Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26509 del 03/06/2015


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 26509 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
– D’URSO ALFIO, n. 10/07/1953 a Biancavilla
– GRECO PINUCCIA, n. 1/01/1959 a Biancavilla

avverso la sentenza della Corte d’appello di CATANIA in data 21/01/2014;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. G. Corasaniti, che ha chiesto annullarsi senza rinvio l’impugnata
sentenza;

Data Udienza: 03/06/2015

RITENUTO IN FATTO

1.

D’URSO ALFIO e GRECO PINUCCIA hanno proposto ricorso avverso la

sentenza della Corte d’appello di CATANIA emessa in data 21/01/2014,
depositata in data 30/01/2014, con cui è stata confermata la sentenza del
tribunale di CATANIA, sez. dist. ADRANO, del 2/05/2012, con cui i medesimi

relazione all’art. 95 e 64, commi secondo e terzo, e 65 in relazione all’art. 71 e
72, d.P.R. n. 380 del 2001, commessi in concorso tra loro, e condannati, con il
concorso per entrambi delle circostanze attenuanti generiche e ritenuta la
continuazione, previa riduzione per il rito, alla pena, condizionalmente sospesa
per entrambi, di mesi 4 di arresto ed € 30.000,00 di ammenda, oltre alla
demolizione del manufatto abusivo (fatti contestati come accertati in data
19/09/2008).

2.

Con il ricorso, proposto dal comune difensore fiduciario cassazionista,

vengono dedotti

due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente

necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deducono, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), c.p.p., in
relazione all’art. 81, comma secondo, cod. pen.
La censura investe l’impugnata sentenza per non aver la Corte d’appello
applicato la disciplina del reato continuato, preferendo invece applicare quella del
cumulo giuridico; la molteplicità delle violazioni appariva il frutto di un medesimo
disegno criminoso, atteso che la realizzazione della copertura nei fatti costituiva
la continuazione dei lavori di realizzazione del piano terra e la concretizzazione di
un medesimo disegno criminoso.

2.2. Deducono, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. e), c.p.p.,
sotto il profilo della mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione.
La censura investe l’impugnata sentenza per aver la Corte d’appello
erroneamente motivato sul motivo di appello con cui si eccepiva l’intervenuta
prescrizione dei reati; in particolare, i giudici etnei avevano respinto l’eccezione,
rilevando che il reato edilizio è permanente fino a quando l’opera non è ultimata
e, poiché, nel caso in esame ciò non era ravvisabile, l’estinzione non poteva
essere dichiarata; diversamente, sostengono i ricorrenti, anche in base a
consolidata giurisprudenza di questa Corte, poiché era intervenuta una causa
2

sono stati ritenuti colpevoli dei reati di cui agli artt. 44, lett. c), 93 e 94 in

interruttiva costituita dal sequestro del manufatto, eseguito nel settembre 2008,
i giudici di appello avrebbero dovuto valutare l’intervenuta estinzione per
prescrizione alla data dell’udienza di appello, essendo a tale data già decorso il
termine quinquennale previsto dalla legge per i reati contravvenzionali.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4.

