulta fondato su una malintesa interpretazione,
proposta dal custode ed amministratore giudiziario, dell’attività di “direzione e
coordinamento” attribuita alla holding ai sensi dell’art. 2497 c.c. .
Sotto un altro profilo, inoltre, il provvedimento non ha illustrato le ragioni per cui i
beni ex novo individuati come oggetto del sequestro debbano considerarsi profitto del
reato, e dunque confiscabili ai sensi del su citato art. 19.

1.4. Violazione degli artt. 1, comma 4, 3, comma 3, del D. L. n. 207/2012, come
modificato dalla L. n. 231/2012, nonché degli artt. 1, commi 2 e 11 del D.L. n.
61/2013, come modificato dalla L. n. 89 del 3 agosto 2013, e 606, comma 1, lett. b),
c.p.p., in relazione al sostanziale impedimento della prosecuzione dell’attività
produttiva di ILVA s.p.a., ampiamente garantita dalle su indicate disposizioni
normative, anche con riferimento alle attività proprie delle società controllate o ad
essa collegate.
L’apposizione del vincolo, in particolare, deve ritenersi illegittima sia riguardo alle
partecipazioni detenute da ILVA s.p.a. nelle società dalla stessa direttamente o
indirettamente controllate, sia riguardo ai cespiti ed alla liquidità delle stesse,
apparendo del tutto contraddittorio che la legge protegga i beni di ILVA dagli effetti
dei sequestri disposti in sede penale, e lasci aperta, invece, la possibilità di apporre un
vincolo sui beni di pertinenza delle società dalla stessa controllate.
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difetta dell’illustrazione delle ragioni poste a sostegno dell’invasiva misura cautelare

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il ricorso è fondato e va accolto sulla base delle ragioni di seguito esposte.

3. Muovendo dall’esame dei primi tre motivi di doglianza, il cui contenuto ne

una pacifica linea interpretativa tracciata da questa Suprema Corte (in motivazione, v.
Sez. Un., n. 8388 del 22/01/2009, dep. 24/02/2009, Novi; da ultimo, Sez. 2, n.
47257 del 20/10/2009, dep. 11/12/2009, Rv. 245368), che il procedimento di
applicazione delle misure cautelari delineato dal codice di rito, con riferimento sia a
quelle personali che a quelle reali, postula, come “indefettibile antecedente”, uno
specifico atto propulsivo rappresentato dalla “domanda” che il pubblico ministero
rivolge al giudice.
Al riguardo, la stessa Corte Costituzionale (sent. n. 4 del 20-22 gennaio 1992) ha
osservato, relativamente alla corretta interpretazione dei principii fissati dagli artt.
101, secondo comma, e 102, primo comma, della Costituzione, che “se, infatti, la
domanda della parte privata costituisce espressione del diritto di agire e difendersi e
se, ancora, la domanda del pubblico ministero si colloca nell’alveo dell’obbligatorio
esercizio dell’azione penale, è evidente, allora, che la configurazione di un giudice
“autosufficiente” e “monopolista” verrebbe a porsi in stridente antinomia rispetto a
quei princìpi, specie se calati in un modello processuale che dichiaratamente mira ad
esaltare il ruolo delle parti ed a preservare, correlativamente, la terzietà del giudice”.
Se, come si premura di precisare la Relazione illustrativa del Progetto preliminare
al codice di proceduta penale, deve essere da un lato esclusa “una legittimazione ai
provvedimenti cautelari in capo al pubblico ministero (…) così è da escludersi
l’adozione di misure cautelari che prescinda dalla iniziativa del pubblico ministero, il
quale è, sotto questo profilo, soggetto necessariamente richiedente senza
legittimazione a disporre, mentre, per converso, il giudice è soggetto decidente, ma
non ex officio”.
Spetta, dunque, al pubblico ministero il potere esclusivo di promuovere,
attraverso la richiesta, il procedimento applicativo delle misure, non diversamente da
ciò che accadrebbe ove si configurasse la richiesta stessa alla stregua di un atto di
esercizio della “azione cautelare”; sicché, alla domanda formulata dalla parte pubblica
3

consente una trattazione congiunta, occorre preliminarmente osservare, sulla base di

corrisponde la genesi di un fenomeno devolutivo che assegna al giudice un potere
decisorio, il cui ambito di applicazione ben può essere circoscritto all’interno dei confini
tracciati dal devolutum.
Ne discende, ancora, che il perimetro del potere delibativo assegnato al giudice
non può fuoriuscire dall’alveo tematico tracciato dalla richiesta del pubblico ministero,
giacché, ove al giudice stesso fosse riconosciuto uno ius variandi tale da consentirgli di
debordare dallo specifico petitum che ha formato oggetto della richiesta, finirebbe per

