Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26457 del 04/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 26457 Anno 2015
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di

Calabrese Franco, nato a Bellante il 26/08/1953

Calabrese Francesco, nato a Bellante il 09/12/1956

avverso la sentenza emessa il 04/10/2013 dalla Corte di appello di L’Aquila

visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Enrico Delehaye, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della
sentenza impugnata;
udito per i ricorrenti l’Avv. Alessandra Scarnati, la quale ha concluso per
l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 04/05/2015

Il difensore di Franco e Francesco Calabrese ricorre avverso la pronuncia
indicata in epigrafe, recante la conferma della sentenza emessa dal Tribunale di
Teramo, in data 12/04/2012, nei confronti dei suoi assistiti; i giudici di merito
hanno affermato la penale responsabilità degli imputati in ordine a fatti di
bancarotta, in ipotesi commessi quanto alla gestione della società Casearia
Sant’Angelo, di cui erano stati soci amministratori.
La difesa lamenta violazione di legge processuale, rappresentando che gli
imputati ricevettero notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello ai

segnalato la necessità che detta notifica avvenisse invece a mani proprie degli
odierni ricorrenti. Analogamente, peraltro, risulta accaduto in relazione agli
avvisi di deposito della successiva sentenza della Corte territoriale, tanto da far
ritenere mai decorsi i termini per l’impugnazione personale.
Nell’interesse dei ricorrenti si evidenzia che gli atti de quibus potevano
essere notificati nelle forme sopra ricordate solo in caso di impossibilità di
rintracciare i destinatari presso le residenze od altri domicili conosciuti; tuttavia,
non risulta che vennero compiute ricerche di sorta. Inoltre, la difesa fa notare
che il disposto di cui al citato art. 157, comma 8-bis, «non concerne la prima
notifica del procedimento, ma riguarda esclusivamente le notifiche successive
[…]. Né può addursi che l’omessa dichiarazione di non accettazione della notifica,
da parte del difensore, all’autorità che procede, possa sanare l’atto. Nel silenzio
della norma, tra le altre possibili tesi, si dovrebbe ritenere che il difensore
avrebbe dovuto, preliminarmente, dichiarare all’ufficiale giudiziario di non
accettare la notificazione, per poi procedere alla relativa comunicazione
all’autorità che procede; ma ciò non è stato possibile, perché il decreto di
citazione (con le modalità censurate) non è stato notificato direttamente a mani
del difensore, bensì ad una collega».

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve reputarsi inammissibile, per manifesta infondatezza dei
motivi di doglianza.
1.1 L’art. 157, comma

8-bis,

cod. proc. pen., prevede infatti che le

notificazioni ad un imputato non detenuto, successive alla prima, siano
“eseguite, in caso di nomina di difensore di fiducia ai sensi dell’art. 96, mediante
consegna ai difensori”; la stessa norma contempla la possibilità, per il difensore
fiduciario, di “dichiarare immediatamente all’autorità che procede di non
accettare la notificazione”. Nella fattispecie concreta, si rileva che il decreto ex

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sensi dell’art. 157, comma 8-bis, cod. proc. pen., malgrado la Cancelleria avesse

art. 429 del codice di rito venne notificato a Franco e Francesco Calabrese presso
il domicilio dei due imputati, risultante in atti, ed analogamente accadde in
occasione dell’estratto contumaciale della sentenza di primo grado, che avvenne
a mani di una loro figlia/nipote il 04/06/2012: ergo, a quella data, più di una
notifica era già avvenuta presso l’abitazione degli interessati, quando sarebbe
stato possibile ricorrere alle forme semplificate di cui al menzionato art. 157,
comma 8-bis.
Nel presentare appello avverso la pronuncia del Tribunale di Teramo, gli

