Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2652 del 21/11/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 2652 Anno 2014
Presidente: SERPICO FRANCESCO
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato da
Leoncavallo Romano, nato a Roma il 25/10/1964

avverso la sentenza del 29/11/2011 della Corte di appello di Roma;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paolo
Canevelli, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza
impugnata.

RITENUTO IN FATTO E
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Roma confermava la
pronuncia di primo grado del 18/11/2006 con la quale il Tribunale della stessa
città aveva condannato alla pena di giustizia, all’esito di giudizio abbreviato,
Romano Leoncavallo in relazione al reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n.

Data Udienza: 21/11/2013

309 del 1990, per avere, in Roma il 27/09/2006, detenuto in quantità superiore
a quella consentita gr. 8,07 di sostanza stupefacente del tipo hashish,
contenente gr. 0,669 di THC, divisa in nove confezioni.
Rilevava la Corte di appello come le emergenze processuali avessero
dimostrato la colpevolezza del Leoncavallo in ordine al reato contestatogli in
quanto il numero delle dosi di droga detenute ed il contesto in cui era stato
effettuato il sequestro avevano provato come la sostanza fosse detenuta a fini di

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il Leoncavallo, con atto
sottoscritto dal suo difensore avv. Giorgio Liserre, il quale ha dedotto i seguenti
due motivi.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale
confermato la pronuncia di condanna di primo grado senza considerare che il
quantitativo di principio attivo stupefacente presente nella sostanza sequestrata
all’imputato rientrava nel limite di cui, in base al d.m. allegato al d.P.R. n. 309
del 1990, come modificato nel novembre del 2006, era consentita la detenzione
per uso personale, e senza tener conto che le carte del processo non avevano
dimostrato l’esistenza di alcun dato sintomatico della destinazione allo spaccio di
quella droga, diverso dagli elementi riferibili, invece, al coimputato Claudio
Brozzesi.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la Corte distrettuale
confermato la sentenza di condanna ritenendo a carico dell’imputato un fatto
soggettivamente riferibile al predetto coimputato, diverso da quello oggetto
dell’imputazione contestata.

3. Il primo motivo del ricorso, che assorbe l’esame del secondo, è fondato.
Costituiscono ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte tanto il
principio secondo il quale, in materia di stupefacenti, il possesso di un
quantitativo di droga superiore al limite tabellare previsto dall’art. 73, comma 1
bis, lett. a), d.P.R. n. 309 del 1990, se da solo non costituisce prova decisiva
dell’effettiva destinazione della sostanza allo spaccio, può comunque
legittimamente concorrere a fondare, unitamente ad altri elementi, tale
conclusione (così, da ultimo, Sez. 6, n. 11025 del 06/03/2013, De Rosa e altro,
Rv. 255726); quanto il principio per il quale l’onere di dimostrare la destinazione
illecita della detenzione di sostanze stupefacenti incombe sul P.M. (così Sez. 4, n.
31103 del 16/04/2008, P.M. in proc. Perna, Rv. 242111).
Alla stregua di tali fondamentali regulae iuris bisogna prendere atto come la
sentenza della Corte di appello di Roma presenti sia caratteri di palese violazione

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cessione in favore in terzi.

delle norme di legge penale sostanziale applicate, che aspetti di grave illogicità,
per avere ribadito il giudizio di colpevolezza del Leoncavallo in ordine alla
detenzione delle nove confezioni contenenti sostanza stupefacente del tipo
hashish, senza considerare, per un verso, che il prevenuto non aveva portato
quelle dosi di droga in luogo pubblico, ma le aveva acquistate poco prima dal
coimputato Brozzesi; e, per altro verso, che il quantitativo di principio attivo, pari
a mg. 669 di thc, presente nella sostanza stupefacente rinvenutagli, era inferiore
a limite dei 1.000 mg. fissato dal d.m. 11/04/2006, contenente l’indicazione dei

uso esclusivamente personale di cui all’art. 73, comma 1 bis, d.P.R. cit., come
modificato dalla legge n. 49 del 2006.
In un siffatto contesto la finalità di spaccio non poteva essere desunta dal solo
dato ponderale della sostanza detenuta, omettendo di valutare modalità
comportamentali dell’imputato che astrattamente ne potevano giustificare la
destinazione ad uso esclusivamente personale: d’altro canto, la motivazione
della sentenza impugnata appare gravemente contraddittoria ed incompleta, dal
momento che, pur avendo impropriamente riferito anche all’odierno ricorrente
una condotta, quella di cessione di parte dello stupefacente a tale Predazzoli,
direttamente e materialmente riferibile al solo coimputato Brozzesi, ha
tralasciato di valutare una ulteriore circostanza, della quale si era dato atto nella
parte descrittiva della vicenda sottostante il processo, concernente la frase
“questa volta vendigliela te” – ascoltata dai militari operanti – pronunciata dal
Leoncavallo all’indirizzo del Brozzesi nel momento in cui il Pedrazzoli si era
avvicinato loro per chiedere di poter acquistare una dose di hashish.
Tale situazione, come già precisato da questa Corte con riferimento ad altra
analoga fattispecie (v. Sez. 6, n. 28720 del 03/06/2008, Guaglione, Rv.
240345), impone l’annullamento della sentenza gravata con rinvio, per nuovo
giudizio, ad altra sezione della Corte di appello di Roma.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra sezione
della Corte di appello di Roma.
Così deciso il 21/11/2013

limiti quantitativi massimi delle sostanze stupefacenti e psicotrope riferibili ad un

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