invece il legislatore ha inteso ripudiare.
In tal senso, deve coerentemente escludersi non solo la possibilità che il giudice
applichi ex officio una misura cautelare in mancanza di una domanda del pubblico
ministero (extra petita), ma anche che egli adotti una misura, non già meno severa,
bensì, in peius, più grave di quella richiesta (ultra petita).
Ove si verifichi l’inosservanza della preclusione nascente dal principio della
domanda cautelare, si configura, sul piano interpretativo (Sez. Fer., 6/9/1990 n.
2668, Palma, Rv. 185652; Sez. III, 8/10/1998, n. 2554, P.M. in proc. Corigliano, Rv.
212169; Sez. VI, 26/6/2003, n. 35106, De Masi, Rv. 226515; Sez. VI, 10/7/2008, n.
33858, P.M. in proc. Maazouzi, Rv. 240799; Sez. 6, n. 29593 del 04/07/2011, dep.
22/07/2011, Rv. 250742 ), la nullità – di ordine generale ed assoluta, insanabile e
rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento – dell’ordinanza del giudice,
riferita, ai sensi degli artt. 178, lett. b) e 179, comma 1, c.p.p., all’iniziativa
indefettibile e riservata in via esclusiva al pubblico ministero nell’esercizio dell’azione
cautelare.

4. Ebbene, nella vicenda in esame è pacifico che il provvedimento impugnato è
stato emesso dal G.i.p. non in relazione ad una richiesta cautelare proveniente dal
P.M., ma ad una richiesta di precisazione della portata applicativa di un precedente
provvedimento di sequestro adottato dal medesimo G.i.p. in data 22-24 maggio 2013,
avanzata il 27 giugno 2013 dal custode e amministratore giudiziario dei beni
sottoposti a sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente fino alla
concorrenza della complessiva somma di euro 8.100.000.000,00.
Su richiesta del custode, in particolare, il provvedimento impugnato ha inteso
precisare due aspetti, richiamandosi al decreto di sequestro del 22 maggio 2013 e alla
successiva ordinanza del Tribunale del riesame che lo ha confermato: a) che le azioni,
le quote sociali, i cespiti aziendali, le partecipazioni in portafoglio e la liquidità delle
4

evocarsi in capo all’organo giurisdizionale un potere sostanzialmente officioso, che

società che si ritengono controllate, collegate o comunque sottoposte all’influenza
dominante di Riva Fire s.p.a. e Riva Forni Elettrici s.p.a. ex art. 2359 c.c., ivi incluse
quelle controllate da ILVA s.p.a., devono intendersi sottoposti a sequestro preventivo
per equivalente sino all’importo sopra considerato, in ciò ritenendosi integralmente
condivise le osservazioni svolte dallo stesso custode; b) che il sequestro dei cespiti
aziendali, delle partecipazioni in portafoglio e della liquidità delle società che si
ritengano controllate, collegate o comunque sottoposte all’influenza dominante di Riva

di tali beni, sempre sino alla concorrenza della somma sopra indicata, e non li riguarda
dunque pro quota, ossia in proporzione al capitale detenuto da Riva Fire s.p.a. e da
Riva Forni Elettrici s.p.a. nella società che possiede detti valori.
Con il decreto di sequestro preventivo emesso in data 22 maggio 2013 il vincolo
cautelare era stato apposto, sino alla concorrenza della complessiva somma di euro
8.100.000.000,00, con riguardo a beni (ossia, denaro, saldi attivi di conti correnti
bancari e/o postali, depositi a risparmio,

dossier titoli ed eventuali cassette di

sicurezza, partecipazioni in altre imprese, beni immobili e mobili registrati, impianti,
macchinari, ecc.), nella disponibilità, anche mediante interposizione fittizia, ovvero
interposizione reale fiduciaria, della società Riva Fire s.p.a., ovvero dell’ente o degli
enti eventualmente nati dalla sua trasformazione o fusione – anche per incorporazione
– o scissione parziale (dunque, beni nella disponibilità sia dell’ente scisso, sia
dell’ente, o degli enti, beneficiari della scissione).
In via solo residuale, ed in caso di incapienza dei beni sopra indicati, il
provvedimento di sequestro aveva esteso il suo oggetto sui beni immobili nella
disponibilità – anche mediante interposizione fittizia, ovvero interposizione reale
fiduciaria – della società ILVA s.p.a., sempre che non si trattasse di beni strettamente
indispensabili all’esercizio dell’attività produttiva nello stabilimento siderurgico
tarantino.
Con successivo decreto del 24 maggio 2013, inoltre, il G.i.p. di Taranto aveva
integrato il precedente provvedimento del 22 maggio 2013, specificando che il
sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente nei confronti della Riva
Fire s.p.a. poteva essere eseguito anche su “rapporti e/o disponibilità finanziarie di
qualunque tipo e quale che sia la loro denominazione”.
Ne discende che il provvedimento impugnato ha autorizzato, in difetto di una
correlativa richiesta da parte del P.M., una estensione del sequestro preventivo in
relazione ad oggetti (azioni, quote sociali, cespiti aziendali, ecc.) e a destinatari (le
5

