Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26539 del 09/06/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 26539 Anno 2015
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

Data Udienza: 09/06/2015

SENTENZA
sul ricorso proposto da
CIANCIO Maurizio, nato a Palermo il 11/02/1970,
avverso la sentenza del 22/04/2014 della Corte di Appello di Palermo;
esaminati gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata;
udita la relazione svolta dal consigliere Giacomo Paoloni;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto Procuratore generale Eduardo V.
Scardaccione, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito per il Ciancio l’avv. Glaviano Alviand:che
ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

FATTO E DIRITTO
1. La sentenza di appello indicata in epigrafe ha confermato in punto di
responsabilità la decisione pronunciata il 17.1.2011 dal Tribunale di Palermo, che ha
dichiarato Maurizio Ciancio responsabile del delitto di simulazione di reato, commesso il
21.11.2008, denunciando falsamente il furto dell’autovettura Toyota Yaris al fine di
assicurare al figlio Salvatore l’impunità dal reato di concorso in rapina, avendo costui
utilizzato tale veicolo per la fuga dopo l’azione criminosa. I giudici del gravame hanno,
tuttavia, ritenuto di mitigare il trattamento punitivo riservato al Ciancio, sia escludendo
la contestata aggravante teleologica, sia concedendogli le attenuanti generiche, e -per
l’effetto- hanno ridotto la pena allo stesso inflitta ad otto mesi di reclusione.

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2. L’imputato ha proposto personale ricorso per cassazione contro la sentenza
della Corte di Appello di Palermo, denunciandone il totale difetto di motivazione in
ordine al beneficio della sospensione condizionale della pena, pur invocato con specifico
motivo di impugnazione enunciato nell’appello sottoposto all’esame dei giudici di secondo
grado.
3. Il ricorso è fondato.
Effettivamente la sentenza impugnata non reca traccia né del motivo di appello
formulato dall’imputato in relazione al disposto dell’art. 163 c.p., né delle ragioni per le

quali il Ciancio è stato ritenuto immeritevole dell’invocato beneficio.
Ciò sebbene l’imputato in sede di appello abbia sollecitato, in termini non generici o
meramente assertivi, il riconoscimento, in uno alle attenuanti generiche, della
sospensione condizionale della pena (attenuanti e beneficio negati dal primo giudice).
Il vero è che l’omessa motivazione della Corte di Appello scaturisce in tutta
evidenza dalla mancata constatazione che contro la sentenza di primo grado sono stati
proposti due separati atti di appello nell’interesse del Ciancio a cura dei due difensori di
fiducia del prevenuto, con il secondo soltanto dei quali (proposto il 30.6.2011 dall’avv.
Teresa Re) si invocava, oltre alle attenuanti innominate (richiesta avanzata anche con
l’appello del 10.5.2011 dell’avv. Fiumefreddo), la sospensione condizionale della pena.
Richiesta che la Corte di Appello ha ignorato, prendendo in esame (come si desume
dalla sinossi dei motivi di gravame esposta nella sentenza di secondo grado) unicamente
l’appello depositato per primo e non recante alcuna richiesta ex art. 163 c.p.
Tale essendo la causa storico-documentale dell’omissione valutativa della decisione
di appello, non vi è dubbio che il silenzio della decisione sul tema della sospensione
condizionale della pena vizia parzialmente l’atto decisorio. Vero è che l’omissione (con
connesso diniego del beneficio) investe un ambito della decisione, quello del
trattamento punitivo, rimesso all’esclusivo apprezzamento discrezionale del giudice di
merito in rapporto ad un istituto, quale quello della sospensione della pena, scandito da
massima latitudine di autonomia e facoltatività, avulse da predeterminati automatismi
applicativi.
Nondimeno i giudici di secondo grado, a fronte di una esplicita richiesta di verifica
sollecitata dall’appellante sull’applicabilità della sospensione condizionale, richiesta idonea
a focalizzare -per la sua specificità- un”puntd’della decisione di primo grado attinto da
impugnazione e meritevole di una puntuale seppur sintetica risposta, avevano obbligo di
pronunciarsi. Tanto più quando si osservi che la misura della pena inflitta al ricorrente
(che la stessa sentenza di appello afferma gravato da due soli remoti e non gravi
precedenti penali, uno dei quali per reato depenalizzato) ricadeva entro il limite della
sanzione detentiva per la concessione del beneficio previsto dall’art. 163 c.p.
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Deve, quindi, ribadirsi il principio di diritto secondo cui, fatta salva l’ipotesi della
palese non concedibilità del beneficio per immanente assenza dei presupposti di legge,
costituisce difetto assoluto di motivazione della sentenza la mancata pronuncia del
giudice di appello sulla concessione della sospensione condizionale della pena, quando
nell’atto impugnatorio sia stata esplicitamente sollecitata (in termini, beninteso, non
generici o sorretti da mere formule di stile) una verifica sulla applicabilità del ridetto
beneficio (cfr.: Sez. 6, n. 47913 del 9.12.2009, Mazzotta, Rv. 245493; Sez. 3, n. 3431

Dagli enunciati rilievi consegue che gli atti vanno rimessi, previo annullamento in
parte qua della sentenza impugnata, ai giudici di appello affinché valutino, con giudizio
anche di fatto non surrogabile in questa sede, la concedibilità o meno all’imputato della
sospensione condizionale della pena (v. Sez. 3, n. 19082 del 17.4.2012, Vitale, Rv.
252651).
Trattandosi di annullamento parziale della sentenza afferente a statuizioni diverse
da quelle sottese al già avvenuto accertamento del reato e della responsabilità del
ricorrente, la decisione sulla condanna diviene irrevocabile con la presente sentenza di
legittimità con effetti preclusivi per il giudice del rinvio della declaratoria di eventuali
sopravvenienti cause estintive del reato.
P. Q. M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla sospensione condizionale della
pena e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo per nuovo giudizio sul
punto.
Roma, 9 giugno 2015
Il consiglier estensore
Giacom PaoloAi

del 4.7.2012, Maione, Rv. 254681).

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