Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26506 del 27/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 26506 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SOZZINI SERGIO N. IL 20/08/1963
avverso la sentenza n. 6865/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
09/01/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
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Udito il Procuratore Generale
, in persona
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che ha concluso per ,:k_Q
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o, per la parte civile, l’Avv
Udi‘fdifensor Avv.

Data Udienza: 27/05/2015

RITENUTO IN FATI-0
La Corte di Appello di Milano, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente SOZZINI SERGIO, con sentenza del 9.1.2014, confermava la sentenza
del Tribunale di Milano, emessa in data 12.6.2013, con condanna al pagamento
delle maggiori spese.
Il Tribunale di Milano all’esito di giudizio abbreviato a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, dichiarava l’imputato responsabile del reato
previsto e punito dall’art. 10 quater D.L.vo n. 74/2000, perché, quale legale rap-

Vai Barona, 3 non versava l’importo dovuto utilizzando in compensazione ai sensi
dell’art. 17 D.Lvo 241/97 crediti non spettanti o inesistenti, relativi al quadro VLIVA per l’ammontare complessivo di euro 253.329,00, in Milano il 18.2.2008,
condannandolo, riconosciute le attenuanti generiche, alla pena di mesi 6 di reclusione, con pena sospesa e non menzione.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a
mezzo del proprio difensore di fiducia, Sozzini Sergio, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
• Violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen., per violazione
dell’art. 157 cod. proc. pen., nonché difetto di motivazione, mancata pronuncia
sui punti oggetto di censura in appello, illogicità.
Il ricorrente deduce la nullità della notificazione del decreto di citazione effettuata all’imputato con le forme dell’art.157 co. 8 bis cod. proc. pen., malgrado
lo stesso avesse dichiarato il proprio domicilio presso l’indirizzo di residenza anagrafica.
La sentenza impugnata avrebbe rigettato lo specifico motivo di gravame sul
punto, con motivazione illogica ed incomprensibile, sostenendo che in presenza
di nomina di fiducia, tale forma di notificazione non fosse preclusa e, pertanto,
sarebbe stata perfettamente regolare.
In realtà, sostiene ancora il ricorrente, la notificazione sarebbe avvenuta
senza aver percorso in via cumulativa, tutti gli adempimenti previsti dall’art. 157
cod. proc. pen., che costituirebbero presidio di garanzia insuperabile.
In ogni caso, poi, aggiunge il ricorrente, la sentenza apparirebbe illogica e
priva di motivazione, laddove, in relazione alla carenza dell’elemento soggettivo
del reato per l’intervenuto fallimento e l’impossibilità di sanare le indebite compensazioni, riterrebbe tali circostanze indifferenti.

2

presentante della soc. Essebiemme Costruzioni srl, con sede legale in Milano, Via

Piuttosto, le stesse circostanze dimostrerebbero la mancanza di dolo
nell’azione posta in essere dal Sozzìni, costretto dalla crisi economica che
l’avrebbe portato al fallimento.
La stessa sentenza di primo grado, sia pure al fine di motivare sull’entità
della pena, avrebbe riconosciuto la trasparenza delle operazioni di compensazione indebitamente effettuate dal Sozzini.
In ultimo, la sentenza impugnata sarebbe priva di motivazione, sulla richiesta di riduzione della pena, limitandosi ad una mera clausola di stile.

gnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi sopra illustrati sono manifestamente infondati e, pertanto, il
proposto ricorso va dichiarato inammissibile.

