Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26480 del 04/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 26480 Anno 2015
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: DEMARCHI ALBENGO PAOLO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CORRADA ROBERTO N. IL 22/07/1955
avverso l’ordinanza n. 1628/2013 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
14/10/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI
DEMARCHI ALBENGO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Udit i difensor Avv

Data Udienza: 04/05/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Corrada Roberto propone ricorso per cassazione contro l’ordinanza
della Corte d’appello di Brescia che ha dichiarato inammissibile
l’istanza di revisione contro la sentenza del Gup di Milano il 23
maggio 2008, che aveva applicato nei suoi confronti la pena
concordata di mesi 5 e giorni 20 di reclusione, con confisca di euro

2. Con un primo motivo il ricorrente lamenta il mancato rispetto delle
forme di cui all’articolo 127 del codice di procedura penale e la
violazione del principio del contraddittorio in quanto l’ordinanza
contiene considerazioni che sono proprie di una decisione di rigetto,
violando il principio del contraddittorio, laddove implicitamente
esprime una valutazione di inattendibilità del dichiarante.
3. Con un secondo motivo lamenta erronea interpretazione ed
applicazione della legge penale poiché la Corte ha affermato
l’inammissibilità dell’istanza sul rilievo che gli elementi emersi nel
dibattimento e posti a fondamento della richiesta di revisione non
costituivano prove nuove, avendo il giudice di appello (nel giudizio
dibattimentale contro i coimputati) effettuato solo una rivalutazione
del compendio probatorio esistente. Secondo la difesa, invece, si
tratterebbe di prove che, pur essendo nella disponibilità della parte e
del giudice, non sono mai state valutate. In più, alcune prove (testi
Mazzarella e Miglio, coimputati Boni e Fiorani, consulenza Perini,
relazione Consob) sono state assunte dopo la sentenza di
patteggiamento, nel dibattimento di primo grado relativo ai
coi mputati.
4. Con un terzo motivo di ricorso denuncia mancanza, contraddittorietà
o manifesta illogicità della motivazione laddove la Corte ha omesso di
valutare il carattere di novità delle prove acquisite nel dibattimento
oltre che l’inconciliabilità di giudicati. L’affermazione della Corte,
laddove dice che la documentazione probatoria esaminata dal giudice
di merito di appello era la stessa posta a fondamento della sentenza
di patteggiamento, sarebbe frutto di un travisamento dei fatti, dato
che le prove che hanno portato all’assoluzione dei coimputati sono
emerse solo a seguito dell’istruttoria dibattimentale, mentre i dati

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3.905.732,68.

preesistenti non erano stati valutati dal gip e non erano stati
adeguatamente approfonditi dal Pubblico ministero.
5. Il procuratore generale presso questa suprema Corte, dottor
Selvaggi, ha concluso per il rigetto del ricorso. Secondo il procuratore
generale deve restare fermo il principio che quelle che possono
incidere sul giudicato sono le prove sul fatto e non invece la loro
diversa valutazione da parte di un altro giudice. Diversità che è insita
nel fatto stesso che le prime prove sono state raccolte e valutate

l’acquisizione e la formazione della prova in dibattimento.
Diversamente, ogni procedimento speciale caratterizzato dalla non
acquisizione della prova secondo le modalità ordinarie renderebbe
possibile, di per sé, una revisione della condanna. In conclusione,
non appare illogica né errata la considerazione svolta dalla Corte di
appello, secondo cui nel caso di specie vi è stata semplicemente una
diversa valutazione circa la penale rilevanza dei fatti accertati e non è
invece ravvisabile una incompatibilità tra i fatti accertati nelle due
sentenze.
6. Il 9 aprile 2015 il difensore del ricorrente ha depositato in cancelleria
una memoria difensiva di replica alle osservazioni del procuratore
generale ribadendo che non vi è stata una diversa valutazione di
elementi già venuti in evidenza nella fase delle indagini, ma
l’acquisizione di elementi di prova nuovi e, comunque, la valutazione
di elementi non presi in considerazione, neppure implicitamente, dal
giudice del patteggiamento: -Trattasi di elementi che, se conosciud
dal giudice chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di patteggiamento,
anche se valutati secondo i criteri del rito speciale, avrebbero portato
al proscioglimento del Corrada. Inoltre, i fatti stabiliti a fondamento
delle due diverse sentenze sarebbero inconciliabili e la Corte
d’appello di Brescia avrebbe comunque svolto considerazioni proprie
di una decisione di rigetto, violando il principio del contraddittorio

