Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26446 del 10/03/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 26446 Anno 2015
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SEDDIO DOMENICO (DETTO NICO) N. IL 03/08/1973
ROMEO SALVATORE N. IL 17/09/1959
avverso la sentenza n. 2329/2013 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 03/10/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/03/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

7-

Data Udienza: 10/03/2015

Il Sostituto Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Mario Pinelli,
ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio per le aggravanti contestate di
cui ai commi 4 e 6 dell’art. 416-bis cod. proc. pen., e per la rideterminazione
della pena in riferimento alla posizione del Seddio; rigetto nel resto;
il difensore dell’imputato Seddio Domenico, avv. Lillo Fiorello, ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso;
il difensore dell’iimputato Romeo Salvatore, avv. Carmelita Danile, anche in

del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza resa in data 13 luglio 2012, il G.U.P. presso il Tribunale
di Palermo condannava alla pena di giustizia Seddio Domenico e Romeo
Salvatore in ordine al reato di cui all’art. 416 bis commi 1, 2, 3, 4 e 6, cod. pen.
per aver partecipato ad un sodalizio criminoso organicamente inserito
nell’associazione di tipo mafioso denominata “cosa nostra”, i cui singoli associati
hanno disponibilità di armi per il conseguimento delle finalità dell’associazione, si
avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e -dell-e -condizioni di
assoggettamento e di omertà da essa derivante, per commettere delitti e per
realizzare vantaggi ingiusti. In particolare i due imputati erano indicati come
componenti della famiglia mafiosa di Porto Empedocle, rivestendo il ruolo di
portavoce del capo di tale famiglia, Messina Gerlandino, latitante, gestendo
entrambi le assunzioni all’interno dell’Italcementi di Porto Empedocie.
2. La Corte d’appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del
G.U.P., ritenuta la continuazione tra il reato contestato al Seddio e quelli già
giudicati con altre due decisioni di condanna, determinava la pena complessiva in
11 anni e 10 mesi di reclusione, confermando nel resto l’impugnata sentenza in
relazione alla posizione di Romeo, già condannato alla pena di 7 anni di
reclusione.
Contro la sentenza hanno presentato ricorso entrambi gli imputati, con atti
dei propri – difensori.
3. Il difensore di Seddio Domenico, avv. Lillo Fiorello, ha articolato tre motivi
di ricorso.
3.1 Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 606, lettera b) ed e),
cod. proc. pen., in relazione agli artt. 416-bis, commi 1, 2 e 3 cod. pen., 192,
195 e 533 cod. proc. pen..
3.1.1 L’affermazione di responsabilità – si osserva – è fortemente
2

sostituzione dell’avv. Antonino Gaziano, ha concluso chiedendo l’accoglimento

condizionata dai precedenti penali del ricorrente, poiché secondo la ricostruzione
dei giudici di merito l’imputato ha mantenuto il medesimo ruolo all’interno della
cosca di Porto Empedocle, accrescendo il suo spessore mafioso; in tal modo i
giudici di merito hanno disapplicata il principio secondo il quale la lunga
detenzione che abbia determinato uno stabile isolamento del condannato per
associazione a delinquere di stampo mafioso, richiede una prova della
permanenza di un contributo oggettivamente apprezzabile alla vita e

3.1.2 Si denuncia inoltre il travisamento delle dichiarazioni di Luigi Putrone,
utilizzate come elemento probatorio, pur riguardando fatti collocabili nel 1997 e
dunque già coperti da giudicato.
3.1.3 Quanto alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Di Gati Maurizio,
si evidenzia che questi riferisce dichiarazioni de relato, apprese da Alaimo
Pasquale, il quale a sua volta avrebbe conosciuto Seddio in carcere negli annidi
detenzione comune (1999-2000); tali dichiarazioni avrebbero meritato una
verifica più attenta e puntuale, anche perché in contrasto con quanto riferito
dagli altri collaboratori di giustizia. A riprova di ciò si rileva che Salenni, Falsone e
Putrone non confermano il narrato di Di Gati , eppure, contraddittoriamente, la
Corte territoriale afferma che – le -sue ‘dichiarazioni rappresentano – patrimonio
comune in ordine ad associati ed attività della cosca mafiosa, le quali, in quanto
tali, non necessitano nemmeno di riscontri.
3.1.4 Ancora manifestamente illogica si ritiene l’affermazione secondo cui il
racconto di Di Gati dimostrerebbero l’investitura ufficiale di Seddio quale “uomo
d’onore” nel 2005, laddove il patrimonio di conoscenza dell’Alaimo non poteva
andare oltre il 2000.
Vengono ancora richiamati i principi espressi dalle Sezioni Unite di questa
Corte nella sentenza Mannino, riguardanti gli indicatori fattual4 dai quali
desumersi il nucleo essenziale della condotta partecipativa, a giudizio del
ricorrente mancanti nel caso di specie.
3.1.5 Nel dettaglio il ricorrente passa in esame tutte le vicende, ricostruite
attraverso le dichiarazioni del collaboratore di giustizia e le captazioni ambientali
e telefoniche, al fine di dimostrare l’errata valutazione dei giudici d’appello.
Con riferimento alla vicenda estorsiva ai danni dell’imprenditore Fanara,
nella quale il Seddio avrebbe svolto un’attività di mediazione tra l’Alaimo ed il
Messina, si denuncia carenza ed illogicità della motivazione, poiché l’imputato
era stato assunto dall’imprenditore per alcuni mesi ed ebbe con il Fanara solo
una conversazione telefonica per gli auguri natalizi. Sia il Fanara, sia l’ing.
Cimino, direttore dei lavori dell’azienda, hanno escluso che l’assunzione quale
3

dall’organizzazione del gruppo, per pervenire ad una nuova condanna.