2. Il primo motivo di ricorso, di tipo processuale, appare manifestamente
infondato.
L’eccezione è stata sollevata in sede di conclusioni in appello e sulla stessa
la Corte territoriale, seppur sinteticamente, ha compiutamente risposto.
Dall’esame degli atti, cui questa Corte ha ritenuto di accedere in ragione
del tipo di doglíanza proposto, emerge che il decreto penale venne notificato
all’imputato al domicilio di residenza di via Cavour 55 di Buguggiate (VA) il
15.10.2012,
Avverso quel decreto penale, in data 26.10.2012, proponeva opposizione
l’avv. Raffaele Bacchetta.
Il decreto di giudizio immediato a seguito di opposizione a decreto penale
di condanna, ove si dà atto che l’imputato è è residente in via Cavour 5 di Buguggiate (VA) veniva colà notificato, per l’udienza del 20.3.2013, a Sergio Sozzini, che ritirava l’atto il 17.1.2013.
All’udienza del 20.3.2013, pertanto, il giudice di primo grado dichiarava la
contumacia dell’imputato ritualmente citato e non comparso, con udienza rinviata per consentire la rinotifica al difensore.
Quest’ultimo, peraltro, all’udienza del 3.4.2013, era presente, richiedeva
l’ammissione dei mezzi di prova e nulla eccepiva circa la costituzione del rapporto processuale con l’imputato.
Il 31.5.2013, nella perdurante contumacia dell’imputato, veniva svolta attività istruttoria, quindi il processo veniva deciso in primo grado all’udienza successiva del 12.6.2013.

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Chiede, pertanto, la cassazione, con o senza rinvio, della sentenza impu-

Ebbene, come si rileva anche dall’intestazione della sentenza di primo grado, quello in Buguggiate (VA) alla via Cavour 55 era l’indirizzo di residenza
dell’imputato, non essendovi stata alcuna formale elezione o dichiarazione di
domicilio ex art. 161 cod. proc. pen.
A quell’indirizzo veniva notificato al Sozzini l’estratto contumaciale, ma il
12.8.2013 il piego non ritirato veniva restituito decorso il termine di dieci giorni.
Veniva quindi proposto appello e, fissata la prima udienza per il 9.1.2014,
la citazione per la stessa veniva notificata all’imputato ai sensi dell’art. 157

Da qui la doglianza di cui si è detto in premessa, che, tuttavia, ritiene il
Collegio essere manifestamente infondata.

3. Sul punto va evidenziato che il sistema processuale italiano è tra i più
garantisti del mondo in materia di notificazioni all’imputato.
Esclusi i sistemi, quali quelli anglosassoni, in cui all’imputato viene fatto
obbligo di partecipare al processo a suo carico, in quelli in cui è contemplata la
possibilità che il processo venga celebrato nella sua contumacia o assenza, la situazione più ricorrente è quella che le notifiche, in presenza di un difensore di fiducia, vengano effettuate a quest’ultimo.
Il sistema delle notifiche all’imputato, di cui agli articoli 157 e seguenti del
codice di rito, ha visto il legislatore, sulla scorta anche della giurisprudenza costituzionale e di legittimità in materia, alla costante ricerca di un punto di equilibrio
tra l’esigenza di garantire all’imputato una conoscenza effettiva dell’esistenza di
un processo o di un provvedimento giudiziario a suo carico e la necessità, oggi
anche costituzionalmente garantita, che il processo abbia una durata ragionevole. E per raggiungere tale obiettivo occorre che il sistema delle notificazioni degli
atti processuali non si trasformi in una sorta di interminabile “gioco dell’oca” a
tutto discapito della necessità e della possibilità di addivenire ad una pronuncia
su fatti penalmente rilevanti prima che intervenga la prescrizione dei reati.
Un punto di svolta importante nella ricerca dell’equilibrio di cui si è detto è
stato raggiunto con l’aggiunta all’art. 157 del codice di procedura penale, operata con l’art. 2 co. 1 del D.L. 21.2.2005, n. 17, convertito, con modificazioni, nella
I. 22 aprile 2005, n. 60, del comma 8bis.
La norma, a chiusura della disciplina riguardante la “prima notificazione
all’imputato non detenuto” ha previsto che: “Le notificazioni successive sono
eseguite, in caso di nomina di difensore di fiducia ai sensi dell’articolo 96, mediante consegna ai difensori. Il difensore può dichiarare immediatamente all’autorità che procede di non accettare la notificazione. Per le modalità della notificazione si applicano anche le disposizioni previste dall’articolo 148, comma 2-bis”.
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co.8bis cod. proc. pen. presso il difensore di fiducia.

