Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26543 del 12/03/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 26543 Anno 2015
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: MOGINI STEFANO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
GESUALDO SALVATORE, nato a Renchid (Germania) il 14.10.1982
avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame di Caltanissettta il 4.12.2014;
visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere Stefano Mogini;
udito il sostituto procuratore generale Maria Giuseppina Fodaroni, che ha concluso chiedendo
il rigetto del ricorso;
udito l’Avv. Michele Baldi, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione in epigrafe il Tribunale del Riesame di Caltanissetta, in parziale riforma
dell’ordinanza del g.i.p. del Tribunale di Caltanissetta del 20.10.2014 che aveva applicato a
Gesualdo Salvatore la misura cautelare della custodia in carcere per i delitti di cui all’art. 416
bis comma 2 e 629 c.p., quest’ultimo aggravato ai sensi dell’art. 7 legge 203/91, ha escluso il
ruolo di direzione e di organizzazione del sodalizio mafioso contestato al Gesualdo al capo A
della rubrica provvisoria e ha confermato nel resto detta ordinanza, mantenendo a carico del
Gesualdo la misura custodiale originariamente applicata.

Data Udienza: 12/03/2015

2. Salvatore Gesualdo ricorre per mezzo del suo difensore di fiducia avverso l’ordinanza del
Tribunale del riesame indicata in epigrafe deducendo con il primo motivo di ricorso violazione
di legge con riferimento agli artt. 355 e 407 c.p.p. e mancanza e manifesta illogicità di
motivazione. Il p.m. ha iscritto il ricorrente nel registro degli indagati soltanto in data
10.11.2009 con espressa retrodatazione degli effetti alla data del 7.4.2008, cosicché devono
ritenersi inutilizzabili nei confronti del ricorrente gli elementi di prova acquisiti in epoca
antecedente alla effettiva iscrizione, nonché quelli successivi alla scadenza del termine

2.1 Col secondo motivo il ricorrente deduce inoltre erronea applicazione della legge penale
e vizi di motivazione con riferimento sia alla sufficienza a fini cautelari del compendio indiziario
che alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari. Sotto il primo profilo, e con specifico
riferimento all’imputazione del reato di partecipazione ad associazione mafiosa, le dichiarazioni
dei collaboranti Minissale Alessandro, Mavica Antonio e Mirabile Paolo sarebbero
intrinsecamente inverosimili e smentite da elementi di segno contrario, oltre che prive di
idoneo riscontro, in particolare circa gli incontri del ricorrente con i fratelli Arcodia e con il
Seminara, la cui causale era del tutto lecita. Ne’ idonea valenza indiziante avrebbero gli episodi
che vedono quali presunte vittime soggetti De Bilio e Alessi, la prima vicenda non avendo
finalità estorsiva o intimidatoria e la seconda caratterizzandosi per plurime contraddizioni del
narrato dello stesso Alessi, peraltro successivamente ritrattato, e per il ruolo del tutto passivo
del ricorrente. L’attualità delle esigenze cautelari sarebbe inoltre smentita dalla stessa
contestazione cautelare, l’imputazione per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. arrestandosi al
2012, cosicché’ la presunzione relativa di cui all’art. 275 comma 3 c.p. dovrebbe ritenersi
definitivamente superata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è privo di pregio. Va in primo luogo rilevato che l’omessa
annotazione della “notitia criminis” nel registro previsto dall’art. 335 cod. proc. pen., con
l’indicazione del nome della persona raggiunta da indizi di colpevolezza e sottoposta ad
indagini “contestualmente ovvero dal momento in cui esso risulta”, non determina
l’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti sino al momento dell’effettiva iscrizione nel
registro (SU, n. 16 del 21.6.2000, Tannmaro).
Il termine di durata delle indagini preliminari decorre dalla data in cui il pubblico ministero ha
iscritto, nel registro delle notizie di reato, il nome della persona cui il reato è attribuito, senza
che al giudice sia consentito stabilire una diversa decorrenza, sicché gli eventuali ritardi
indebiti nella iscrizione, tanto della notizia di reato che del nome della persona cui il reato è
attribuito, pur se abnormi, sono privi di conseguenze agli effetti di quanto previsto dall’art.
407, comma terzo, cod. proc. pen., fermi restando gli eventuali profili di responsabilità