manovale sia stata conseguenza di costrizioni o imposizioni, eppure la Corte
territoriale, sulla base di una interpretazione arbitraria di una conversazione
telefonica, desume dalla vicenda un riscontro esterno alle dichiarazioni del Di
Gati.
3.1.6 Altra vicenda presa in esame è quella dell’assunzione di un parente
prossimo, tale Piero Salemi, ad opera della Turitalia di Mirko Fioretto, su
sollecitazione del Seddio, considerata indicativa della partecipazione mafiosa

fratello, Calogero Fioretto, sindaco di Porto Empedocle, le quali smentiscono la
prospettiva accusatoria.
3.1.7 Ancora va considerata la presunta attività di pilotamento di personale,
attraverso pressioni volte a favorire le assunzioni di alcuni soggetti, presso le
ditte riconducibili a Marcello Sguali e Biagio Abate, fondata su un’intercettazione
del 9 novembre 2007 tra il coimputato Rorneo e Salvatore Abate, figlio di Biagio,
che invece andavano ricondotte ad una semplice sollecitazione, nella forma della
raccomandazione, rispetto al lavori assolutamente generici, quale quello di
manovale. Anche in questo caso le persone interessate escludono qualsiasi
minaccia o ritorsione, arrivando l’Abate a raccontare un episodio di screzio avuto
con’ il -Seddio, – del tutto incompatibile- con una condizione di soggetto intimorito.
Sono state poi ignorate le dichiarazioni dei lavoratori favoriti, che escludono ogni
coartazione.
Con riferimento all’assunzione di Piero Salemi, figlio della sorella
dell’imputato, da parte di Marcello Sguali si deduce un vero e proprio
travisamento di prova, poiché il Salemi non è mai stato assunto dalla Gibel s.r.I.,
per cui errata è stata l’interpretazione dell’intercettazione in data 7 ottobre 2007.
3.1.8 Il ricorrente passa poi in esame la vicenda delle assunzioni presso una
ditta dell’indotto Italcementi di Rocco Di Furia, altro parente del ricorrente,
desunto da una conversazione dell’imputato con la moglie ed ancora una volta
inquadrabile semplicemente nello schema della raccomandazione.
3.1.9 Questione minore è quella di Pasquale Nicoletti, altro soggetto grazie
al quale i due imputati cercavano di piazzare persone in attività lavorative della

zona – ancorché questi fosse — estraneo alle vicende dello –stabilimento—-delta
Montedison e avesse ottenuto un deludente risultato elettorale alle elezioni
comunali.
3.1.10 Ancora congetturale è giudicata la vicenda dell’assunzione di Scibetta
Lorenzo, per il periodo della sua sottoposizione alla misura della libertà vigilata,
che gli imputati avrebbero cercato di collocare, ma che poi fu assunto dai servizi
sociali del Comune di Porto Empedocle.
4

dell’imputato, tralasciando del tutto le dichiarazioni rese dall’imprenditore e dal

3.1.11 Un’ulteriore filone esaminato dal ricorrente è quello delle attività
illecite ai danni di Burgio e Sardo, due commercianti che avrebbero offerto prezzi
di grandissimo favore all’imputato di materiale per l’edilizia, senza alcuna
giustificazione apparente e senza nemmeno chiedere il pagamento di quanto
dovuto; da tale vicenda viene desunta un’attività sostanzialmente estorsiva ai
danni dei commercianti, che però gli interessati hanno smentito espressamente e
che sarebbe avvalorata da un’intercettazione tra il coimputato Romeo ed uno

Tutta la vicenda, a giudizio del ricorrente, viene ricostruita e letta in maniera
eccentrica ed azzardata, distonica rispetto alle emergenze probatorie, con
conseguente vizio logico motivazionale.
3.1.12 Infine viene esaminata la vicenda riguardante il tentativo di controllo
e gestione occulta del gasdotto per la distribuzione del metano in Porto
Empedocle, la quale, ancorché non andata a buon fine, a causa di un accordo tra
i latitanti Falsone e Messina, prima in conflitto, sarebbe comunque indicativa
della partecipazione mafiosa. Anche in questo caso si denuncia manifesta
illogicità della motivazione, poiché dalla semplice assunzione dell’imputato come
operaio presso una ditta rappresentata da tale Butera, si desume il ruolo di longa
manus del latitante- mafioso Gerla-ndino -Messina, in maniera del tutto arbitraria e -sulla base di alcune intercettazioni dal contenuto indecifrabile.
3.1.13 In conclusione ricorrente evidenzia che con provvedimento del 2
aprile 2007 il magistrato di sorveglianza di Agrigento aveva revocato la misura di
sicurezza della libertà vigilata al Seddio, evidenziando un percorso di recupero
intrapreso con consapevolezza e voglia di riscatto sociale, attraverso la
rivisitazione del proprio vissuto deviante e con un atteggiamento di distacco
rispetto gli errori commessi in passato, elementi tutti in forte contrasto con il
ruolo affermato nell’ambito del sodalizio mafioso, che avrebbe addirittura visto
una promozione nelle gerarchie del clan.
3.2 Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 606, lettera b) ed e),
cod. proc. pen., in relazione agli artt. 81 e 62-bis cod. pen., con riferimento al
trattamento sanzionatorio.

Pur in mancarrza — di— una- -prova– certa della -sua attuale – intraneità —

all’associazione mafiosa o di qualsivoglia condotta di intimidazione, la Corte
territoriale ha ritenuto di negare l’imputato le attenuanti generiche, sulla base
dei precedenti penali, in tal modo ignorando tutte le deduzioni formulate con
l’atto d’appello sul punto.
Quanto poi all’aumento di pena, a seguito del riconoscimento del vincolo
della continuazione con le precedenti condanne, si deduce l’eccessività
5

sconosciuto denominato “Tò”.

dell’aumento di pena e la duplicazione dello stesso, poiché le due condanne
erano già state unificate ai sensi dell’articolo 81 cod. pen., sicché andava operato
un unico aumento; inoltre si osserva che la Corte territoriale ha dimenticato di
operare la riduzione di un terzo per il rito abbreviato anche sulla porzione di
pena determinata per la continuazione, pari a quattro anni e sei mesi di
reclusione. Si riporta sul punto un precedente giurisprudenziale di questa Corte
(Sez. 3, n. 11515 del 15/02/2002, Alibani R, Rv. 221277).