Un sistema così congegnato, che ha semplificato una fase spesso macchinosa e di non facile attuazione del procedimento, appare rispettoso del principio
di bilanciamento fra i valori espressi dalla Carta costituzionale, fra le esigenze,
che potrebbero prima facie apparire divergenti, della ragionevole durata del processo, di cui è espressione all’art. 111 Cost., e quelle, non meno fondamentali
per l’ordinato sviluppo della vita associata, della tutela dei diritto di difesa, che
evidentemente non potrebbe realizzarsi in assenza di una compiuta informazione
al prevenuto dei modi e dei tempi in cui egli ha la possibilità di esercitare tale di-

Residuano, evidentemente, i casi in cui l’imputato abbia eletto o dichiarato
domicilio, per cui trova applicazione l’art. 161 del codice di procedura penale,
quello in cui venga dichiarato irreperibile o sia latitante o evaso, per il quale la
procedura è sancita dagli articoli 159 e 165 del medesimo codice, quello in cui
presti servizio militare, ovvero sia interdetto o infermo di mente, disciplinati rispettivamente dagli articoli 158 e 166.

4. Una volta, però, che l’imputato abbia avuto la prima notifica ed abbia un
difensore di fiducia nominato, tutte le notifiche successive a quella possono essergli effettuate ai sensi dell’art. 157 co.8 cod. proc. pen. a meno che il difensore
in questione non si giovi della facoltà che la norma, come visto, gli riconosce, di
dichiarare preventivamente all’A.G. procedente di non accettare tale forma di notificazione.
Il meccanismo è chiaro nella sua ratio.
Una volta ricevuta la prima notifica l’imputato sa che c’è un processo a suo
carico, E, quando ne ha nominato uno di fiducia, sa di avere un legale che lo
rappresenta. Se sceglie di non partecipare al processo sa, dunque, a chi rivolgersi per esserne informato.
Al contempo, il difensore che riceve la notifica ex art. 157co.8bis cod. proc.
pen. per il suo assistito e non la rifiuta assume un obbligo professionale di riferire allo stesso.
Coerente con tale previsione è che analogo meccanismo non valga nel caso
in cui manchi una nomina fiduciaria, in virtù, evidentemente, del vincolo meno
intenso che di fatto lega l’imputato al difensore di ufficio.
Pertanto, anche le notificazioni successive alla prima, nel caso in cui
l’imputato abbia un difensore di ufficio, gli andranno effettuate seguendo le
scansioni procedurali di cui ai commi da 1 a 7 dell’articolo 157.
Diverso è il caso in cui l’imputato abbia eletto o dichiarato domicilio, per cui
opera il disposto dell’articolo 161 del codice di rito.

ritto, presidiate dall’art. 24 Cost..

In quel caso tutte le notificazioni, anche quelle successive alla prima, gli
andranno effettuate al domicilio dichiarato o eletto. E – a differenza, come ci vedrà, da casi come quello che ci occupa- la possibilità di avvalersi per il notificatore del disposto dì cui al quarto comma di tale norma, è legata alla documentata
circostanza che la notificazione a tale domicilio sia divenuta impossibile.

5. Va aggiunto che, necessariamente, per esigenze di sintesi, può solo farsi
un cenno alle recenti modifiche legislative intervenute con riguardo alla presenza

L’istituto della contumacia – com’è noto- non esiste più: se l’imputato non
compare il giudice ha l’onere di verificare, innanzitutto, se abbia avuto effettiva
conoscenza del procedimento a suo carico, se abbia dichiarato o eletto domicilio
o sia stato arrestato o sottoposto a custodia cautelare ovvero se abbia nominato
un difensore di fiducia.
Oggi nel caso in cui il giudice abbia prova che l’imputato assente abbia ricevuto personalmente la notificazione dell’avviso dell’udienza ovvero risulti con
certezza che lo stesso sia a conoscenza del processo a suo carico, si procede “in
assenza” dell’imputato” e lo stesso è rappresentato dal difensore.
La legge 28 aprile 2014 n. 67, entrata in vigore il 17 maggio 2014, ha, come noto, introdotto la “sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili” (così nel titolo della legge medesima), di fatto liberando il processo penale
dall’istituto della contumacia.
La legge 11 agosto 2014 n. 118 ha successivamente introdotto l’articolo
15-bis della legge 28 aprile 2014 n. 67 “concernente norme transitorie per l’applicazione della disciplina della sospensione del procedimento penale nei confronti degli irreperibili”. Tali norme transitorie sono racchiuse in due commi
dell’articolo 15-bis della legge 28 aprile 2014 n. 67 novellato. Il primo stabilisce
che le nuove disposizioni si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata
in vigore della “presente legge”, dunque della legge 67/2014 (17 maggio 2014),
a condizione che nei medesimi procedimenti non sia stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado; il secondo prevede che, in deroga a quanto
previsto dal comma 1, le disposizioni vigenti prima dell’entrata in vigore della
legge 67/2014 continuino ad applicarsi ai procedimenti in corso al 17 maggio
2014 quando l’imputato sia stato dichiarato contumace e non sia stato emesso il
decreto di irreperibilità.
Le nuove norme transitorie sono, dunque, operative dal 17 maggio 2014,
non dalla data di entrata in vigore della legge 118/2014.
Si tratta di due regole, la seconda delle quali prevede un’eccezione.

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dell’imputato nel processo che si svolge a suo carico.

In base alla prima regola le nuove disposizioni si applicano nei giudizi di
prìmo grado in cui al 17 maggio 2014 non sia stata pubblicata, mediante lettura
del dispositivo, la sentenza. In questi processi, dunque, il giudice, anche se vi sia
stata dichiarazione di contumacia, deve verificare la situazione dell’imputato alla
luce della nuova normativa. E’ chiamato, in altri termini, a verificare se sia possibile processare l’imputato assente o se il processo debba invece essere sospeso.
Negli altri processi in cui l’imputato sia stato dichiarato contumace si appli-

dell’estratto contumaciale della sentenza di primo grado in avanti). In tali ultimi
processi, tuttavia, in via eccezionale, si applicano le nuove disposizioni qualora la
dichiarazione di contumacia dell’imputato sia stata preceduta dall’emissione di un
decreto di irreperibilità (il riferimento normativo è rappresentato dall’articolo 159
del codice di procedura penale, caso in cui la notificazione della vocatio in iudicium avviene mediante consegna al difensore). L’eccezione, evidentemente, ha
come destinatario naturale il giudice d’appello, il quale è, dunque, tenuto a verificare la concreta situazione dell’imputato, dichiarato irreperibile, alla luce della
nuova normativa, non essendo detto, evidentemente, che la dichiarazione di irreperibilità sottenda necessariamente la mancata conoscenza del procedimento.

6. E’ pacifico, dunque, che nel caso che ci occupa – in cui l’imputato è stata dichiarato contumace il 20.3.2013 e la sentenza di primo grado nei suoi confronti è stata pronunciata il 12.6.2013 già la notifica dell’estratto contumaciale
della sentenza, ai sensi del previgente articolo 548 co. 3 cod. proc. pen., poteva
essere effettuata ai sensi dell’art. 157 co. 8bis cod. proc. pen.
Dopo la notifica del 17.1.2013 tutte le notifiche successive potevano, infatti, essere effettuate ai sensi dell’art. 157 co.8bis al difensore di fiducia. Ed invero
– va ribadito- non risulta ex actis che l’imputato abbia mai eletto o dichiarato
domicilio ai sensi dell’art. 161 cod. proc. pen. né che il difensore di fiducia si sia
mai avvalso della facoltà di comunicare all’A.G. procedente che non intendeva
accettare le notifiche ex art. 157 co.8bis cod. proc. pen.
La notifica dell’estratto contumaciale è stata effettuata, invece, all’indirizzo
di residenza e si è perfezionata con la compiuta giacenza, visto il mancato ritiro
dell’atto. E ciò è stato assolutamente corretto.
Ugualmente rituale è stata poi la notifica dell’avviso per la prima udienza di
appello ex art. 157 co.8bis presso il difensore.
Questa Corte di legittimità ha più volte chiarito -e va qui riaffermato- che
per “prima notificazione” a seguito della quale può procedersi a notificare mediante consegna al difensore di fiducia ai sensi dell’art. 157, comma ottavo -bis,
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cano invece le disposizioni previgenti (da quelle sulla notificazione all’imputato

