Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26473 del 30/04/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 26473 Anno 2015
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: CAPUTO ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ASSEGNATI MARCO N. IL 09/08/1966
avverso l’ordinanza n. 7190/2014 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
19/12/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO;

Data Udienza: 30/04/2015

Udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte
di cassazione dott.ssa M. Di Nardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 45174/14 del 10/10/2014, la Prima Sezione penale di
questa Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza del 04/06/2014 del Tribunale del
riesame di Napoli, che, a sua volta, aveva annullato l’ordinanza del 02/05/2014

applicato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di Assegnati
Marco in relazione al delitto di omicidio con armi in danno di Napalitano Felice e
di Guadagno Luigi, aggravato dalla premeditazione, dai motivi abietti e dalla
finalità d agevolazione dell’associazione camorristica capeggiata da Nino Alfonso,
reati commessi il 16/05/2003. La sentenza di annullamento ha accolto il ricorso
del Pubblico ministero che lamentava vizi di motivazione dell’ordinanza del
04/06/2014 in ordine alle dichiarazioni del collaboratore Ambrosio Luigi, dalle
quali emergeva un possibile coinvolgimento di Assegnati nei delitti in questione,
e ad alcune conversazioni intercettate (in particolare, quella tra Assegnati Marco
e Scudiero Pasquale avvenute in stretta corrispondenza temporale con i fatti).

2. Investito del giudizio di rinvio, il Tribunale del riesame di Napoli, con
ordinanza deliberata il 19/12/2014, ha confermato l’ordinanza del 02/05/2014
del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Napoli. Il giudice del rinvio
ha richiamato le dichiarazioni del collaboratore Antonio Di Buono, che ha riferito
del suo coinvolgimento negli omicidi in questione, e quelle del collaboratore Luigi
Ambrosio, che ha riferito di un incontro del luglio 2002 – al quale erano presenti,
oltre a lui, Nino Alfonso, Assegnati Marco, Luongo Nicola, Enzo “il ragioniere” e
La Montagna Domenico – nel corso del quale Nino Alfonso insisteva, soprattutto
con Luongo (suo killer di riferimento), che si doveva uccidere Napolitano. Ha
osservato altresì il Tribunale del riesame che possono costituire valido riscontro
esterno le conversazioni telefoniche intercettate indicate nell’ordinanza
impugnata: l’identificazione delle voci risulta compiuta ora con il criterio
dell’intestazione e/o dell’uso abituale delle utenze interessate al colloquio, ora
con i criteri del riferimento nominativo effettuato nel corso delle conversazioni,
del riferimento a rapporti di parentela tra gli interlocutori e della successione
cronologica delle telefonate (quando le stesse si riscontrano le une con le altre),
nonché con il riconoscimento vocale operato dalla polizia giudiziaria.

con la quale il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Napoli aveva

3. Avverso l’ordinanza del 19/12/2014 del Tribunale del riesame di Napoli ha
proposto ricorso per cassazione Assegnati Marco, attraverso il difensore avv. D.
Abate, denunciando – nei termini di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173,
comma 1, disp. att. cod. proc. pen. – vizi di motivazione in relazione agli artt.
192, comma 2, e 273, cod. proc. pen. e violazione dell’art. 627 cod. proc. pen.
Il summit al quale appare presente con Ambrosio e altri anche Assegnati si
svolse nel luglio del 2002, laddove gli omicidi in questione avvennero a quasi un
anno di distanza, ossia il 16/05/2003: lo stesso Ambrosio riferisce che il