Fire s.p.a. e Riva Forni Elettrici s.p.a. deve ritenersi senz’altro esteso all’intero valore

società ricorrenti, neanche sottoposte ad indagine riguardo ai fatti di reato oggetto di
contestazione) del tutto diversi rispetto a quelli indicati nell’originario decreto.
Il decreto di sequestro, infatti, aveva come soggetti destinatari Riva FIRE s.p.a.
(ovvero l’ente, o gli enti, eventualmente nati dalla sua trasformazione o fusione,
anche per incorporazione o scissione parziale) e solo in via meramente subordinata in caso di incapienza dei beni della prima – l’ILVA s.p.a., con particolare riguardo ai
soli beni immobili nella disponibilità di quest’ultima, “anche mediante interposizione

5. E’ noto che il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di
sequestro preventivo o probatorio è previsto dall’art. 325, comma primo, c.p.p., solo
per violazione di legge, in tale nozione dovendosi ricomprendere sia gli errori in
iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali, da rendere
l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o
privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, e quindi inidoneo
a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. Un., n. 25932 del
29.5.2008, Ivanov; Sez. Un., 29 maggio 2008 n. 25933, Malgioglio; Sez. Un., n. 5876
del 28.1.2004, Bevilacqua; Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, dep. 11/02/2013, Rv.
254893).
Il provvedimento impugnato, oltre a risultare privo di dispositivo, non espone le
ragioni giustificative delle precisazioni fornite alle richieste in tal senso avanzate dal
custode, richieste il cui contenuto viene apoditticamente condiviso senza illustrare i
motivi della autorizzata estensione, oggettiva e soggettiva, della misura cautelare
reale anteriormente disposta.
Non viene esplicitato, infatti, il contenuto delle osservazioni svolte dal custode, né
vi sono espressamente indicate le ragioni per cui le stesse siano state ritenute
fondate.
Il formale richiamo, operato nel provvedimento impugnato, alla giurisprudenza di
questa Suprema Corte, secondo la quale eventuali diritti vantati da terzi in buona fede
sui beni sottoposti a sequestro possono essere fatti valere nella sede propria, che è
quella esecutiva, è genericamente formulato, pretermette il principio della domanda
cautelare del P.M. e non spiega le ragioni dell’estensione del sequestro rispetto a
soggetti e a beni non ricompresi nel provvedimento cautelare genetico, omettendo
peraltro di specificare i motivi per i quali tali beni – facenti capo a società
giuridicamente autonome, anche se controllate rispetto a quelle coinvolte nell’indagine
6

fittizia ovvero interposizione reale fiduciaria”.

- siano stati considerati profitto dei reati associativi ed ambientali oggetto delle
imputazioni formulate a carico di persone fisiche poste in posizione apicale nella
società controllante, relativamente agli illeciti-presupposto commessi nell’interesse o
comunque a vantaggio di quest’ultima.
Non vengono illustrate, infatti, le ragioni per cui i beni costituenti oggetto del
sequestro debbano considerarsi profitto del reato, e dunque aggredibili con una
misura cautelare reale ai sensi degli artt. 19 e 53 del D. Lgs. n. 231/2001.

dalle società “che si ritengano controllate, collegate o comunque sottoposte
all’influenza dominante di Riva FIRE s.p.a. e Riva Forni Elettrici s.p.a.” poggia su un
presupposto – il rapporto di controllo o di collegamento all’interno di un gruppo di
società – la cui esistenza rimane indimostrata, trascurando inoltre la necessaria
disamina, con specifico riferimento alla posizione delle società ricorrenti, non solo delle
condizioni e dei limiti della responsabilità delle controllanti per quel che attiene ai reati
commessi nel contesto delle controllate, ma anche degli effetti e delle correlative
implicazioni dell’assunto in tal modo formulato sul piano della configurazione della
responsabilità sanzionatoria degli enti.
Non è infatti possibile desumere, dalla struttura del provvedimento impugnato,
alcun tipo di relazione tra le risorse patrimoniali delle società (controllate o soggette
ad influenza dominante) in tal guisa aggredite dal vincolo cautelare reale e la
destinazione impressa al profitto illecito che sarebbe stato ottenuto dalle società
indagate (e controllanti) RIVA FIRE s.p.a. ed ILVA s.p.a.
In occasione del decreto di sequestro del 22 maggio 2013, il vincolo cautelare
aveva colpito il patrimonio di società indagate (ILVA e RIVA FIRE), in quanto
asseritamente avvantaggiate da un profitto-risparmio di spesa conseguente a reati
posti in essere nel loro interesse, nonché il patrimonio di un ente (RIVA Forni Elettrici)
beneficiario della scissione parziale di una delle indagate, e dunque attinto in relazione •
alla possibile obbligazione solidale di cui all’art. 30 del D. Lgs. n. 231/2001.
Per effetto del provvedimento impugnato, di contro, il patrimonio di diverse
società – non beneficiarie, peraltro, di alcuna operazione di scissione dalle società
sottoposte ad indagine – viene sottoposto a misura cautelare in difetto di un’esplicita
individuazione dei criteri di imputazione della responsabilità fissati dal D. Lgs. n.
231/2001.
Non è possibile, tuttavia, sulla base di una relazione di controllo o di collegamento
societario solo genericamente prospettata, e nell’assenza di un preciso coinvolgimento
7