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Occorre premettere che l’istituto della revisione è applicabile anche
alla sentenza di applicazione della pena, in virtù della nuova
formulazione dell’art. 629 cod. proc. pen., introdotta con l’art. 3, comma
primo, della legge n. 134 del 2003 e, sia pure nell’ambito della
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secondo criteri non riconducibili alle regole che sovrintendono

peculiarità delle valutazioni e dei limiti che ne caratterizzano la
motivazione, il giudice, quantomeno ai fini di accertare o escludere
l’esistenza dei presupposti per la pronuncia della sentenza ex art. 129,
comma secondo, cod. proc. pen., deve tener conto di tutti gli elementi
emergenti dagli atti (cfr. Sez. 5, n. 10167 del 24/11/2009, Zitouni
Noureddine, Rv. 246883)
2. Ciò premesso, occorre spendere qualche parola circa la legittimità
della procedura seguita per il vaglio sulla manifesta infondatezza

634 c.p.p., dispone che, quando la richiesta di revisione è proposta fuori
delle ipotesi previste dagli artt. 629 e 630 cod. proc. pen., o senza
l’osservanza delle disposizioni previste dagli artt. 631, 632, 633 e 641
cod. proc. pen., ovvero risulta manifestamente infondata, la corte di
appello anche di ufficio dichiara con ordinanza l’inammissibilità.
3. Sulla procedura da seguire per giungere alla declaratoria di
inammissibilità dell’istanza di revisione si sono registrati tre indirizzi nella
giurisprudenza di questa Corte.
4. Secondo un primo orientamento, la declaratoria di inammissibilità
della richiesta di revisione, prevista dall’art. 634 cod. proc. pen., può
essere adottata, in assenza di espresso richiamo alla disciplina di cui
all’art. 127 stesso codice, con procedura “de plano”(Sez. 1, n. 15030 del
25/01/2005, D.P., Rv. 231432; Sez. 1, Sentenza n. 5673 del
20/01/2006, Nuzzo, Rv. 233849; Sez. 1, Sentenza n. 47016 del
11/12/2007, Combierati, Rv. 238318).
5. Ciò in quanto la procedura “in camera di consiglio”, disciplinata
dall’art. 127 cod. proc. pen., e che prevede il contraddittorio delle parti,
non deve essere adottata ai fini della decisione su qualsiasi richiesta, ma
soltanto allorché è prevista dalla legge processuale, come è reso
evidente dalla locuzione “quando si deve procedere in camera di
consiglio” che esclude, appunto che si tratti di una procedura generale
ed indefettibile.
6. Si sottolinea che lo stesso art. 127 c.p.p., comma 9,
espressamente prevede, analogamente alla regola di cui all’art. 666
c.p.p., comma 2, per il procedimento di esecuzione, che
“l’inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio è dichiarata dal
giudice senza formalità di procedura salvo che sia altrimenti stabilito”
con la conseguenza che, nel silenzio del codice, deve ritenersi che la

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dell’istanza di revisione scrutinata dalla Corte di appello di Brescia. L’art.