Ed invero, quanto al primo motivo, premessa l’erroneità della doglianza

(atteso che né il primo giudice né la Corte d’appello hanno applicato la disciplina
del cumulo giuridico, ma hanno ritenuto la continuazione tra i diversi reati
oggetto di contestazione), la Corte d’appello motiva puntualmente circa le
ragioni del mancato riconoscimento della continuazione tra i fatti oggetto del
presente giudizio e quelli già oggetto della precedente sentenza di condanna,
emessa dal Tribunale di Adrano in data 22/05/1998, divenuta irrevocabile; i
giudici etnei, infatti, manifestano il diniego sul punto avuto riguardo al
consistente arco temporale intercorrente tra la data di commissione dei diversi
reati (risalenti, quella già giudicati, agli accertamenti del 30/08/1996 e del
20/09/1996) che escludeva la medesimezza del disegno criminoso.
A fronte di tale argomentazione, coerente con le risultanze processuali e immune
da vizi logici, i ricorrenti oppongono censure puramente contestative, asserendo
invece che ricorressero le condizioni per il riconoscimento dell’applicazione della
disciplina della continuazione tra i fatti giudicati e quelli oggetto del presente
giudizio. E’ pacifico, secondo la giurisprudenza di questa Corte, che ai fini del
riconoscimento della continuazione in sede di cognizione, incombe
sull’interessato l’onere di allegazione degli specifici elementi dai quali possa
desumersi l’identità del disegno criminoso (v., tra le tante: Sez. 6, n. 43441 del
24/11/2010 – dep. 07/12/2010, Podda, Rv. 248962). L’identità del disegno
criminoso, infatti, non può essere presunta e l’imputato ha un onere di
allegazione di sentenze, di prove e di argomentazioni tali da dimostrare l’unicità
del disegno criminoso in cui devono essere ricomprese le diverse azioni od
omissioni fin dal primo momento. La valutazione della sussistenza di tale unicità
è compito del giudice di merito, la cui decisione sul punto, se congruamente
motivata, come nel caso in esame non è sindacabile in sede di legittimità (Sez.
1, n. 5518 del 18/11/1994 – dep. 30/01/1995, Montagna, Rv. 200212).
Ed è indubbio che la Corte territoriale, avendo valorizzato il consistente arco
temporale intercorrente tra i precedenti episodi (anno 1996) e quelli oggetto del
3

3. I ricorsi sono manifestamente infondati.

presente giudizio (2008) per negare il riconoscimento della continuazione, ha
fatto buongoverno del principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui
in caso di reati commessi a distanza temporale l’uno dell’altro, si deve
presumere, salvo prova contraria, che la commissione d’ulteriori fatti, anche
analoghi per modalità e

“nomen juris”,

non poteva essere progettata

specificamente al momento di commissione del fatto originario, e deve quindi
negarsi la sussistenza della continuazione (v., ex multis: Sez. 1, n. 3747 del

5. Quanto, poi, al secondo motivo, lo stesso è parimenti privo di pregio.
Ed invero, la Corte territoriale ha respinto l’eccezione di estinzione dei reati per
prescrizione evidenziando che non ricorressero le condizioni per raccoglimento
dell’istanza; dalla lettura dell’impugnata sentenza, peraltro, emerge che il
sequestro venne eseguito in data 19/09/2008, data dell’accertamento; da tale
data, dunque, decorreva il dies a quo per il computo del termine di prescrizione,
che sarebbe dovuto decorrere alla data del 19/09/2013; risulta, tuttavia, un
periodo di sospensione, valutabile ex art. 159 cod. pen., pari complessivamente
ad anni 3, mesi 5 e gg. 2 (dal 6/05 al 2/12/2009; dal 5/05 al 27/10/2010; dal
16/03 al 23/11/2011; dal 23/11/2011 al 2/05/2012; dal 26/03 al 6/06/2013,
rinvii tutti su richiesta del difensore o, quanto a quello dal 26/03 al 23/11/2011,
per adesione all’astensione proclamata dalla categoria professionale di
appartenenza, computabili dunque per intero ex art. 159, comma primo, n. 2
cod. pen. per pacifica giurisprudenza di questa Corte: Sez. 3, n. 41349 del
28/05/2014 – dep. 06/10/2014, Zappalorti ed altro, Rv. 260753; Sez. U, n. 1021
del 28/11/2001 – dep. 11/01/2002, Cremonese, Rv. 220509; infine, dal
26/03/2013 al 21/01/2014, ex art. 2 ter, legge n. 125 del 2008, computabili per
intero, in quanto non eccedenti il limite di legge di 18 mesi, sospensione peraltro
operante anche in grado di appello: Sez. 5, n. 22878 del 15/05/2014 – dep.
30/05/2014, V, Rv. 259886), donde il termine di prescrizione massima maturerà
solo in data 21/02/2017.
Nessun vizio motivazionale, dunque, è rilevabile nel caso in esame.

6. I ricorsi devono essere, pertanto, dichiarati inammissibili. Segue, a norma
dell’articolo 616 c.p.p., la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a
favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma
che si stima equo fissare, in euro 1000,00 (mille/00) ciascuno.

4

16/01/2009 – dep. 27/01/2009, Gargiulo, Rv. 242537).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della
Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 03/06/2015

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA