Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26355 del 12/06/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 26355 Anno 2015
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: TARDIO ANGELA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MONORCHIO DEMETRIO N. IL 14/12/1966
avverso la sentenza n. 854/2011 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 20/12/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELA TARDIO;

Data Udienza: 12/06/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 20 dicembre 2011 la Corte di appello di Reggio Calabria
ha confermato la sentenza del 22 febbraio 2011 del G.u.p. del Tribunale di
Reggio Calabria, che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato Monorchio
Demetrio colpevole in concorso dei reati di cui agli artt. 2 e 7 legge n. 895 del

697 cod. pen. (capo D), e l’aveva condannato, ritenuta la continuazione tra i
reati e operata la riduzione per il rito, alla pena di anni quattro di reclusione ed
euro duemila di multa.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del
suo difensore, l’imputato, che ne ha chiesto l’annullamento sulla base di due
motivi.
Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato la mancanza totale di
motivazione con riferimento a molteplici punti trattati con i motivi di appello e
contraddittorietà della sentenza in ordine agli elementi di natura indiziaria
individuati a suo carico, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.,
in relazione agli artt. 192, comma 2, cod. proc. pen., 546, comma 1, lett. e),
cod. proc. pen., 2 e 7 legge n. 895 del 1967, 23 legge n. 110 del 1975, 648 e
697 cod. pen.
Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato la incorsa inosservanza ed
erronea applicazione della legge penale con riferimento al capo E) della rubrica,
poiché il fatto doveva essere riqualificato nella diversa ipotesi di cui all’art. 647
cod. pen., con conseguente emissione di sentenza di non doversi procedere per
mancanza della condizione di procedibilità, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett.

b) , cod. proc. pen.
Gli esiti dell’attività di indagine sulle armi, inoltre, avrebbero potuto
condurre a un ridimensionamento della portata dei fatti e al contenimento della
pena nei limiti edittali.
3. In esito al preliminare esame presidenziale, il ricorso è stato rimesso a
questa Sezione per la decisione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 591,
comma 1, e 606, comma 3, cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Le deduzioni svolte con il primo motivo sono manifestamente infondate,
poiché il ricorrente, che ha denunciato l’omesso esame da parte della Corte di
appello di plurimi punti rappresentati con i motivi di appello e il ragionamento
2

1967 (capo A), 23 legge n. 110 del 1975 (capo B), 648 cod. pen. (capi C ed E) e

probatorio da essa adottato, ha omesso di correlarsi con

l’iter

logico-

argonnentativo della decisione impugnata, né manifestamente illogico né sotto
alcun profilo incongruo e/o meramente assertivo.
1.1. La Corte, vagliando la tesi difensiva della insufficienza degli elementi in
atti ai fini della prova della colpevolezza dell’imputato in ordine ai reati ascritti,
ha, infatti, esaustivamente illustrato, in coerenza con le regole preposte alla
formazione del suo convincimento e con le risultanze dei dati fattuali disponibili,
logicamente ripercorsi, le ragioni poste a base della conferma della pronuncia di

La sentenza ha, in particolare, valorizzato gli esiti della perquisizione locale,
svolta dai Carabinieri presso l’abitazione dell’imputato e le sue adiacenze in
contrada Placa e l’assunzione da parte del medesimo della disponibilità del blocco
motore del motociclo rinvenuto sotto una tettoia adiacente all’abitazione e
oggetto di furto; ha tratto da tali elementi la ragionevole consequenziale
attribuibilità all’imputato delle altre parti del medesimo veicolo rinvenute in
luoghi che erano nella sua diretta e immediata disponibilità e la prova della
sussistenza in capo a esso quantomeno del dolo eventuale del reato di
ricettazione ascritto al capo E); ha ritenuto, con riguardo alle armi e alle
munizioni, che le circostanze oggettive emerse quanto ai luoghi del loro
rinvenimento e le emergenze delle fotografie allegate alla consulenza di parte
erano dimostrative della loro riferibilità all’imputato; ha apprezzato, valutando
senza vuoti argomentativi tutti i dati fattuali e logici, la significativa valenza
probatoria del coacervo indiziario emerso e ha ritenuto soccombenti, a fronte
dell’evidenziato compendio accusatorio, gli elementi addotti dalla difesa.
1.2. La prospettazione del ricorrente, che, esprimendo un diffuso dissenso di
merito rispetto alla ricostruzione della vicenda e alle risposte ricevute e
opponendo la lacunosità del discorso giustificativo della decisione, ha
sostanzialmente inteso provocare una nuova lettura degli aspetti attinenti alle
circostanze fattuali e all’apprezzamento degli elementi acquisiti al fine della
diversa valutazione della propria condotta, ha finito con l’introdurre, in chiave di
contrapposizione argonnentativa, censure attinenti al merito, non sindacabile in
questa sede.
2. Le deduzioni svolte con il secondo motivo sono inammissibili, perché
ripropongono in termini generici -quanto alla reclamata riqualificazione del fatto,
ascritto al capo E) quale ricettazione, nella diversa ipotesi criminosa di cui all’art.
647 cod. pen.- le considerazioni svolte con l’atto di appello, astraendo dall’analisi
che delle stesse ha svolto la sentenza impugnata e opponendo il solo riferimento
alla tesi difensiva, già apprezzata come soccombente.
3.

Né hanno alcuna fondatezza i rilievi che attengono al trattamento

sanzionatorio, avendo la Corte ragionevolmente rimarcato, a conforto del

3

condanna di primo grado.

corretto esercizio del suo potere discrezionale, la congruità della sanzione
irrogata in relazione ai fatti e la sua coerenza con i parametri di cui all’art. 133
cod. pen.
4. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché -valutato il contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a
escludere la colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità- al
versamento della somma, ritenuta congrua, di mille euro alla Cassa delle

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di mille euro alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 12 giugno 2014

ammende.

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