decisione “de plano” debba essere adottata in tutti i casi di
inammissibilità dell’atto introduttivo, che può derivare o dall’applicazione
delle regole di cui all’art. 591 cod. proc. pen., nel caso si tratti di
impugnazione, ovvero dalla violazione delle regole particolari dettate per
lo specifico procedimento oggetto della decisione.
7. Secondo un opposto indirizzo, in tema di revisione, ai fini della
valutazione preliminare di ammissibilità prevista dall’art. 634 cod, proc. pen., la corte di appello deve operare nel contraddittorio tra le parti,

dello stesso codice, con la conseguenza che va dichiarata nulla
l’ordinanza di inammissibilità eventualmente deliberata “de piano” (Sez.
3, n. 11040 del 22/01/2003, Piro, Rv. 227198) e tanto sul rilievo che la
procedura ex art. 127 cod. proc. pen., è prevista in via generale per
procedimenti in camera di consiglio ed anche se l’art. 634 c.p.p., non fa
espresso riferimento all’art. 127 cod. proc. pen., non vi sarebbe ragione
per derogarvi in piena violazione del diritto di difesa. Nel dare conto
dell’opposto orientamento, si sottolinea che, con riguardo all’attuale
disciplina della revisione è improprio distinguere una fase rescindente ed
una fase rescissoria, non essendo più previsto uno stadio della procedura
che si concluda con la revoca o l’annullamento della precedente
sentenza. Con la conseguenza che risulta attribuito alla Corte di Appello,
nella fase preliminare, un potere – dovere di valutazione – anche nel
merito – degli elementi addotti dal richiedente con una pronuncia che
può anche definire la questione sottoposta al suo esame.
8. Una terza posizione della giurisprudenza di legittimità, intermedia rispetto ai precedenti ed opposti orientamenti, si esprime nel senso che,
in tema di revisione, la formula dell’art. 634 cod. proc. pen., secondo cui
“la Corte di appello anche di ufficio dichiara (…) l’inammissibilità”,
significa che la legge consente che le valutazioni preliminari di
inammissibilità della richiesta di revisione siano compiute anche de
plano, rimettendo alla discrezionalità della Corte di appello l’adozione del
rito camerale con la garanzia del contraddittorio per i casi di
inammissibilità che non siano di evidente ed immediato accertamento
(Sez. 1, n. 26967 del 30/03/2005, Pagano, Rv. 232150; Sez. 2, n. 5609
del 27/01/2009, Scopece, Rv. 243286; Sez. 5, n. 21296 del 08/04/2010,
Scuderi, Rv. 247297).
9. Quest’ultimo orientamento è, ad avviso di Collegio, maggiormente
aderente alla disciplina del procedimento di revisione delle condanne
4

mediante il procedimento in camera di consiglio regolato dall’art. 127

(Sez. 3, n. 37474 del 07/05/2014, B, Rv. 260182). Va precisato che il
ricorso al procedimento camerale tipico, disciplinato dall’art. 127 cod.
proc. pen., non costituisce una regola di carattere generale con gli
attributi dell’inderogabilità, tanto da dover essere applicata in ogni caso.
Le Sezioni Unite De Filippo, sebbene impegnate nella soluzione di altra
fattispecie, hanno comunque chiarito che, oltre il modello tipico di
procedimento camerale delineato dall’art. 127 cod. proc. pen., si hanno
schemi procedimentali atipici in relazione al differente grado di garanzia

procedimentali de plano e quelle a contraddittorio attenuato o rafforzato,
il modello generale dell’art. 127 cod. proc. pen., è applicabile in tutti i
casi in cui il legislatore, pur omettendo di fare espresso riferimento
all’art. 127, prescriva l’adozione del procedimento “in camera di
consiglio” e, qualora manchi tale indicazione o la legge preveda che il
giudice deliberi “senza formalità” o faccia uso di altre analoghe formule,
devono ritenersi, invece, radicalmente escluse le forme camerali di cui
all’art. 127 cod. proc. pen., ( Sez. U., n. 26156 del 28/05/ 2003, Di
Filippo, Rv. 224612).
10.

Quando poi è previsto, come nel caso del procedimento di

revisione, che il giudice proceda, “anche d’ufficio”, ed escluso che
l’intervento officioso possa prescindere dal principio della domanda che
costituisce la precondizione affinché si instauri il procedimento di
revisione, ciò vuoi dire che il procedimento è a duplice schema, nel
senso che vi possono essere casi in cui il giudice decide ex officio e casi
in cui _il giudizio deve essere emesso all’esito di una procedura
partecipata, garantendosi il contraddittorio tra le parti.
11.

