Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26345 del 08/01/2015


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 6 Num. 26345 Anno 2015
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da
1. CUFARI Paolo, nato a Carèri (RC) il 24/01/1938,
2. NAPOLI Francesca, nata a Carèri (RC) il 18/01/1939,
3. CUFARI Angela, nata a Carèri (RC) il 08/11/1960,
4. CUFARI Caterina, nata a Carèri (RC) il 25/08/1966,
avverso il decreto del 20/11/2013 della Corte di Appello di Torino;
esaminati gli atti, il ricorso e il decreto impugnato;
udita la relazione del consigliere Giacomo Paoloni;
lette le requisitorie del pubblico ministero (sostituto Procuratore generale Antonio
Gialanella), che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi.

FATTO E DIRITTO
1. Per mezzo del comune difensore Paolo Cufari nonché la moglie e le due figlie
(Francesca Napoli, Angela e Caterina Cufari), queste quali persone terze interessate,
impugnano per cassazione il decreto della Corte di Appello di Torino confermativo del
decreto del Tribunale di Torino del 16.1.2013.
Decreto con cui, ritenuta la sussistenza di concordi elementi indiziari attestanti, ai
sensi degli artt. 1 ss. D.Lgs. 159/2011 (in rel. artt. 1 L. 1423/1956 e 2 ss. L. 575/1965),
l’appartenenza di Paolo Cufari ad una associazione di natura mafiosa per aver fatto parte
di una appendice piemontese della ‘ndrangheta e in particolare per aver diretto dal 1994
in poi (salva una breve interruzione di meno di un anno nel 2007/2008) la cosca
denominata “Natile di Careri” attiva a Torino (condannato per il reato di cui all’art. 416/

Data Udienza: 08/01/2015

bis c.p. con sentenza del Tribunale di Torino nel processo cd. Minotaruro, confermata
con sentenza 5.12.2013 della Corte di Appello di Torino; il relativo ricorso risulta essere
stato rigettato nelle more del presente giudizio) il Tribunale, accogliendo la proposta del
locale Procuratore della Repubblica: a) ha applicato al Cufari la misura di prevenzione
della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di quattro anni; b) ha
ordinato (art. 2-ter L. 575/65), la confisca di beni, già sottoposti a sequestro di
prevenzione, costituiti da: unità immobiliare sita a Torino cointestata al Cufari e alla
moglie; due immobili siti a Careri (Reggio Calabria) intestati a Francesca Napoli, moglie

del Cufari; saldo attivo di conto bancario presso Intesa-San Paolo cointestato al proposto
e alla moglie; saldi attivi di due libretti di risparmi postali cointestati alla Napoli e ad
Angela Cufari; sei buoni postali fruttiferi all’ordine del proposto e della moglie; tre buoni
postali fruttiferi intestati alla Napoli e a Caterina Cufari.
2. La Corte di Appello ha ribadito la solidità e convergenza degli indizi di
pericolosità raccolti nei confronti del Cufari, siccome immanenti nella sua qualità di
appartenente all’aggregazione mafiosa della ‘ndrangheta calabrese, resa palese dalla sua
risalente e autorevole partecipazione apicale alle attività criminose della cosca detta
locale torinese di Natile di Careri emersa dagli atti del processo penale svoltosi nei suoi
confronti e definito la sua condanna in sede di appello poco tempo dopo l’emissione
dell’impugnato decreto di prevenzione di secondo grado (dichiarazioni del c.d.g. Rocco
Varacalli; intercettazioni foniche tra più esponenti `ndranghetisti coinvolgenti lo stesso
Cufari; accertamenti documentali e servizi di osservazione e controllo svolti dalla p.g.).
La stessa Corte, poi, ha ritenuto la sussistenza di tutti i presupposti per
confermare -in uno alla misura di prevenzione personale- la confisca degli indicati cespiti
immobiliari e pecuniari riconducibili al Cufari, avuto riguardo alla evidente sproporzione
ravvisabile tra l’effettivo valore di tali beni e le disponibilità reddituali riferibili alle
presunta lecita attività lavorativa del prevenuto (che sostiene di aver svolto lavoro
dipendente “in nero”) e dei suoi prossimi congiunti. Sproporzione che giustifica la
confisca dei beni a fronte dell’accertata pericolosità sociale del Cufari (nulla in modo
specifico adducendosi in sede difensiva sulle eventuali alternative o additive fonti di
reddito di moglie e figlie del Cufari).
3. Il ricorso cumulativo dei quattro ricorrenti censura il decreto della Corte
territoriale in relazione alla sola conferma della misura patrimoniale, denunciando
violazione di legge per erronea applicazione degli artt. 23 e 24 D.Lgs. 159/2011.
I giudici di appello, condividendo le valutazioni espresse dal decreto di confisca
del Tribunale di Torino e muovendo da una travisata lettura dei principi fissati dalle
Sezioni Unite (Sez. U, n. 920/04 del 17.12.2003, Montella, Rv. 226491), secondo cui,
nel definire il quadro della “sproporzione” reddituale, i termini di raffronto dello squilibrio
(fissati nei redditi dichiarati o nelle attività economiche del proposto) debbono essere