cod. proc. pen., deve intendersi solo quella relativa al primo atto del procedimento, e non anche quella relativa al primo atto di ogni grado di giudizio
(così sez. 5, n. 13310 del 14.2.2013, L., rv. 254982 che, in applicazione del
principio, ha ritenuto legittimamente eseguita, con le modalità suddette, la notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello). E in una successiva ed altrettanto condivisibile pronuncia di questa Corte si è ribadito che l’art. 157,
comma ottavo bis, cod. proc. pen., concernente il regime delle notificazioni successive alla prima, riguarda l’intero processo e non già ogni grado di giudizio,

cazione rispetto alla quale possa, poi, trovare attuazione la nuova disciplina. (così sez. 6, n. 19764 del 16.4.2013, G., rv. 256233 riguardante un caso in cui il ricorrente aveva dedotto di non essere stato a conoscenza dello svolgimento del
giudizio di appello per il quale il decreto di citazione a giudizio e l’estratto contumaciale della sentenza di primo grado gli erano stati notificati ai sensi dell’art.
157, comma otto bis, cod. proc. pen.).
Peraltro, nessun affidamento di continuare a ricevere le notificazioni
all’indirizzo di residenza e non presso il difensore ex art. 157co. 8bis può dirsi ingenerato nell’imputato dal fatto che la notifica dell’estratto contumaciale, come
detto, sia stata effettuata presso il domicilio dell’imputato (e peraltro non ritirata) quando già si sarebbe potuto fare ricorso al disposto dell’art. 157 co.8bis cod.
proc. pen.
E’ stato precisato condivisibilmente da questa Corte di legittimità, infatti,
che non è nulla la notifica del decreto di citazione in secondo grado effettuata a
mani del difensore di fiducia (che non abbia dichiarato di non accettarla), qualora
in precedenza la notifica del decreto di citazione a giudizio in primo grado,
nonostante l’intervenuta nomina del difensore di fiducia tale da legittimare il
ricorso alle forme di cui all’art. 157, comma ottavo bis, cod. proc. pen., sia stata
effettuata presso il domicilio dell’imputato (così questa sez. 3, n. 42002 del
17.7.2014, Luzzano, rv. 261386, nella cui motivazione si è proprio chiarito che
non può costituirsi da parte dell’imputato alcun legittimo affidamento alla
prosecuzione delle forme di notificazione inizialmente adottate, allorquando ciò si
traduca nella lesione di un interesse di rango costituzionale quale è quello alla
ragionevole durata del processo).

7. Parimenti manifestamente infondato appare anche il secondo motivo di
ricorso, con cui si lamenta vizio motivazionale, ma, in realtà, si introducono elementi di fatto tesi ad una rivalutazione del merito che in questa sede non è consentita.

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sicché non occorre individuare per ciascuna fase processuale una “prima” notifi-

Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della
motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la
oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le
varie, cfr. vedasi questa sez. 3, n. 12110 del 19.3.2009 n. 12110 e n. 23528 del
6.6.2006).
Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicità della motivazione per

sore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al
riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le
minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del
convincimento (sez. 3, n. 35397 del 20.6.2007; Sez. Unite n. 24 del 24.11.1999,
Spina, rv. 214794).
Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall’art. 606
c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene
né alla ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del giudice di merito, ma è
circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti
che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della
motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (sez. 2, n. 21644 del 13.2.2013,
Badagliacca e altri, rv. 255542)
Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto.
Non c’è, in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilità di
andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E
ciò anche alla luce del vigente testo dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc.
pen. come modificato dalla I. 20.2.2006 n. 46.
Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei
fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi
di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
Il ricorrente non può, come nel caso che ci occupa limitarsi a fornire una
versione alternativa del fatto, senza indicare specificamente quale sia il punto
della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta.

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essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spes-

Com’è stato rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte la
sentenza deve essere logica “rispetto a sé stessa”, cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da
“altri atti del processo”, purché specificamente indicati nei motivi di gravame,
non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice
della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto.