cod. proc. pen., in relazione al riconoscimento delle aggravanti previste dai
commi 4 e 6 dell’art. 416-bis cod. pen., affermate sulla base della sola intraneità
del Seddio nell’associazione denominata “cosa nostra”. Il ricorrente invoca
l’interpretazione fatta propria dalla decisione di questa Corte (Sez. 6, n. 15668
del 01/12/2011 – deo. 23/04/2012, Vellini), secondo la quale ai fini
dell’aggravante della disponibilità di armi da parte del sodalizio, non è sufficiente
il possesso di un’arma da parte di un associato, senza specifico collegamento di
tale circostanza con la realtà associativa. Quanto all’aggravante del controllo
delle attività economiche espletato dal sodalizio, si osserva che in materia penale
non possono valere presunzioni di sorta, per cui occorre dimostrare che il
reirrrprego di proventi illeciti – sia avvenuta per le finalità indicate – nel comma 6
dell’art. 416-bis cod. pen., e che lo stesso sia legato quel determinato periodo
storico contemplato nel capo di imputazione.
4. Romeo Salvatore ha presentato due atti di impugnazione.
4.1 Il ricorso a firma dell’avv. Carmelita Danile è affidato a due motivi.
4.1.1 Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 606, lettera b) ed e),
cod. proc. pen., in relazione agli artt. 192, 533, comma 1 e 546, lettera e) cod.
proc. pen..
4.1.2 Si evidenzia che il ragionamento logico giuridico adottato dalla Corte
territoriale per ricostruire l’appartenenza del ricorrente al sodalizio mafioso è
strettamente ancorato ad un pregiudizio che ne ha inficiato l’iter, rappresentato
dal precedente specifico del coimputato e cugino Seddio Domenico.
Quale ulteriore profilo di illogicità si evidenzia che i più autorevoli
– collaboratori di giustizia, -Di Gati e Putrone, nulla hanno mai riferito in ordine alla partecipazione del Romeo al sodalizio mafioso e che i pentiti Falzone e Salemi
hanno addirittura escluso che egli sia un uomo d’onore, poiché in famiglia
“c’erano problemi di corna”.

4.1.3 Inoltre si evidenzia che l’affermazione di responsabilità è fondata
esclusivamente sulle risultanze delle intercettazioni telefoniche ed ambientali,
dalle cui emergerebbe un ruolo di fidato sodale del Seddio nelle attività
6

3.3 Con il terzo motivo si deduce violazione dell’art. 606, lettera b) ed e),

finalizzate a pilotare assunzioni presso le ditte facente parte dell’indotto
dell’Italcementi, senza in alcun modo descrivere quel rapporto di stabile organica
compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, che consenta di
affermare un ruolo dinamico funzionale nell’ambito dell’associazione, come
richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. U. Mannino).
4.1.4 Viene infine giudicata palesemente illogica la motivazione della
sentenza, laddove valorizza l’attività volta a favorire l’assunzione di persone

commercianti che si trovavano in un territorio controllato da altra famiglia
mafiosa.
4.2.2 Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 606, lettera d),
cod. proc. pen., per mancata assunzione di una prova decisiva, in relazione alle
dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pasquale Salemi, il quale esclude
espressamente che il Romeo fosse un uomo d’onore, poiché in famiglia “c’erano
problemi di corna”. Si allega in proposito il verbale dell’interrogatorio reso il 6
giugno 2008.
4.3 Il ricorso sottoscritto dall’avv. Antonino Gaziano è affidato a due motivi.
4.3.1 Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 606, lettera b) ed e),
cod.- proc: pen., in relazione -agli artt. 416-bis, commi 1, 2, 3, – 4 -e 6 -cod. – pen.
192, cod. proc. pen..
Il ricorrente denuncia che la Corte territoriale non ha proceduto alla triplice
verifica della chiamata in correità, secondo i parametri indicati dalla
giurisprudenza di questa Suprema Corte (tra le tante, la notissima Sez. U, n.
1653 del 21/10/1992 – dep. 22/02/1993, Marino, Rv. 192465, ripresa da Sez. U,
n. 36267 dei 30/05/2006, Spennato, Rv. 245989 con riferimento alla vicenda
cautelare): così non si è posto in primo luogo il problema della credibilità del
dichiarante (soggettiva), in relazione, tra l’altro, alla sua personalità, alle sue

condizioni socio – economiche, al suo passato e ai suoi rapporti con l’accusato,
alla genesi e alle ragioni che lo hanno indotto alla confessione e all’accusa dei
coautori e complici. In secondo luogo, avrebbe dovuto valutare l’attendibilità
delle dichiarazioni rese (oggettiva), verificandone l’intrinseca consistenza e le
caratteristiche7-alla

quali-, tra -gli altri, quelli della -spolildneità–ed

autonomia, precisione, completezza della narrazione dei fatti, coerenza e
costanza. Infine, il giudice avrebbe dovuto esaminare l’esistenza di riscontri
esterni, ai fini della necessaria conferma di attendibilità.
4.3.2 Il ricorrente giudica palesemente carente di logica la motivazione della
sentenza, con riferimento alla valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di
giustizia, nessuno dei quali ha riferito alcunché in ordine alla partecipazione
7

5–

estranee al sodalizio mafioso e laddove ipotizza un’attività estorsiva ai danni di

dell’imputato al sodalizio mafioso; di conseguenza la sentenza appare del tutto
difforme rispetto alla giurisprudenza in tema di partecipazione ad un’associazione
mafiosa, che ha trovato nella Sezioni Unite Mannino la sua più chiara
espressione.
4.3.3 Inoltre appare viziato ragionamento della Corte d’appello laddove
deduce la responsabilità del Romeo esclusivamente dai risultati delle
intercettazioni telefoniche, poiché dai dialoghi non emerge mai alcun tono

