Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2653 del 16/01/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 2653 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: CITTERIO CARLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
IERACE ALESSANDRO N. IL 02/08/1980
avverso la sentenza n. 187/2012 CORTE APPELLO di CATANZARO,
del 27/09/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CARLO CITTERIO
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

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Data Udienza: 16/01/2014

52249/12 RG

1

CONSIDERATO IN FATI-0

Enuncia unico motivo di ‘carenza e contraddittorietà’ della motivazione,
perché avendo il Giudice d’appello negato che la condotta di violenza e minaccia
fosse finalizzata ad impedire il compimento di uno specifico atto d’ufficio, tuttavia
non avrebbe potuto procedere ad una riqualificazione che comunque avrebbe
richiesto l’indicazione di un atto che l’imputato avrebbe voluto costringere a fare od
omettere, atto non indicato.
In definitiva, la motivazione che ha sorretto la riconosciuta non configurabilità
del delitto di resistenza, per quel fatto, avrebbe dovuto imporre la mera e radicale
assoluzione per la sua assorbente irrilevanza penale.

RAGIONI DELLA DECISIONE
2. Il ricorso è fondato nei termini che seguono.
La Corte distrettuale parrebbe aver indicato che la condotta dei militari cui il
comportamento minaccioso e violento del ricorrente era finalizzato sarebbe
consistita nell’indurre i carabinieri a lasciarlo andare nonostante fosse privo di
documenti e si accompagnasse a conducente a sua volta privo di patente di guida:
in sostanza, una condotta finalizzata ad ottenere un rilascio senza compimento
doveroso di atti d’ufficio finalizzati alla sua identificazione.
La complessiva motivazione presenta tuttavia aspetti contraddittori. La Corte
distrettuale, dato atto che le argomentazioni difensive sono “non del tutto
peregrine”: concorda nell’escludere che l’imputato abbia col proprio atteggiamento
ostacolato uno specifico atto dell’ufficio, in particolare non opponendosi
all’accompagnamento in caserma, rendendosi disponibile alla compiuta
identificazione e fornendo le generalità; parla quindi di pronuncia di minacciose
invettive e di improvviso quanto immotivato scatto di violenza mentre si trovava in
sala d’attesa, accompagnato da subitaneo pentimento. Ciò, dopo aver ricostruito in
fatto la condotta in questi termini: frasi minacciose durante l’accompagnamento,
spinta senza apparente motivo ad uno dei carabinieri mentre era in sala d’aspetto,
minaccia di morte nella stanza del comandante dove era stato condotto per
spiegare la spinta e subito dopo pianto.
In altri termini, da un lato si esclude l’opposizione a specifico atto d’ufficio;
dall’altro si indicano comportamenti anche di minaccia apparentemente inseriti in
un contesto occasionale ed estemporaneo manifestante disagio personale, con un
aspetto apparentemente conclusivo, il pianto dopo spinta “senza motivo” e
“minacce” dopo richiesta di spiegazioni, che rendono allo stato assertiva
l’affermazione di sussistenza del dolo del reato, oltretutto ritenuto solo in
motivazione anziché esito di specifica e formale deliberazione risultante dal
dispositivo.
Consegue l’annullamento con rinvio per nuovo giudizio.

1. Con ricorso personale Antonio Ierace ricorre avverso la sentenza della
Corte d’appello di Catanzaro in data 27.9-8.10.2012 (che ha confermato la
condanna inflittagli dal Tribunale di Vibo Valentia il 5.10.2010, pur riqualificando in
motivazione ai sensi dell’art. 336 c.p. il delitto di resistenza originariamente
contestato e consumato il 15.11.2007).

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2

Va evidenziato che il processo, fissato ritualmente all’udienza del 12.7.2013, è
stato rinviato a nuovo ruolo e poi rifissato e trattato all’odierna udienza a seguito
dell’adesione del difensore ad iniziativa associativa di astensione dalle udienze.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione
della Corte di appello di Catanzaro.
Così deciso in Roma, il 16.1.2014

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