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massimo di durata delle indagini preliminari, che il ricorrente situa al 10.11.2011.

disciplinare o penale del magistrato del P.M. che abbia ritardato l’iscrizione. (SU, n. 40538 del
24.9.2009, Lattanzi).
Inoltre, il termine di durata massima delle indagini preliminari, alla cui scadenza consegue
l’inutilizzabilità degli atti di indagine successivi, non decorre dal momento in cui sia stata
genericamente iscritta la notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen., ma solo
dalla data successiva nella quale sia avvenuta l’eventuale iscrizione delle generalità della
persona cui il reato stesso sia stato attribuito (Sez. 1, n. 5484 del 10.1.2006, P.M. in proc.
Genovese; Sez. 4, n. 4603 del 19.11.2004, Stagno).
Per tutto quanto precede, deve ritenersi che nel caso di specie, anche a seguito delle due

provvedimenti del giudice di autorizzazione alla riapertura delle indagini, non risulti
l’acquisizione di atti di indagine in violazione dei termini di durata di cui all’art. 407 comma 2
c. p. p..

2. Il secondo motivo di ricorso è invece fondato, nei termini e limiti appresso indicati. Va in
primo luogo rilevato che il Tribunale del riesame ha escluso la gravità del compendio indiziario
a carico del ricorrente con riferimento al ruolo di direzione e organizzazione del sodalizio
mafioso originariamente a lui contestato, mentre ha confermato la sussistenza delle condizioni
per l’applicazione al Gesualdo della misura cautelare della custodia in carcere in relazione
delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso armata, aggravato dall’aver finanziato
le attività economiche assunte o controllate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto e il
profitto dei reati commessi di cui al capo A dell’imputazione e al delitto di estorsione aggravato
ai sensi dell’art. 7 L.203/1991 contestato al capo B. Il quadro indiziario fatto valere nei
confronti del ricorrente in ordine al reato associativo si sostanzia in primo luogo nelle
dichiarazioni promananti dal collaboratori di giustizia Mavica Antonio, Mirabile Paolo e Minissale
Alessandro. Al proposito, il Collegio sottolinea la necessità di procedere previamente alla
rigorosa verifica dell’attendibilità dei dichiaranti e delle relative dichiarazioni, secondo la
metodologia più volte indicata da questa Corte di legittimità (cfr. Cass. Sez. U. n. 1653 del
22.2.93; Marino; Sez. 6 n. 35327 del 18.7.2013, Arena e altri; Sez. 2 n. 15756 del 3.4.03,
Papalia e n. 2350 del 26/01/05, Contrada; Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005, Aglierí).
Il giudice deve affrontare il problema dell’attendibilità del dichiarante, in relazione,
tra l’altro, alla sua personalità, alle sue condizioni socio – economiche, al suo passato e ai suoi
rapporti con l’accusato, alla genesi e alle ragioni che lo hanno indotto all’accusa, e deve
valutare la credibilità delle dichiarazioni rese, verificandone l’intrinseca consistenza e le
caratteristiche, alla luce di criteri quali, tra gli altri, quelli della spontaneità ed autonomia,
precisione, completezza della narrazione dei fatti, coerenza e costanza. Tale percorso
valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilità
soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva del suo racconto devono essere vagliate
unitariamente, non indicando l’art. 192, comma terzo, c.p.p., alcuna specifica tassativa
sequenza logico-temporale (SU, n. 20804 del 29.11.2012, Aquilina e altri). Ai fini della

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successive archiviazioni del procedimento a carico del ricorrente e dei conseguenti

necessaria conferma di attendibilità, il giudice deve inoltre esaminare l’esistenza di riscontri
esterni.
Ebbene, tale esame risulta del tutto pretermesso nell’ordinanza impugnata, in
particolare per quanto riguarda la circostanza che il ruolo apicale del Gesualdo (“responsabile
di Enna” a seguito dell’arresto, avvenuto nel giugno 2009, di Amaradio Giancarlo, che quel
ruolo rivestiva in precedenza) riferito dai dichiaranti è stato ritenuto dallo stesso giudice del
riesame non confermato nei termini di gravità indiziaria necessari a fini cautelari, e anzi
contraddetto, se non smentito, dal fatto che il ricorrente era per ragioni di lavoro assente per
lunghi periodi dal territorio in cui il sodalizio mafioso operava.