riferimento) per l’omicidio di Napolitano, mentre il giudice del riesame non si è
posto il problema se le altre persone potessero essere meramente presenti,
senza rafforzare l’intento omicidiario, tanto più che, dopo il summit del luglio del
2002 non si ebbe più a parlare dell’uccisione di Napolitano tanto che lo stesso
collaboratore ne venne a conoscenza molto tempo dopo. Inoltre, Assegnati era
profondamente intraneo al gruppo (tanto che sconta una condanna definitiva per
la partecipazione al clan Nino) e le dichiarazioni di Ambrosio non hanno il valore
di riscontro attribuitogli dal Tribunale del riesame, in quanto, stando al racconto
del collaboratore, tutti i partecipanti al summit dovrebbero essere responsabili
della fase organizzativa del delitto. Erroneamente il Tribunale del riesame ha
affermato che le dichiarazioni di Ambrosio non sono esclusivamente de relato.
Le dichiarazioni di Di Buono, ritenute dall’ordinanza annullata insufficienti a
valere come fonte di gravità indiziaria anche in fase cautelare, andavano valutate
alla luce delle dichiarazioni dell’altro collaboratore Marcello Di Domenico, che ha
attribuito gli omicidi a Di Buono e a tale Meo. Inoltre, lo stesso Di Buono ha
riferito dell’accordo con Nino Alfonso per “scambiare” gli uomini dei rispettivi
gruppi per commettere omicidi nei rispettivi territori utilizzando facce poco
conosciute e tale certo non era quella di Assegnati, ben conosciuto per l’assidua
frequentazione con Nino Alfonso. Di Buono ha ancora riferito di avere consegnato
le armi solo a Luongo e a Scudiero e che ignorava la mancata partecipazione
materiale del secondo ai fatti.
Quanto alle conversazioni intercettate, la Corte valuterà che esse non
contengono alcun riferimento agli omicidi, mentre la circostanza che Assegnati
potesse utilizzare utenze di altri affiliati o colloquiare con essi dopo il fatto di
sangue risulta del tutto neutra, così come il mero riferimento ai passaggi nelle
celle telefoniche è irrilevante, essendo notorio che il cono formato da una cella
racchiude chilometri e interi comuni.
In ordine all’attendibilità intrinseca ed estrinseca delle dichiarazioni di Di
Buono e al peso delle altre dichiarazioni, convergenti nell’identificazione del solo
mandante, l’ordinanza impugnata è carente di motivazione.

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mandante, il defunto Nino Alfonso, insisteva soprattutto con Luongo (suo killer di

3.2. Le dichiarazioni di Ambrosio non aggiungono nulla a quelle di Di Buono,
laddove gli altri collaboratori descrivono esclusivamente l’appartenenza di
Assegnati al

clan

Nino, non essendosi sul punto altre considerazioni

nell’ordinanza impugnata. Quanto alle conversazioni intercettate, si è formato un
giudicato interno in ordine alla vaghezza/genericità degli argomenti trattati dai
conversanti, che non poteva essere scalfita dal dato cronologico delle telefonate:
l’identificazione probabile di uno dei conversanti nell’odierno ricorrente
testimonia, al di là dell’estraneità al fatto di sangue in esame, rapporti di

criptico o allusivi al fatto di sangue o alle sue modalità di esecuzione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso deve essere accolto nei termini di seguito indicati.
Le doglianze relative all’attendibilità delle dichiarazioni rese dai collaboratori
Di Buono e Ambrosio non meritano accoglimento: l’ordinanza impugnata, infatti,
ha sottolineato come l’ordinanza applicativa abbia dato atto di tale attendibilità
richiamando i diversi e numerosi provvedimenti giudiziari versati in atti e con
motivazione in linea con i criteri delineati dalla giurisprudenza di legittimità. A
fronte della motivazione resa sul punto dal Tribunale del riesame, le doglianze
del ricorrente risultano generiche e, comunque, inidonee a compromettere la
tenuta logico-argomentativa della decisione impugnata.
Devono, invece, essere accolte, nei termini qui specificati, le ulteriori
censure relative alle dichiarazioni di Ambrosio. A fronte delle dichiarazioni di Di
Buono, che – nella prospettazione del giudice del rinvio – ha descritto in maniera
particolareggiata le modalità esecutive dei fatti, le dichiarazioni rese da Annbrosio
riguardano un incontro del luglio 2002, incontro nel corso del quale Nino
insisteva soprattutto con Luongo (suo killer di riferimento) sulla necessità di
uccidere Napolitano, mentre il riferimento ad Assegnati è delineato con esclusivo
riferimento alla sua partecipazione all’incontro insieme – oltre che con le persone
indicate – con il dichiarante e con altre persone (Enzo il ragioniere e Domenico La
Montagna). Nei termini indicati, l’ordinanza impugnata ha omesso quanto
indicato dalla sentenza di annuiiamento n. 45174/14, ossia di «valutare se, nel
contesto, [la dichiarazione di Ambrosio] poteva costituire un riscontro quanto
meno logico alle accuse del Di Buono»; sussiste, pertanto, una lacuna
motivazionale dell’ordinanza impugnata in ordine alla valenza logico-dimostrativa
della partecipazione del ricorrente alla riunione in questione e, dunque, in ordine
all’idoneità delle dichiarazioni di Ambrosio ad integrare, nei confronti di
Assegnati, un riscontro estrinseco individualizzante, tale cioè da assumere