ad un esito diverso.
4.3.4 Inoltre la Corte omette qualsiasi riferimento su eventuali riscontri alle
predette intercettazioni, quali attività prodromiche che avrebbe dovuto porre a
base del suo provvedimento, soprattutto nel caso, come quello in esame, nel
quale il tenore delle intercettazioni ricalca espressioni della normale vita di
relazione ed è reputato critico. In definitiva il ricorrente ritiene che dalle
intercettazioni emergano esclusivamente elementi indiziari, i quali possono
essere posti a base di una pronuncia di condanna solo quando presentino i
requisiti della gravità, precisione e concordanza.
Vengono quindi passate in rassegna le acquisizioni della scienza sociologica
e psicologica, – secondo le quali non sempre gli interlocutori impegnati in una
conversazione telefonica o ambientale dicono la verità; di conseguenza vanno
valutati ulteriori elementi esterni, quali l’intelligibilità della conversazione; il
valore semi-probante del contenuto captato, che richiede un minimo di riscontro
esterno; la verosimiglianza delle affermazioni captate, che potrebbero essere
frutto di vanteria o iattanza.
4.3.5 Infine è giudicata illogica l’utilizzazione, quale riscontro delle
valutazioni delle captazioni, delle dichiarazioni dei testi di difesa, che hanno tutti
fornito riscontro negativo alla prospettazione accusatoria, escludendo qualsiasi
minaccia o attività estorsiva e raccontando solamente di un’attività di pressione
causalmente orientata all’assunzione di personale.
4.4 Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 606, lettera b) ed e),
cod. proc. pen., in relazione all’art. 62-bis cod. pen., per il mancato
riconoscimento -delle attenuanti -generi-ci-re, – da ritenersi invece prevalenti -sulla —
contestata aggravante, fondato su una motivazione apparente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse del Romeo è infondato.
Il ricorrente censura il valore probatorio delle dichiarazioni dei collaboratori
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minatorio o estorsivo ed un’attenta lettura delle dichiarazioni avrebbe condotto

di giustizia, con apprezzamenti che spesso investono la valutazione fatta dai
giudici di merito in punto di fatto, in quanto tali insindacabili in sede di
legittimità.
Lasciando alla disamina delle singole censure gli aspetti specifici di talune
doglianze percorrenti la tematica, è comunque necessario fornire una più
generale indicazione dei limiti propri del giudizio di legittimità sui temi accennati,
alla luce degli arresti giurisprudenziali di questa Corte.

lett. e) cod. proc. pen., si deve rammentare che, nell’apprezzamento delle fonti
di prova, il compito del giudice di legittimità non è di sovrapporre la propria
valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma solo di stabilire se questi
ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito
una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle
deduzioni delle parti, e- se abbiano esattamente applicato le regole della logica
nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di
determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, n. 930 del 13/12/1995 dep. 29/01/1996, Clarke, Rv. 203428; Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 – dep.
31/01/2000, Moro G, Rv. 215745; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 – dep.
06/02/2004, Elia, ‘Rv. 229369); Dall’affermazione di questo principio, si traggono dei corollari.
2.1 Ad eccezione del caso in cui il ricorso prospetti compiutamente
l’esistenza di un “ragionevole dubbio”, esula dai poteri della Corte di cassazione,
nell’ambito del controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la
formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione, giacché tale attività è riservata esclusivamente ai
giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimità solo la verifica
dell’iter argomentativo di tale giudice, accertando se quest’ultimo abbia o meno
dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la
decisione.
2.2 La specificità della disposizione di cui all’art. 606 cod. proc. pen., lett. e)
esclude che la norma possa essere dilatata per effetto di regole processuali
coraternenti la- motivazione stessa -,–utilizza-ndo la diversa ipotesi- di-cui alli-art. – 6176cod. proc. pen., lett. c); l’espediente non è consentito sia per i ristretti limiti nei
quali la disposizione ora citata prevede la deducibilità per cassazione delle
violazioni di norme processuali (considerate solo se stabilite “a pena di nullità, di
inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza”), sia perché la puntuale
indicazione contenuta nella lett. e), riferita al “testo del provvedimento
impugnato”, collega in via esclusiva e specifica al limite predetto qualsiasi vizio
9

2. In tema di sindacato del vizio della motivazione ex art. 606, comma 1,

motivazionale. Tantomeno può costituire motivo di ricorso sotto il profilo
dell’omessa motivazione il mancato riferimento a dati probatori acquisiti. Se è
vero che tale vizio è ravvisabile non solo quando manca completamente la parte
motiva della sentenza, ma anche qualora non sia stato considerato un
argomento fondamentale per la decisione espressamente sottoposto all’analisi
del giudice, il concetto di mancanza di motivazione non può essere tanto esteso
da includere ogni omissione concernente l’analisi di determinati elementi

inserisce, non posto a raffronto con il complesso probatorio, può acquisire un
significato molto superiore a quello che gli è attribuibile in una valutazione
completa del quadro delle prove acquisite. Ritenere il vizio di motivazione per
l’omessa menzione di un tale elemento nella sentenza comporterebbe il rischio di
annullamento di decisioni logiche, e ben correlate alla sostanza degli elementi
istruttori disponibili. Per ovviare •ad un tale rischio, la Corte di legittimità
dovrebbe valutare la portata dell’elemento additato dalla difesa nel contesto
probatorio acquisito, con una sovrapposizione argomentativa che sconfinerebbe
nei compiti riservati al giudice di merito (Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013,
Reggio, Rv. 254988; Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, Ferdico, Rv. 239789);
2.3 Passando al più specifico tema del “vizio di manifesta illogicità” della
motivazione, va osservato che il relativo controllo viene esercitato
esclusivamente sul fronte della coordinazione delle proposizioni e dei passaggi
attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento
impugnato, senza la possibilità, per il giudice di legittimità, di verificare se i
risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle
acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo; sicché nella verifica della
fondatezza, o meno, del motivo di ricorso ex art. 606 cod. proc. pen., comma 1,
lett. e), il compito della Corte di cassazione non consiste nell’accertare la
plausibilità e l’intrinseca adeguatezza dei risultati dell’interpretazione delle prove,
coessenziale al giudizio di merito, ma quello, ben diverso, di stabilire se i giudici
di merito:
a) abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione;
abbiano data -esauriente-risposta -a-e- deduzioni delle parti;
c) nell’interpretazione delle prove abbiano esattamente applicato le regole
della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di
valutazione delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale della
scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.
Ne consegue che, ai fini della denuncia del vizio in esame, sempre che non
sia dedotto un dubbio ragionevole, è indispensabile dimostrare che il testo del
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probatori. Invero, un elemento probatorio estrapolato dal contesto in cui esso si