Peraltro, l’ampliamento dell’ambito di applicazione del sequestro ai beni detenuti

delle società partecipate nella consumazione dei reati-presupposto, o, quanto meno,
nelle condotte che hanno determinato l’acquisizione di un illecito profitto, ricavare
l’esistenza di alcun nesso logico-giuridico tra quest’ultimo ed il conseguimento di
eventuali illeciti benefici da parte delle controllate.

6. Sulla base delle su esposte considerazioni deve ritenersi, in definitiva, che la
disamina dei tratti identificativi del provvedimento impugnato non ne consente una

tipicamente delineati dal sistema e ne rivela, per converso, aspetti di abnormità
strutturale che lo pongono fuori dell’ordinamento, con l’esigenza della sua
conseguente rimozione.
Invero, deve considerarsi affetto da abnormità, secondo il consolidato
insegnamento giurisprudenziale elaborato in questa Sede, non solo il provvedimento
che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento
processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo
potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni
ragionevole limite. L’abnormità dell’atto processuale può riguardare tanto il profilo
strutturale, allorché l’atto, per la sua singolarità, si ponga al di fuori del sistema
organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non
estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di
proseguirlo (Sez. Un., n. 17 del 10/12/1997, dep. 12/02/1998, Rv. 209603; in
motivazione, da ultimo, v. Sez. Un., n. 25957 del 26/03/2009, dep. 22/06/2009, Rv.
243590).
Provvedimento abnorme, dunque, è quello che presenta anomalie genetiche o
funzionali tanto radicali da non potere essere inquadrato nello schema normativo
processuale (ex multis, v. S.U., 18-6-1993, P.M. in proc. Garonzi; S.U., 24-3-1995,
P.M. in proc. Cirulli; S.U., 9-7-1997, P.M. in proc. Balzan; S.U., 9-7-1997, P.M. in
proc. Quarantelli; S.U., 10-12-1997, Di Battista, cit.; S.U., 24-11-1999, Magnani;
S.U., 24-11-1999 confl. giur. in proc. Di Dona; S.U., 22-11-2.000, P.M. in proc.
Boniotti; S.U., 31-1-2001, P.M. in proc. Romano; S.U., 11-7-2001, P.G. in proc.
Chirico ; S.U., 29-5-2002, Manca; S.U., 25-2-2004, P.M. in proc. Lustri).
Nel caso in esame, come si è rilevato, il provvedimento impugnato non risulta
inquadrabile normativamente, avendo di fatto consentito, in assenza di una domanda
cautelare proveniente dall’unico organo in tal senso legittimato, ossia dal P.M., una
indebita estensione dell’ambito di applicazione dell’originario vincolo cautelare reale in
8

sicura, o quanto meno riconoscibile, collocazione fra i modelli di atto processuale

relazione ad oggetti del tutto diversi da quelli indicati nell’iniziale titolo esecutivo, e a
soggetti del tutto estranei alla commissione degli illeciti fonte della loro responsabilità
amministrativa ex artt. 19 e 53 del D. Lgs. n. 231/2001. L’esecuzione di quel vincolo è
stata in tal modo reiterata, senza individuare le ragioni poste alla base della
correlativa imputazione di responsabilità degli enti e senza illustrare i motivi per cui i
beni individuati come oggetto del sequestro dovessero considerarsi profitto del reato

7. In conclusione, in accoglimento dei primi tre motivi di ricorso, e assorbita la
quarta doglianza prospettata dalle società ricorrenti, deve disporsi l’annullamento
senza rinvio del provvedimento impugnato, con il dissequestro e la restituzione delle
cose sequestrate agli aventi diritto.
La Cancelleria curerà l’espletamento degli incombenti previsti dall’art. 626 c.p.p.

P. Q. M.

Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e ordina la restituzione di quanto
in sequestro agli aventi diritto.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 626 c.p.p. .

Così deciso in Roma, lì, 20 dicembre 2013

9

ai fini sopra indicati.

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