Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26456 del 04/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 26456 Anno 2015
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sui ricorsi presentati da:
Pisani Massimo, nato in Libia, 1’1/7/1961;
Poggi Longostrevi Giorgio, nato a Milano, il 6/6/1959;

avverso la sentenza del 20/5/2014 della Corte d’appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Enrico
Delehaye, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
uditi per gli imputati l’avv. Achille Petriello e l’avv. Vincenzo Carosi, che hanno
concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi proposti nell’interesse dei rispettivi
assistiti e comunque la revoca della costituzione della parte civile per la mancata
presentazione delle conclusioni.
RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 04/05/2015

1. Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Milano, in riforma della pronunzia di
primo grado e su impugnazione della parte civile, ha dichiarato la responsabilità ai soli
effetti civili di Pisani Massimo e Poggi Longostrevi Giorgio per il reato di bancarotta
fraudolenta patrimoniale loro ascritto e commesso nella gestione della Ma.Ro. s.r.I.,
titolare di un’attività di ristorazione.
2. Avverso la sentenza ricorrono entrambi gli imputati.

impugnata. In tal senso il ricorrente lamenta come la Corte territoriale abbia omesso di
prendere in considerazione il tema dei rapporti tra gli imputati e il socio Alberto Villa,
che aveva poi rilevato le quote della società avviandola alla liquidazione sotto la
direzione del fratello. Rapporti invece valorizzati nella sentenza assolutoria di primo
grado anche al fine di evidenziare la superficialità dell’operato del curatore fallimentare,
sulle quali invece si è fondata la decisione di segno contrario dei giudici d’appello. I
quali in particolare avrebbero trascurato la scrittura privata con la quale il Villa nel
subentrare al Pisani nella sua quota dichiarava piena consapevolezza del fatto che le
annotazioni contabili non documentabili si riferivano comunque all’effettivo
sostenimento di costi aziendali, concedendo altresì al suo dante causa manleva ai fini
civilistici, nonché la missiva con la quale il liquidatore aveva comunicato come le
disponibilità della società fossero sufficienti al saldo di tutte le posizioni debitorie.
Quanto poi alla contestata distrazione in favore di Città s.r.l. la sentenza impugnata
avrebbe ignorato la deposizione del suo titolare (Fabrizio Patti) dalla quale emerge
l’effettiva sussistenza del credito vantato dalla medesima nei confronti della fallita. Con
riguardo infine alla presunta distrazione di due quadri di pertinenza della fallita, la
prova della stessa sarebbe stata inferita in maniera illogica da una , mera supposizione del curatore.
2.2 II ricorso del Poggi Longostrevi deduce a sua volta vizi motivazionali della sentenza
impugnata con argomentazioni analoghe a quelle svolte nel ricorso del Pisani,
lamentando a sua volta la mancata confutazione di quelle impegnate dal giudice di
prime cure e, in particolare, le considerazioni svolte dal Tribunale per escludere fosse
stata acquisita prova che consentisse di attribuire all’imputato la contestata qualifica di
amministratore di fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili.
2. E’ innanzi tutto doveroso ricordare l’insegnamento delle Sezioni Unite, per cui il
giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di
delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di

2.1 Con il ricorso proposto dal Pisani si deducono vizi della motivazione della sentenza

confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima
sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da
giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. Un., n. 33748 del 12 luglio
2005, Mannino, Rv. 231679). Principi che questa Corte ha costantemente ribadito dopo
il pronunziamento del Supremo Collegio, premurandosi tra l’altro di precisare che il
giudice dell’appello non può limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio
probatorio perché preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato (Sez. 5,