entrambi – si dichiararono semplicemente residenti in Bellante, Contrada
Sant’Angelo 27 (vale,a dire lo stesso indirizzo già acclarato in .atti):,,rion vi fu,
pertanto, alcuna elezione di domicilio, né il difensore rappresenta nell’odierno
ricorso che in quella occasione od in altra precedente i due imputati elessero
domicilio in un qualsivoglia luogo. La notifica all’Avv. Macè in base al
meccanismo rituale previsto dall’ultimo comma dell’art. 157 fu, in definitiva, del
tutto legittima: tant’è che la nota con cui la Cancelleria della Corte di appello
spedì all’ufficio notifiche di Atri le copie del decreto di citazione per il giudizio di
secondo grado avvertiva solo nella prima riga della apparente necessità di curare
che la notifica avvenisse “a mani proprie”, specificando – subito dopo – che
quegli atti dovevano essere recapitati ad entrambi gli odierni ricorrenti “ai sensi
dell’art. 157 cod. proc. pen., 8° comma bis, al difensore di fiducia Avv. Giovanni
Macé in Roseto degli Abruzzi”.
Il medesimo difensore non evidenzia neppure di avere, al momento della
nomina od in seguito, fatto presente all’autorità procedente che avrebbe rifiutato
le notifiche in tale forma (comunicazione che ben avrebbe potuto effettuare ab
initio, senza attendere che pervenissero atti a lui od a colleghi di studio).
1.2 Va precisato, ad abundantiam, che le censure mosse nell’interesse dei
ricorrenti non avrebbero avuto fondamento neppure qualora le notifiche in
argomento fossero avvenute presso il difensore di fiducia, e non invece nel
domicilio in ipotesi eletto dagli imputati: la giurisprudenza di questa Corte ha più
volte affermato, in proposito, che «la notificazione all’imputato del decreto di
citazione per il giudizio di appello presso lo studio del difensore di fiducia, invece
che presso il domicilio eletto, in quanto eseguita in forme diverse da quelle
prescritte, ma in concreto idonea a determinare una conoscenza effettiva
dell’atto, dà luogo ad una nullità di ordine generale a regime intermedio, che,
quindi, non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità» (Cass.,
Sez. VI, n. 42755 del 24/09/2014, Zemzami, Rv 260434). Gli stessi principi
sono stati affermati anche in tema di notificazione all’imputato del decreto di
citazione in appello, eseguita ai sensi dell’art. 157, comma ottavo bis, cod. proc.

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stessi imputati – già assistiti dall’Avv. Giovanni Macé, difensore di fiducia di

pen., ma presso un difensore di ufficio: situazione che «determina, se
l’interessato non “rappresenta” con elementi idonei la mancata conoscenza
dell’atto, una nullità a regime intermedio che è sanata se non tempestivamente
eccepita nel corso del giudizio d’appello» (Cass., Sez. V, n. 2818 del
24/11/2014, Demetrio, Rv 262590).
Nel caso oggi sub judice, pure ammettendo l’invalidità delle notifiche sopra
ricordate (il che non è), dovrebbe comunque rilevarsi che l’udienza del
04/10/2013 si svolse alla presenza dell’Avv. Macé, il quale non eccepì alcunché e

1.3 Le ragioni già evidenziate in punto di assoluta regolarità delle notifiche
presso il difensore di fiducia valgono altresì in ordine alla ritualità degli identici.
incombenti, curati con riguardo agli estratti contumaciali della sentenza emessa
dalla Corte di appello di L’Aquila.

2. Per completezza di esposizione, deve rilevarsi che non appare possibile
prendere atto della prescrizione del reato di bancarotta semplice, di cui al capo
B) della rubrica. Detta causa estintiva, in vero, risulta essersi perfezionata il
07/06/2014, dopo la pronuncia di secondo grado (dovendosi tenere conto dei più
brevi termini previsti per l’ipotesi criminosa

de qua), ma, per consolidata

giurisprudenza di questa Corte, un ricorso per cassazione inammissibile, per
manifesta infondatezza dei motivi o per altra ragione, «non consente il formarsi
di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di
rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc.
pen.» (Cass., Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv 217266, relativa
appunto ad una fattispecie in cui la prescrizione del reato era maturata
successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; v. anche, negli stessi
termini, Cass., Sez. IV, n. 18641 del 20/01/2004, Tricorni).

3. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., si impone la condanna di entrambi i
ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto
riconducibile alla loro volontà (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al
versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di € 1.000,00,
così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P. Q. M.

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si limitò a riportarsi ai motivi di impugnazione.

Dichiara inammissibili i ricorsi, e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 04/05/2015.

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