provvedimento sia manifestamente carente di motivazione e/o di logica, per cui
non può essere ritenuto legittimo l’opporre alla valutazione dei fatti contenuta
nel provvedimento impugnato una diversa ricostruzione degli stessi, dato che in
quest’ultima ipotesi verrebbe inevitabilmente invasa l’area degli apprezzamenti
riservati al giudice di merito (Sez. 5, n. 8094 del 11/01/2007, Ienco, Rv.
236540; Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168).
2.4 Passando al tema del travisamento di prova va osservato che, a seguito

n. 46 del 2006, art. 8, mentre non è consentito dedurre il “travisamento del
fatto” (Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099), stante la
preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle
risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, è invece
consentita la deduzione del vizio di “travisamento della prova”, che ricorre nel
caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una
prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da
quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli
elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di
verificare se detti elementi sussistano (Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007,
Casavola,’ Rv. 238215; Sez. 3, rr. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv .. – 244623).
Sul tema va ancora precisato che la novella codicistica, introdotta con la L.
n. 46 del 2006, nel riconoscere la possibilità di deduzione del vizio di motivazione
anche con il riferimento ad “atti processuali”, non ha comunque mutato la natura
del giudizio di Cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità,
sicché gli atti eventualmente indicati devono contenere elementi
processualmente acquisiti, di natura certa ed obiettivamente incontrovertibili,
che possano essere considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del
provvedimento impugnato e nell’ambito di una valutazione unitaria, e devono
essere tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso (Sez. 2, n.
7380 del 11/01/2007, Messina, Rv. 235716). In consonanza con quanto fin qui
richiamato, va ancora osservato che, qualora la prova che si assume essere stata
travisata provenga da una fonte dichiarativa (deposizione testimoniale,

dichiarazione di un collaboratore di giustizia); – l’oggetto-della stessa- deve essere
del tutto definito o attenere alla proposizione di un dato storico semplice e non
opinabile (Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012 – dep. 27/02/2013, Maggio, Rv.
255087; Sez. 4, n. 15556 del 12/02/2008, Trivisonno, Rv. 239533, ove in
motivazione si è affermato che al di fuori degli evidenziati limiti, dovendosi
considerare la deposizione sempre il frutto della percezione soggettiva del
testimone, la sua valutazione ha inevitabilmente chiamato il giudice di merito a
11

delle modifiche dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e) ad opera della L.

”depurare” il dichiarato dalle cause di interferenza provenienti dal dichiarante,
operazione che per essere apprezzata dal giudice di legittimità presuppone la
contezza non del singolo atto processuale, bensì dell’intero compendio
probatorio, nonché un’analisi comparativa che rimane preclusa al suddetto
giudice).
Inoltre l’onere di specifica indicazione nei motivi di gravame degli “altri atti
processuali” dai quali si desume il vizio di motivazione si traduce nella necessità

di specificare le ragioni per le quali tali atti, se correttamente valutati, avrebbero
dato luogo ad una diversa pronuncia decisoria), onere da assolvere nelle forme
di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione. Pertanto,
qualora la prova omessa o travisata abbia natura dichiarativa, il ricorrente ha
l’onere di riportarne integralmente il contenuto, non limitandosi ad estrapolarne
alcuni brani, giacché così facendo viene impedito al giudice di legittimità di
apprezzare compiutamente il significato probatorio delle dichiarazioni e, quindi,
di valutare l’effettiva portata del vizio dedotto (Sez. 2, n. 25315 del 20/03/2012,
Ndreko, Rv. 253073; Sez. F, n. 32362 del 19/08/2010, Scuto, Rv. 248141; Sez.
4, n. 37982 del 26/06/2008, Buzi, Rv. 241023).
Facendo. applicazione – di questiprincipi appare evidente che le doglianze
riguardanti la valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori Putrone e Di Gati
sono inammissibili, poiché generiche quanto al primo (non si indica
specificamente l’atto travisato ed anzi le dichiarazioni del Putrone risultano
correttamente riportate anche secondo la prospettazione difensiva) ed attinenti a
profili fattuali rispetto al secondo, giacché, secondo il consolidato insegnamento
di questa Corte, il sindacato di legittimità sulla valutazione delle chiamate di
correo operata dal giudice di merito, non consente il controllo sul significato
concreto di ciascuna dichiarazione e di ciascun elemento di riscontro, perché un
tale esame invaderebbe inevitabilmente la competenza esclusiva del giudice di
merito, potendosi solo verificare la coerenza logica delle argomentazioni con le
quali sia stata dimostrata la valenza dei vari elementi di prova, in sè stessi e nel
loro reciproco collegamento” (Sez. 5, n. 2086 del 17/09/2009 – dep.
. e, -Rv-. -2.45729; Sez. – 4, – n. 5821 dei 10/12/2004 – dep 18/01/20-10-; –Lucchres
16/02/2005, Alfieri, Rv. 231302).
3.1 Quanto alla valutazione preconcetta della precedente condanna – per
associazione mafiosa fino al 13 gennaio 1999 riguardante lo stresso clan di Porto
Empedocle, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio
secondo il quale in tema di valutazione della permanenza del vincolo derivante
dalla partecipazione ad una associazione mafiosa, l’arresto o l’esercizio
12

di individuare ed indicare gli atti processuali che il ricorrente intende far valere (e

dell’azione penale nei confronti di un affiliato non costituisce causa automatica di
cessazione del vincolo associativo, dovendosi accertare caso per caso se le
vicende processuali dell’imputato abbiano determinato la risoluzione del legame
associativo (tra le ultime, Sez. 2, n. 6819 del 31/01/12, Fusco, Rv. 254503; Sez.
2, n. 8027 del 13/11/2013 – dep. 20/02/2014, Panzega, Rv. 258789).
Nel caso di specie le condotte e gli episodi raccontati dal Di Gati e desunti
dalle intercettazioni si riferiscono ad un periodo successivo a quello detentivo e