ii

,,,,14 1

gtfi
2

apprezzati al momento dei singoli acquisti e non di quello di applicazione della confisca,
hanno sovvertito i canoni dell’onere probatorio in materia di prevenzione, attribuendo al
proposto la dimostrazione piena della liceità degli acquisti, così disattendendo le
allegazioni difensive e soprattutto le addotte evenienze sulla attività di lavoro
subordinato in nero svolta dal Cufari. Incongruamente in proposito il decreto impugnato
assume che il controvalore della correlata evasione fiscale attuata dal Cufari deve
ritenersi integrare il patrimonio non lecito del prevenuto. Omette di considerare, però, la
Corte di Appello che il Cufari era un lavoratore subordinato e che l’evasione fiscale è

Analogamente in sede di gravame sono state ignorate le fonti di reddito familiare
derivanti dal lavoro dei soggetti terzi interessati (moglie e due figlie del Cufari). Fonti
idonee a giustificare, insieme al reddito di lavoro dissimulato del Cufari, le acquisizioni
immobiliari e patrimoniali sottoposte a confisca.
A tutto ciò dovendo aggiungersi che nel giudizio di cognizione svoltosi nei
confronti del Cufari la Corte di Appello di Torino ha disposto il dissequestro dell’intero
immobile torinese e della quota parte (50%) delle due abitazioni cointestata alla moglie
del proposto.
4. I ricorsi vanno dichiarati inammissibili.
In via preliminare deve rilevarsi, come osservato dal concludente P.G. in sede,
che i ricorsi delle parti terze interessate sono inammissibili per assenza della necessaria
procura speciale al difensore che ha proposto i ricorsi. Con recente decisione le Sezioni
Unite di questa Corte regolatrice (hanno, infatti, statuito che deve considerarsi
inammissibile il ricorso per cassazione proposto, avverso il decreto dispositivo della
misura di prevenzione della confisca, dal difensore del terzo interessato non munito di
procura speciale ex art. 100 c.p.p., non potendo trovare applicazione la sanatoria
prevista dall’art. 182 c.p.c. per la regolarizzazione del difetto di rappresentanza (Sez. U,
n. 47239 del 30.10.2014, Borrelli, Rv. 260894; Sez. 6 n. 44636 del 31.10.2013, Ardito,
Rv. 257812; Sez. 5, n. 12220/14 del 12.12.2013, Siccone, Rv. 259861).
4.1. In ogni caso, al pari del ricorso del Cufari, i ricorsi dei terzi interessati sono
inammissibili anche nel merito per le ragioni puntualmente enunciate dal P.G. in sede
con le sue requisitorie scritte.
In vero le doglianze prospettate nell’interesse del Cufari e degli stessi terzi sono da un lato- prive di specificità, poiché replicano, per di più in modo sommario, le
notazioni critiche formulate con i motivi di appello avverso il provvedimento di
prevenzione di primo grado. Ciò senza alcuna reale lettura critica degli argomenti con cui
la Corte di Appello ha disatteso tali rilievi e confermato la decisione di primo grado.
D’altro lato le medesime doglianze non sono consentite in sede di legittimità.