da soggetti diversi, possano valere come riscontro reciproco (sempre che esse risultino
spontanee e tra loro indipendenti), è necessario che, per ogni singola chiamata, il giudice
proceda alla verifica sopra indicata, in ordine alla credibilità del chiamante e all’attendibilità
della dichiarazione. Il fatto che di una chiamata il giudice si avvalga soltanto come riscontro
esterno d’altra chiamata non esenta dall’obbligo di verificare – e motivare – credibilità del
chiamante e attendibilità delle dichiarazioni rese.
Inoltre, per la valutazione complessiva richiesta dall’art. 192 c.p.p., comma 3, ai
fini del giudizio di responsabilità, le chiamate accusatorie e i riscontri esterni devono essere
individualizzanti, ossia devono riguardare direttamente l’imputato in relazione allo specifico
fatto storico a lui contestato: se oggetto della prova è lo specifico fatto e la sua attribuibilità al
singolo imputato (art. 187 c.p.p.), oggetto della chiamata e dei riscontri d’attendibilità (art.
192 c.p.p., comma 3) deve essere lo stesso specifico fatto, con riferimento all’imputato cui è
ascritto.
Il Collegio sottolinea a tale riguardo che a seguito del venir meno a fini cautelari
dell’aggravante del ruolo apicale, lo specifico apporto al sodalizio criminale in cui si
sostanzierebbe la ritenuta partecipazione del ricorrente all’associazione mafiosa viene delineato
dall’ordinanza impugnata in termini, per un verso, generici e, per altro verso, contraddittori. Il
Tribunale descrive infatti il ruolo del Gesualdo come vero e proprio alter ego dell’Annaradio, in
quanto accompagnatore di quest’ultimo sin tanto che lo stesso era libero e suo portavoce dopo
il suo arresto. Il Collegio osserva al riguardo che il ruolo di

alter ego presuppone piena

fungibilità e apprezzabile condivisione di poteri decisionali – invero estranee a quello del mero
accompagnatore, peraltro silente, ricavabile dal fatto contestato al capo b) dell’imputazione allorché il successivo e più profilato ruolo di portavoce non sembra poter prescindere, in
assenza di diversa ricostruzione che giustifichi tale legittimazione e proiezione esterna, dal
riconoscimento di un livello gerarchico apicale, del quale la stessa ordinanza impugnata
esclude conferma indiziaria idonea a fini cautelari. Sicché anche sotto questo profilo si impone
un nuovo esame e una più coerente e completa motivazione.
Infine, quanto alla partecipazione concorsuale del ricorrente alla condotta estorsiva
in danno dell’Alessi contestata al capo b), il Collegio osserva che la decisa e addirittura violenta
reazione della persona offesa al tentativo di estorsione, ove non altrimenti spiegata con idonei

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Giova anche precisare che affinché le più chiamate in reità o correità, provenienti

elementi di contesto ovvero relativi ai rapporti tra i soggetti coinvolti e/o a loro personali
qualità e appartenenze, sembra idonea a rifluire in termini negativi sulla configurabilità
dell’aggravante di cui all’art. 7 L. 203/1991, almeno limitatamente all’avvalinnento delle
condizioni previste dall’art. 416 bis c.p., in un contesto nel quale il riscontro all’attività di
sabotaggio e sviamento della clientela in danno del locale dell’Alessi trova inidonea conferma in
una dichiarazione de relato non confermata a sua volta dall’originario, non identificato
propalante (il ragazzo di Pietrapersia al quale si riferisce per il suo narrato il teste Giuseppe
Praia).
Alla luce di quanto fin qui esposto si rende necessario – assorbiti gli altri motivi di

impugnata con rinvio degli atti al Tribunale di Caltanissetta perché, in coerente applicazione dei
principi di diritto dettati dalle richiamate decisioni di legittimità, proceda a nuovo esame sui
punti e profili critici segnalati, anche con riferimento alle specifiche censure enunciate dal
ricorrente, colmando — nella piena autonomia dei relativi apprezzamenti di merito — le indicate
lacune e discrasie della motivazione.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Caltanissetta per nuovo
esame.

P.Q.M.

Così deciso in Roma il 12 marzo 2015.

ricorso in punto di sussistenza delle esigenze cautelari – l’annullamento dell’ordinanza

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