la parentesi carceraria, con accresciuto spessore mafioso, sicchè appare evidente
che anche le vicende precedenti, coperte dal giudicato, assumano una rilevanza
significativa nella lettura degli altri elementi probatori.
3.2 Con specifico riferimento alle accuse di Di Gati, che il ricorrente giudica
inattendibile, poiché le sue dichiarazione sarebbero de relato e riguarderebbero il
periodo già coperto da giudicato, la sentenza impugnata afferma che il
collaboratore racconta episodi specifici successivi, come l’affiliazione formale nel
2005, che egli aveva appreso (non solo da Pasquale Alaimo ma anche da
Gerlando Messina) nell’ambito di quell’attività di scambio di informazioni interne
al gruppo associativo (del quale facevano parte le tre fonti e l’imputato), che non
rappresentano -dichiarazioni de relata – in senso tecnico, ma patrimonio comune
della cosca.
Il ricorrente trascura di considerare che le dichiarazioni provengono da
compartecipi del medesimo delitto associati nella medesima associazione
camorristica e che secondo la giurisprudenza di questa Corte, sono direttamente
utilizzabili le dichiarazioni rese da un collaboratore di giustizia su circostanze
apprese derivanti dai patrimonio conoscitivo costituito da un flusso circolare di
informazioni relative a fatti di interesse comune degli associati, in quanto non
assimilabili nè a dichiarazioni de relato, utilizzabili solo attraverso la particolare
procedura di cui all’art. 195 cod. proc. pen., nè alle cosiddette “voci correnti nel
pubblico” delle quali la legge prevede l’inutilizzabilità (Sez. 5, n. 4977 del
08/10/2009 – dep. 08/02/2010, Finocchiaro, Rv. 245579; Sez. 1, n. 15554 del
13/03/2009, Lo Russo, Rv. 243986); tra queste dichiarazioni vengono indicate
proprio quelle riguardanti gli aitri -partecipanti- al sodalizio, anche se il chiamante non abbia avuto contatti diretti con il chiamato (Sez. 1, n. 38321 del
19/09/2008, Sarno, Rv. 241490).
La ragione per cui altri collaboratori non confermano le propalazioni del Di
Gati sono spiegate in sentenza, laddove di afferma che “la stessa difesa ha
dovuto riconoscere che le popolazioni di questi ultimi collaboratori sono riferite a
fatti antecedenti al 1999 già coperti dal giudicato: semmai appare chiaro che il
13

t

dimostrano il mantenimento del proprio ruolo all’interno della cosca anche dopo

Di Gati ha riferito circostanze nuove in perfetta coerenza con i limiti della
contestazione e gli atti penali di cui si è detto” (pagina 63).
3.3 In ordine all’episodio “Fanara”, utilizzato dai giudici di appello a riscontro
delle accuse del Di Gati, l’attività di mediazione svolta dal Seddio tra Pasquale
Alairrio e Gerlando Messina per “mettere a posto” l’imprenditore nel pagamento
della tangente mafiosa è riscontrato da una serie di elementi (il fatto che
l’impresa era effettivamente aggiudicataria di un appalto pubblico per lavori

Fanara; che mantenne contatti atipici con il datore di lavoro anche dopo, tanto
che questi si scusò di non essersi recato personalmente a casa del Seddio per
fargli gli auguri di Natale e gli fece dei doni “in segno di stima e di rispetto”) e
l’interpretazione del colloquio telefonico tra i due è una questione di fatto.
3.4 Anche le vicende del condizionamento di assunzioni presso le ditte
dell’indotto Italcementi di Porto Empedocle (la Gibel di Martello Sguali, la
Turitalia di Mirko Fioretto, la società ADRI Carpenterie Metalliche s.r.l. di Biagio e
Salvatore Abate, la Palermo R. Calogero s.r.l. , pur se gli interessati escludono di
aver subito minacce, rientrano perfettamente nella logica della imposizione di un
condizionamento mafioso, soprattutto se si considera che l’imputato non poteva
spendere altre credenziali se ‘non ‘t suoi – precedenti penali. La –motivazione della
decisione impugnata sul punto non denuncia alcuna contraddittorietà o illogicità
manifesta, nè carenza, poiché, riprendendo quanto già affermato dal giudice di
primo grado, la Corte territoriale evidenzia che l’imputato non aveva alcun
motivo lecito per condizionare le scelte altrui e suggerire impieghi o sostituzione
dì personale, essendo egli stesso privo di occupazione e non avendo rapporti
personali con i lavoratori agevolati tali da giustificare tanta pervicacia e tanto
interessamento; pertanto l’attività era evidentemente finalizzata ad accrescere il
potere, prestigio e considerazione personale del Seddio nell’ambito della famiglia
di Porto Empedocle.
3.5 Ancora doglianze inammissibili, perché riguardanti l’apprezzamento di
circostanze di fatto e l’interpretazione di colloqui intercettati, sono quelle
riguardanti la vicenda dei commercianti Burgio e Sardo e quella riguardante il
terrtaLK,c -di eantrolic e gestione occulta dei – gasdotto per la – distribuzione-delmetano: in proposito deve ricordarsi che l’interpretazione del linguaggio e del
contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto; rimessa alla
valutazione del giudice di merito, che si sottrae al sindacato di legittimità se
motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (Sez.
6, n. 11794 del 11/02/2013, Melfi, Rv. 254439; Sez. 6, n. 17619 del
08/01/2008, Gionta, Rv. 239724); nel caso di specie, poi, la Corte territoriale
14

eseguiti tra maggio e settembre 2006; che Seddio figurava tra i dipendenti del

fonda l’affermazione di responsabilità principalmente sulle dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia, rispetto alle quali le conversazioni intercettate operano
come elementi di riscontro esterno.
3.6 Di rilievo del tutto marginale, anche secondo la decisione impugnata, è
la vicenda dell’assunzione di Scibetta Lorenzo.
3.7 Infine assolutamente logica e congrua risulta la motivazione della Corte
territoriale sulla doglianza attinente il provvedimento del magistrato di