Ed infatti, alcuni dei casi di inammissibilità descritti dall’art.

634 c.p.p., comma 1, sono di evidente e immediato accertamento, ossia
rilevabili ictu oculi, sicché l’adozione del rito camerale in quest’ambito si
risolverebbe in uno spreco di attività giurisdizionale.
12.

Altre volte, invece, la valutazione di ammissibilità richiede

un esame, anche solo superficiale e sommario, degli atti ed allora è
necessario il rispetto del principio del contraddittorio. Spetta dunque alla
Corte di appello valutare, di volta in volta, quale sia la forma
procedímentale più adeguata, contemperando l’esigenza di garanzia
della partecipazione delle parti con quella di non disperdere inutilmente
energie processuali.

5

del contraddittorio in essi assicurato, e che, escluse le fattispecie

13.

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha proceduto ad una

approfondita valutazione di merito e ciò non può ritenersi consentito in
sede di delibazione sull’ammissibilità della richiesta di revisione e, a
maggior ragione, se a tale epilogo si pervenga senza assicurare il
contraddittorio tra le parti nelle forme del rito camerale. E’, infatti,
principio consolidato di legittimità che l’esame preliminare della Corte
d’appello circa il presupposto della non manifesta infondatezza della
richiesta deve limitarsi ad una sommaria delibazione degli elementi

rilevabile “ictu oculi” e senza necessità di approfonditi esami, dovendosi
invece ritenere preclusa, in tale sede, una penetrante anticipazione
dell’apprezzamento di merito, riservato al vero e proprio giudizio di
revisione, da svolgersi nel contraddittorio delle parti (Sez. 6, Sentenza n.
2437 del 03/12/2009, Giunta).
14.

E per manifesta infondatezza della richiesta di revisione,

che ne determina l’inammissibilità, deve intendersi l’evidente inidoneità
delle ragioni poste a suo fondamento a consentire una verifica circa
l’esito del giudizio: requisito che è tutto intrinseco alla domanda in sé e
per sé considerata, restando riservata alla fase del merito ogni
valutazione sull’effettiva capacità delle allegazioni a travolgere, anche
nella prospettiva del ragionevole dubbio, il giudicato (Sez. 1, n. 40815
del 14/10/2010, Ferorelli). Nel caso in esame, non solo vi è stata una
disamina approfondita degli elementi addotti con il ricorso, ma anche
sotto il profilo oggettivo la questione esigeva un approfondimento pieno
in contraddittorio; l’esito dei procedimenti a carico dei coimputati, infatti,
non si può dire del tutto ininfluente sulla posizione del ricorrente e
pertanto non meritava di essere liquidato con un’ordinanza de plano,
bensì richiedeva un sindacato più penetrante.
15.

E’ opportuno, pertanto, che, consumatosi il vaglio

preliminare di ammissibilità, la questione sia rimessa direttamente al
giudice della revisione. Ai sensi dell’art. 634, comma secondo, cod. proc.
pen., a seguito di accoglimento del ricorso avverso l’ordinanza di
inammissibilità della richiesta di revisione la Corte deve rinviare il
giudizio ad una diversa Corte di appello, individuata ai sensi dell’art. 11
cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 10167 del 24/11/2009, Zitouni Noureddine,
conf. Sez. 1, n. 24146 del 08/03/2011, Lagana’).

6

addotti, in modo da verificare l’eventuale sussistenza di un’infondatezza

16.

Consegue l’annullamento dell’ordinanza impugnata con

rinvio, ai sensi dell’art. 634 c.p.p., comma 2, ultima parte, alla Corte di
appello di Venezia.

p.q.m.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia il giudizio di revisione alla Corte
d’appello di Venezia

Così deciso il 4/5/2015

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