ad una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione
riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata
ad elementi di prova diversi o diversamente valutati (Sez. 5, n. 42033 del 17 ottobre
2008, Pappalardo, Rv. 242330), giungendo ad affermare l’illegittimità della sentenza
d’appello che, in riforma di quella assolutoria condanni l’imputato sulla base di una
alternativa interpretazione del medesimo compendio probatorio utilizzato nel primo
grado di giudizio, occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore della motivazione,
tale da far cadere “ogni ragionevole dubbio” (Sez. 6, n. 49755 del 21 novembre 2012,
G., Rv. 253909). In definitiva il giudice d’appello, quando, immutato il materiale
probatorio acquisito al processo, afferma sussistente una responsabilità penale negata
nel giudizio di primo grado, deve confrontarsi espressamente con il principio dell’oltre
ogni ragionevole dubbio, non limitandosi pertanto ad una rilettura di tale materiale,
quindi ad una ricostruzione alternativa, ma spiegando perché, dopo il confronto
puntuale con quanto di diverso ritenuto e argomentato dal giudice che ha assolto, il
proprio apprezzamento è l’unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, in
ragione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie che abbiano caratterizzato il
primo giudizio minandone cónsegueritériléri -té la permanente sostenibilità.
3. La sentenza impugnata, nel riformare la pronunzia assolutoria di primo grado
seppure ai soli effetti civili, dimostra di aver fatto buon governo di tali principi, avendo
specificamente confutato il percorso argomentativo posto dal Tribunale a sostegno della
sua decisione, rilevandone le aporie e insufficienze logiche, nonché la contraddittorietà
con alcune delle risultanze processuali. Per converso le censure dei ricorrenti appaiono
generiche o manifestamente infondate ovvero versate in fatto.
3.1 Per quanto riguarda l’asserita mancanza di considerazione per i rapporti intercorsi
tra gli imputati e il Villa (rectius: i fratelli Villa) deve evidenziarsi come la sentenza di
primo grado, pur avendoli ricostruiti, non ne ha tratto argomenti specifici ai fini
dell’affermata insussistenza del reato, talchè sulla Corte territoriale non gravavano
particolari oneri motivazionali in proposito. Né i ricorrenti hanno saputo spiegare perché
i documenti evocati nei ricorsi e non considerati dai giudici d’appello sarebbero invece
decisivi per avvalorare la tesi che le supposte distrazioni non fossero altro che il

n. 8361 del 17 gennaio 2013, p.c. in proc. Rastegar, Rv. 254638), ma deve provvedere

rimborso agli imputati delle somme anticipate dagli stessi per effettuare pagamenti “in
nero” nell’interesse della fallita. Ed infatti l’apparente riconoscimento della circostanza
da parte del Villa al momento del subentro nella quota non ha alcuna rilevanza
probatoria, attesa la sua genericità e soprattutto la sua funzionalità esclusiva a
regolamentare i rapporti tra le parti interessate alla scrittura privata. Del resto la stessa
sentenza di primo grado ha dato atto di come il liquidatore, nel tentativo di ottenere
spiegazioni dal Poggi sulle uscite ingiustificabili, aveva ricevuto risposte del tutto

che la conoscenza del fratello al momento del rilascio della manleva si fosse limitata a
quanto riferitogli dagli imputati.
3.2 I ricorsi non si confrontano poi con la linea argomentativa seguita dalla Corte
territoriale per evidenziare l’inattendibilità della tesi difensiva per cui gli imputati
avrebbero sostenuto spese non contabilizzabili nell’interesse della società,
dimenticando tra l’altro che il prelievo da parte degli amministratori dalle casse della
società del corrispettivo di anticipazioni eventualmente effettuate dai medesimi è
idonea ad integrare comunque il reato contestato, qualora la stessa versi in condizioni
come quelle concordemente descritte nelle sentenze di merito. Non di meno deve
ribadirsi che l’assenza di qualsiasi documentazione idonea a dimostrare l’effettività dei
pagamenti ipotizzati è ragione sufficientea confortare le conclusioni assunte nella
sentenza impugnata, dovendosi ricordare come la prova della distrazione o
dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla
mancata effettiva dimostrazione, ad opera dell’amministratore, della destinazione dei
suddetti beni (Sez. 5, n. 7048 del 27 novembre 2008, Bianchini, Rv. 243295; Sez. 5, n.
3400/05 del 15 dicembre 2004, Sabino, Rv. 231411).
3.3 Del tutto generica è poi la ‘contestazione da parte del “Poggi ‘della qualifica di
amministratore di fatto attribuitagli dalla Corte territoriale, che si riduce alla
riproduzione delle argomentazioni spese dal Tribunale per negare la circostanza, ma
che invece non si confronta in alcun modo con la motivazione resa dalla sentenza
impugnata per confutarle e che non appaiono manifestamente illogiche.
3.4 Quanto infine alla vicenda del credito di Città Futura, la denuncia dell’omessa
valutazione delle dichiarazioni del Patti risulta parimenti generica nella misura in cui
queste sono state solo evocate nel ricorso del Pisani, che non si è-curato di riportarne -il
contenuto integrale, né di allegarle al ricorso, non consentendo così di apprezzare la
portata del vizio eccepito.

4. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la
condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento
della somma, ritenuta congrua, di euro mille alla cassa delle ammende.

generiche e non riscontrabili, cosicchè la Corte territoriale ha implicitamente ritenuto

a

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento della
spese processuali e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 4/5/2015

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