responsabilità per associazione mafiosa in un periodo in cui, secondo il giudice
che revocava la misura di sicurezza della libertà vigilata, l’imputato aveva
intrapreso un percorso di recupero sociale: il giudice di appello osserva che,
evidentemente, gli elementi di prova, ancora segreti a quel tempo, non erano
noti al magistrato di sorveglianza, il quale ha adottato quel provvedimento
favorevole ed in contrasto con l’affermazione di responsabilità.
4. Il secondo motivo di ricorso, limitatamente al profilo riguardante il diniego
delle attenuanti generiche, è manifestamente infondato, giacché il richiamo della
negativa personalità dell’imputato, come desumibile dai precedenti penali per
associazione ed estorsione mafiosa, è incensurabile, ove si consideri che per
costante – gturisprudanza – (Sez. 5; n. -5582 del 30/09/2013 – dep: 04/02/2014,
Ferrario, Rv. 259142; Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, Cilia, Rv. 238851) non vi
è margine per il sindacato di legittimità quando la decisione sia motivata in modo
conforme alla legge e ai canoni della logica, in aderenza ai principi enunciati
negli artt. 132 e 133 cod. pen.; d’altra parte non è necessario, a soddisfare
l’obbligo della motivazione, che il giudice prenda singolarmente in osservazione
tutti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen., essendo invece sufficiente
l’indicazione di quegli elementi che assumono eminente rilievo nel discrezionale
giudizio complessivo (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163).
Peraltro si è anche recentemente affermato che (Sez. 3, n. 44071 del
25/09/2014, Papini, Rv. 260610) il diniego può essere legittimamente
giustificato con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, sicché il
motivo appare anche generico, nella parte in cui anche in questa sede non indica

le rag orri per – le quali il diniego -delle- atterruanti sarebbe illegittimo (se non
ribadendo la carenza di prova in ordine al reato associativo).
4.2 Le ulteriori doglianrze in punto di pena sono assorbite dall’accoglimento
del terzo motivo di ricorso, nella parte riguardante l’aggravante di cui all’art.
416-bis, comma 6, cod. pen., ma va evidenziata la fondatezza di quella
riguardante l’aumento per la continuazione, nella parte in cui lamentava
l’omessa esplicitazione, nella determinazione dell’aumento di pena per i reati già
15

sorveglianza di Agrigento, giudicato in contrasto con l’affermazione di

giudicati con rito abbreviato, della riduzione di un terzo per la scelta del rito: la
regola generale, in proposito, è che la ragione giustificativa della diminuzione di
un terzo, sottesa alla previsione normativa di cui al terzo comma dell’art. 442
cod. proc. pen., deve essere individuata nell’intento di accordare un incentivo, o
premio, per la scelta del procedimento speciale a prova contratta, o allo stato
degli atti, onde è indubbio che la riduzione del trattamento sanzionatorio è
subordinata, tassativamente e senza eccezioni, al fatto che la condanna sia

nell’ipotesi di continuazione esterna, riconosciuta in un processo di cognizione
celebrato con rito ordinario, allorchè il giudizio relativo al reato satellite sia stato
celebrato con il rito abbreviato, l’aumento inflitto ex art. 81 cod. pen. è soggetto
alla riduzione premiale di cui all’art. 442 cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 9038 del
20/11/2012 – dep. 25/02/2013, Micheletti, Rv. 254977; Sez. 1, n. 40448 del
02/10/2007, Valentino; Rv. 238049; Sez. 1, n. 44477 del 04/11/2009, Modeo,
Rv. 245719).
4.3 La doglianza riguardante l’erroneità di un duplice aumento per la
continuazione, in presenza di condanne già a loro volta unificate ex art. 81 cod.
pen., è invece nuovamente infondata, poiché la Corte ha fatto corretta
applicazione del principio, affermato – da’questa sezione in relazione -ai giudizio di esecuzione che ridetermini la pena per la continuazione tra reati separatamente
giudicati con sentenze, ciascuna delle quali per più violazioni già unificate a
norma dell’art. 81 cod. pen.: in tal caso il (anche in sede di cognizione) occorre
dapprima scorporare tutti i reati che il precedente giudice della cognizione abbia
riunito in continuazione, per poi individuare quello più grave e solo
successivamente, sulla pena come determinata per quest’ultimo, operare
autonomi aumenti per i reati satellite, compresi quelli già riuniti in continuazione
con il reato posto a base del nuovo computo (Sez. 5, n. 8436 del 27/09/2013 dep. 21/02/2014, Romano, Rv. 259030).
5. Il terzo motivo di ricorso riguarda le aggradYeknti di cui ai commi 4 e 6
dell’art. 416-bis, cod. pen..
5.1 Con riferimento a quella del comma 4, la Corte territoriale rileva che
l’associazione denominata “cosa -nostra’ -è – un’associazione -armata; cire -non pub fare a meno dell’essere necessariamente fornita di arsenali militari di armi e
munizioni, che negli svariati processi vengono rinvenuti o dei quali si ha notizia.
Tale aggravante ha natura e carattere oggettivo, poiché è riferita all’attività
dell’associazione e non alla condotta del partecipe, per cui si estende a ciascun
partecipante al sodalizio criminoso, che sia consapevole del possesso delle armi
da parte di altri componenti, ovvero lo abbia colpevolmente ignorato. E non
16

intervenuta in un processo svoltosi col rito abbreviato. Di conseguenza

appare realistico concepire una associazione mafiosa “disarmata”, considerato
che è notorio per tutti che l’associazione “cosa nostra” trae la sua forza dall’uso
delle armi.
5.2 Si richiama in proposito la pacifica giurisprudenza di questa Suprema
Corte, secondo la quale non si espone a censura la sentenza del giudice di merito
che ritenga la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416 bis cod. pen., comma
4, qualora – come nella specie – il delitto associativo sia contestato agli