Suprema Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato
si palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d’Appello di Milano alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva.
Va chiarito che il Collegio ritiene, conformemente alle più recenti precisazioni fornite da questa stessa Suprema Corte secondo cui non è escluso che, in
astratto, siano possibili casi – il cui apprezzamento è devoluto al giudice del merito e come tale è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato
– nei quali possa invocarsi l’assenza del dolo o l’assoluta impossibilità dì adempiere l’obbligazione tributaria (così sez. 3 n. 10813 del 6.2.2014, Servida, non
massim. ; conf. la cit. sez. 3, n. 5467 del 5.12.2013 dep. il 4.2.2014, Mercutello
,rv. 258055) .
E’ tuttavia necessario, perché in concreto ciò si verifichi, che siano assolti
gli oneri di allegazione che, per quanto attiene alla lamentata crisi di liquidità,
dovranno investire non solo l’aspetto della non imputabilità a chi abbia omesso il
versamento della crisi economica che ha investito l’azienda o la sua persona, ma
anche la prova che tale crisi non sarebbe stata altrimenti fronteggiabile tramite il
ricorso, da parte dell’imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto
(non ultimo, il ricorso al credito bancario).
In altri termini, il ricorrente che voglia giovarsi in concreto di tale esimente, evidentemente riconducibile alla forza maggiore, nei termini di cui si è detto,
dovrà dare prova che non gli sia stato altrimenti possibile reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per
il suo patrimonio personale, atte a consentirgli di recuperare la necessaria liquidità, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non
imputabili (così la già citata e condivisibile sentenza 5467/14 di questa Sezione).
Tutto ciò, però, come si diceva, può accadere a fronte di mancati versamenti. Nel caso in esame vi è stata, invece, secondo quanto si legge nella logica

lo

8. Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa

e congrua motivazione del provvedimento impugnato, la cosciente volontà di effettuare le indebite compensazioni adducendo l’esistenza di crediti.
Il successivo fallimento della società, come correttamente assunto dai giudici di merito, non vale ad esonerare l’imputato dalla responsabilità per gli omessi versamenti conseguenti alle indebite compensazioni.

9. Manifestamente infondata -e anche aspecifica- è la doglianza circa la
quantificazione della pena su cui sia il giudice di primo grado, con riferimento

vame del merito, che ha avuto come riferimenti esplicitati l’adeguatezza al fatto
e la proporzionalità rispetto all’entità delle somme non versate, hanno offerto
adeguata motivazione.
L’imputato, peraltro, pur a fronte di un importo di euro 253.329,00 si è visto riconosciute sin dal primo grado le circostanze attenuanti generiche ed irrogata una pena che è partita da una pena base di mesi nove di reclusione a fronte
dì una pena edittale prevista per il reato di cui all’art. 10quater Divo 74/2000
che va da sei mesi a due anni di reclusione.
Per giurisprudenza costante di questa Suprema Corte Suprema -va ricordato- la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra,
tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la
pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche
nel caso il cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di
equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen.
(così sez. 4, n. 21294, Serratore, rv. 256197; conf. sez. 2, n. 28852
dell’8.5.2013, Taurasi e altro, rv. 256464; sez. 3, n. 10095 del 10.1.2013, Monterosso, rv. 255153).
Già in precedenza si era, peraltro, rilevato come la specifica e dettagliata
motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran
lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere
sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. le
espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come
pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (così sez. 2, n.
36245 del 26.6.2009, Denaro, rv. 245596).
Nel caso di specie, dunque, l’onere di una motivazione più puntuale si sarebbe dovuto avere in relazione ad una pena superiore al “medio edittale” che,
per il reato in contestazione è fissato in anni uno e mesi tre di reclusione.

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specifico all’entità delle somme indebitamente compensate, che quello del gra-

10. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen,
non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al
pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

Così deciso in Roma il 27 maggio 2015
Il

nsigliere Estensore

Il Presidente

spese processuali e della somma di C mille in favore della Cassa delle Ammende.

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