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frequentazione e di parentela, mentre gli argomenti non sono affrontati in modo

idoneità dimostrativa in ordine all’attribuzione del fatto-reato (Sez. U, n. 36267
del 30/05/2006 – dep. 31/10/2006, P.G. in proc. Spennato, Rv. 234598; conf.:
Sez. 1, n. 19517 del 01/04/2010 – dep. 24/05/2010, Iannicelli, Rv. 247206).
La motivazione dell’ordinanza impugnata risulta viziata anche con riguardo
alla valutazione delle conversazioni intercettate. Superando la valutazione di cui
all’ordinanza del 04/06/2014 (che aveva negato valenza al riconoscimento
vocale degli interlocutori), il Tribunale del riesame ha ritenuto affidabile
l’identificazione delle voci ascoltate nel corso delle intercettazioni, omettendo

conversazioni intercettate, l’esame specifico della valenza conoscitiva offerta da
dette intercettazioni e, dunque, della loro idoneità a costituire – rispetto alle
dichiarazioni accusatorie di Di Buono – riscontri esterni individualizzanti in grado
di dimostrarne la compatibilità col thema decidendum proprio della pronuncia de
libertate (Sez. 5, n. 18097 del 13/04/2010 – dep. 12/05/2010, Pmt in proc. Di
Bona, Rv. 247147). Né in tal senso, può giovare il richiamo del tutto generico
operato dal Tribunale del riesame all’ordinanza applicativa, tanto più in
considerazione della valutazione in termini di vaghezza e di genericità di dette
intercettazioni contenuta nell’ordinanza annullata: pertanto, esclusa qualsiasi
preclusione cui fa generico riferimento il ricorrente, il giudice del riesame dovrà
analiticartiente valutare, come del resto già stabilito dalla sentenza n. 45174/14
di questa Corte, il «contenuto di queste telefonate» al fine di valutarne
compiutamente la eventuale valenza in termini di riscontro individualizzante della
chiamata in correità di Di Buono.
In conclusione, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio per
nuovo esame al Tribunale di Napoli, nuovo esame che, secondo il consolidato
orientamento della giurisprudenza di questa Corte, comporta che il giudice del
rinvio non è obbligato ad esaminare solo i punti specificati nella sentenza
rescindente, isolandoli dal residuo materiale probatorio, ma mantiene,
nell’ambito del capo colpito dall’annullamento, piena autonomia di giudizio nella
ricostruzione del fatto e nella valutazione dei dati, nonché il potere di desumere,
anche sulla base di elementi prima trascurati (quali, eventualmente, quelli
evidenziati dal ricorrente, le cui ulteriori censure restano pertanto assorbite), il
proprio libero convincimento, colmando in tal modo i vuoti motivazionali e le
incongruenze rilevate, con l’unico limite di non ripetere i vizi già censurati in
sede di giudizio rescindente (Sez. 6, n. 42028 del 04/11/2010 – dep.
26/11/2010, Regine, Rv. 248738).
La cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1 ter disp. att.
cod. proc. pen.

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tuttavia, dopo il preliminare vaglio circa l’attribuibilità soggettiva delle

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo
esame. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1 ter
disp. att. c.p.p.

Così deciso il 30/04/2015

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