del 14/12/1999 – dep. 08/05/2000, D’Ambrogio, Rv. 216149; da ultimo, Sez. 6,
n. 11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 252177). Tale affermazione trova
fondamento nell’esperienza storica e giudiziaria, le quali consentono di ritenere il
carattere armato di detta organizzazione criminale. D’altra parte, la norma
richiede la semplice “disponibilità di armi” da parte dell’associazione e non
l’effettiva utilizZaZione delle ‘stesse.
6. Uguale ragionamento non può essere ripetuto – nei medesimi termini – in
relazione all’aggravante di cui al comma 6 dell’art. 416-bis cod. pen..
6.1 Con una recente decisione delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 25191 del
27/02/2014, Iavarazzo, Rv. 259589), questa Corte ha ribadito la natura
oggettiva dell’aggravante írt – parola, -ma – ne ha limitato l’applicazione a carico -ditutti i componenti del sodalizio, al caso in cui essi siano stati a conoscenza
dell’avvenuto reimpiego di profitti delittuosi, ovvero l’abbiano ignorato per colpa
o per errore determinato da colpa, in ossequio alla regola di imputazione
prescritta dall’art. 59, secondo comma, cod. pen..
Ciò avviene qualora sia in concreto accertata la normalità e frequenza del
reimpiego di profitti delittuosi da parte di un determinato sodalizio di tipo
mafioso; in tal caso ciascuno dei membri del sodalizio mafioso deve considerarsi
al corrente della relativa circostanza e deve, di regola, ritenersi ascrivibile a
colpa l’eventuale ignoranza sul punto da parte di taluno dei componenti.
In coerenza con la natura oggettiva è da ritenere che, ai fini della
sussistenza dell’aggravante, non è necessario che il singolo associato s’interessi
personalmente di finanziare, con i proventi dei delitti, le attività economiche, di
cui- i partecipi deirassociazione -yrrafiosa intendano- assumere – o – mante-nere
controllo (Sez. 1, n. 4375 del 25/06/1996, Trupiano, Rv. 205497), ma essa è
valutabile a carico di tutti i componenti del sodalizio, sempre che essi siano stati
a conoscenza dell’avvenuto reimpiego di profitti delittuosi, ovvero l’abbiano
ignorato per colpa o per errore determinato da colpa, prova che si intende
raggiunta, qualora sia in concreto accertata la normalità e frequenza del
reimpiego di profitti delittuosi da parte di un determinato sodalizio di tipo
17

appartenenti di una “famiglia” mafiosa aderente a “cosa nostra” (Sez. 6, n. 5400

mafioso.
6.2 Poiché un simile accertamento non è stato compiuto dalla Corte
territoriale, la sentenza nei confronti di Seddio Domenico va annullata con rinvio
ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo, limitatamente all’aggravante di
cui all’art. 416-bis comma 6, cod. pen. ed al trattamento sanzionatorio.
7. Passando allo scrutinio dei ricorsi proposti nell’interesse di Romeo
Salvatore, va accolto il primo motivo redatto dall’avv. Danile, con conseguente

7.1 Non c’è dubbio che dalla motivazione della decisione emerge che
l’imputato Romeo assisteva Seddio in tutte le sue attività illecite, rappresentando
una sorte di portavoce e braccio esecutivo del cugino, tanto nelle vicende
riguardanti il condizionamento di assunzioni presso le ditte dell’indotto
Italcementi di Porto Empedocle, sia nella gestione delle richieste estorsive
(anche in relazione all’episodio dei commercianti Sardo e Burgio), sia ancora
rispetto alle interferenze nell’appalto per la realizzazione del metanodotto
È però un dato di fatto che nessun collaboratore di giustizia indichi il Romeo
come associato alla famiglia di Porto Empedocle: né il Putrino o il Di Gati, sulle
cui dichiarazioni si fonda l’affermazione di responsabilità del Seddio, nè Pasquale
Salemi, le cui dichiarazioni sono valorizzate dalla decisione di-primo grado
(pagina 116-117, laddove si afferma che gli altri elementi di prova concretizzano
ed attualizzano la chiamata in correità) ma sono considerate prive di alcun rilievo
dalla decisione di appello. Ciò che emerge dalle intercettazioni ambientali è che
l’imputato coadiuvava il cugino nelle attività illecite, ma, stando alla ricostruzione
della sentenza, non può definirsi egli stesso un partecipe dell’associazione.
7.2 è costante canone ermeneutico quello secondo il quale in -tema di
associazione per delinquere, perché assuma rilevanza la condotta individuale,
occorre l’esistenza del

“pactum sceleris”,

con riferimento alla consorteria

criminale, e dell’affectio societatis”, in relazione alla consapevolezza del soggetto
di inserirsi in un’associazione vietata. È punibile, pertanto, a titolo di
partecipazione, colui che presti la sua adesione e il suo contributo all’attività
associativa, anche per una fase temporalmente limitata.
Viceversa, assume il ruolo di “concorrente esterno” il soggetto che, non
inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione e privo
dell'”affectio societatis”, fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario
contributo, sempre che questo esplichi un’effettiva rilevanza causale e quindi si
configuri come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento
delle capacità operative dell’associazione (o, per quelle operanti su larga scala
come “cosa nostra”, di un suo particolare settore e ramo di attività o
18

assorbimento di tutti gli altri.

articolazione territoriale) e sia diretto alla realizzazione, anche parziale, del
programma criminoso della medesima; inoltre, ai fini della configurabilità del
concorso esterno occorre che il dolo investa sia il fatto tipico oggetto della
previsione incriminatrice, sia il contributo causale recato dalla condotta
dell’agente alla conservazione o al rafforzamento dell’associazione, agendo
l’interessato nella consapevolezza e volontà di recare un contributo alla
realizzazione, anche parziale, del programma criminoso del sodalizio (Cass. Sez.

7.3 La Corte territoriale ha affermato la responsabilità dell’imputato per il
delitto di partecipazione ad associazione mafiosa, nel quale il soggetto
interagisce organicamente e sistematicamente con gli associati, quale elemento
della struttura organizzativa del sodalizio criminoso, senza prendere in
considerazione l’ipotesi del concorso esterno in associazione mafiosa, o piuttosto
delta semplice commissione di reati scopo unitamente al Seddio.
7.4 La sentenza impugnata va in conclusione annullata per nuovo esame in
relazione alla posizione di Romeo Salvatore, con rinvio ad altra sezione della
Corte d’appello di Palermo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Romeo Salvatore, nonché,
limitatamente all’aggravante di cui all’art. 416-bis comma 6, c.p. e al
trattamento sanzionatorio nei confronti di Seddio Domenico, con rinvio ad altra
sezione della Corte d’appello di Palermo per nuovo esame. Rigetta nel resto il
ricorso di Seddio.
Così deciso in Roma, il 10 marzo 2015
Il consigliere estensore

Il presidente

U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231671).

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