3

stata commessa dal terzo datore di lavoro.

Come noto, con sentenza n. 321 del 2004 la Corte Costituzionale ha dichiarato
infondati i dubbi di legittimità costituzionale sollevati sull’art. 4 co. 11 L. 27.12.1956 n.
1423 (norma richiamata dall’art. 3-ter co. 2 L. 31.5.1965 n. 575), nella parte in cui tale
disposizione, limitando alla sola violazione di legge il ricorso per cassazione contro il
decreto di prevenzione della Corte di Appello, esclude la ricorribilità per vizio di
manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606, co. 1 lett. e), c.p.p. E’ stato in
tal modo consolidato l’indirizzo della giurisprudenza di questa S.C., in forza del quale nel
giudizio di legittimità avverso decreti di prevenzione non sono deducibili vizi di

motivazione, salva l’ipotesi che questa sia del tutto mancante o presenti incongruenze
tali da renderla solo apparente e, dunque, contra legem (art. 125 c.p.p.).
Tale puntualizzazione è funzionale all’analisi delle censure espresse dai ricorrenti,
laddove, -dietro l’egida delle lamentate violazioni di legge- le stesse si traducono nella
surrettizia proposizione di non sindacabili vizi di motivazione o argomentativi del
percorso decisorio dell’impugnato decreto di prevenzione, che non presenta affatto
carenze o vuoti di analisi tali da rendere i contenuti valutativi del provvedimento
incoerenti o contraddittori, sì da giustificare le doglianze in punto di motivazione
enunciate con il ricorso.
4.2. Le censure proposte con i ricorsi in punto di lecita origine dei cespiti
patrimoniali confiscati sono integrate da una sommaria e indimostrata critica (non
sorretta da concreti e pertinenti dati idonei a confutarne i risultati) mossa ai criteri
valutativi, di semplice lettura, con cui il Tribunale prima e la Corte di Appello poi (che per
più profili ha fatto proprie per relationem le deduzioni dei giudici di primo grado) hanno
rimarcato l’univoca e logica valenza dell’illecita origine dei beni confiscati al Cufari e ai
suoi prossimi congiunti. Al riguardo, mette conto osservare, i giudici di appello non
hanno introdotto alcuna arbitraria inversione dell’onere della prova in punto di illecita
provenienza dei beni sottoposti alla misura ablativa.
La Corte distrettuale ha -per un verso- evidenziato sia la continuità nello
svolgimento di attività illecite di matrice mafiosa del proposto in ragione del suo ruolo
apicale in seno alla diramazione torinese della locale di ‘ndrangheta di Natili di Careri a
far data dal 1994 (le acquisizioni dei beni confiscati si sono verificate tutte in epoca
successiva al 1994), sia la coeva parallela progressiva estensione della consistenza del
suo patrimonio, ancorché in mancanza di dati sulla liceità degli incrementi accertati. Per
altro verso la Corte ha osservato come la misura della confisca prevista dall’art. 2-ter L.
575/65, alimentata dalla mancata dimostrazione della legittima provenienza dei beni in
proprietà del proposto, sia applicabile anche a beni che risultino intestati a soggetti legati
da vincoli parentali o di stabile convivenza con l’indiziato di appartenenza mafiosa,
venendo al riguardo in rilievo una presunzione, sia pur semplice, di indiretta disponibilità
dei beni in capo all’indiziato. Concetti e notazioni dei giudici di appello, ai quali il
ricorrente Cufari (e gli stessi terzi interessati) non hanno opposto concreti e risolutivi/

Ih’
4

elementi dì segno contrario (prove di lecita origine dei beni) e che trovano il pieno
conforto della giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, n. 2960/06 del 7.12.2005, Nangano,
Rv. 233429; Sez. 1, n. 39799 del 20.10.2010, Fiorisi, Rv. 248845; Sez. 6, n. 49878 del
6.12.2013, Mortellaro, Rv. 258140).
4.3. I giudici della prevenzione (di primo e di secondo grado) hanno
correttamente valorizzato, quindi, i due concomitanti indici di significanza della genesi
mafiosa o comunque illecita dei beni che formano il patrimonio del Cufari e dei suoi
congiunti (in particolare della moglie).

beni sospettati di illegittima provenienza rispetto alle fonti di reddito ufficiali o
indirettamente valorizzabili (tenore di vita) disponibili al momento della loro
acquisizione al patrimonio dell’indiziato mafioso (ex plurimis, da ultimo: Sez. 2, n. 43145
del 27.6.2013, Gatto, Rv. 257609). Il secondo indice (o c.d. valenza reale dell’indizio di
“mafiosità” del proposto) rivelatore di illecita origine dei beni confiscati costituito dalla
condanna riportata in primo grado e confermata in appello (si è detto, per inciso, del
sopravvenuto rigetto del ricorso per cassazione) dal Cufari per il reato di associazione
mafiosa, con un ruolo senz’altro non marginale alla luce dei dati esposti dai giudici della
cognizione di merito. La lettura della decisione delle Sezioni Unite del 2003, ricorso
Montella, operata con il ricorso è affatto distonica rispetto al dictum di questa Corte,
atteso che la decisione ha chiarito come la giustificazione credibile delle fonti di reddito
consista nella prova positiva della lecita origine dei beni e non già nella prova negativa
della loro non illecita provenienza. Prova positiva che l’appello prima e l’attuale ricorso
poi (ripetitivo, si è detto, dei motivi di gravame) sono ben lungi dall’aver offerto.
Nessuna discrasia è, poi, ravvisabile in merito alla pretesa rilevanza della
evasione fiscale riferibile agli occulti presunti redditi di lavoro lecito (ma in nero) del
Cufari. Ribadendosi che l’odierno ricorso tende a far coincidere la prospettata violazione
degli artt. 2-ter L. 575/1965 e 24 D.Lgs. 159/2011 (che riproduce testualmente la prima
disposizione) con una presunta illogicità della motivazione del decreto impugnato, questa
S.C. ha precisato come la sproporzione tra i beni posseduti e le attività patrimoniali del
proposto non possa giustificarsi con proventi o eventi rivenienti da evasione fiscale, dal
momento che le nome sulla confisca di prevenzione mirano a sottrarre alla disponibilità
dell’interessato tutti i beni che siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il
reimpiego, senza distinguere se tali attività siano o meno di natura mafiosa (Sez. U, n.
33451 del 29.5.2014, Repaci, Rv. 260244). Il subordinato generico rilievo sul parziale
dissequestro di taluni medesimi beni sottoposti a confisca di prevenzione che sarebbe
stato deliberato dal giudice della cognizione di merito di secondo grado non infirma la
validità della decisione di prevenzione oggi impugnata, poiché -a tutto concedere e in
assenza di altri dati conoscitivi (non oggetto di allegazione difensiva)- il dissequestro
parziale, se può eventualmente incidere in parte sul requisito legittimante la confisca di/

5

Il primo indice sintomatico rappresentato dal parametro di proporzionalità dei

prevenzione costituito dalla sproporzione tra redditi dichiarati e valore dei beni, di per sé
solo non elide il congiunto requisito della indimostrata origine lecita di quei medesimi
beni.
Alla declaratoria di inammissibilità delle impugnazioni segue per legge la
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla cassa
delle ammende dell’equa somma di euro 1.000 (mille) pro capite.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno a quello della somma di euro mille in favore della cassa delle
ammende.
Roma, 8 gennaio 2015
Il Presidente
An o io St fa o A rò

P. Q. M.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA