Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2633 del 19/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 2633 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CUCCIA PIETRO N. IL 13/12/1972
avverso l’ordinanza n. 249/2013 TRIB. LIBERTA’ di
CALTANISSETTA, del 11/07/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

(

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 19/11/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 11.7.2013 il Tribunale di Caltanissetta ha rigettato la
richiesta di riesame proposta nell’interesse di Cuccia Pietro contro l’ordinanza del
23.5.2013 con cui gli era stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere in
relazione al reato di associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti (art. 74
DPR n. 309/1990).
Il Tribunale ha motivato la decisione rilevando che le indagini poste a

intensa attività di intercettazione telefonica e ambientale, nonché tramite servizi di
osservazione, pedinamento e controllo, l’effettiva operatività sul territorio di Agira e
nei centri limitrofi, di due distinte organizzazioni criminali facenti capo a Scaminaci
Massimiliano e Cuccia Pietro.
Ha quindi analizzato il ruolo del Cuccia Pietro – ritenuto leader indiscusso – e dei
suoi collaboratori riportando ampi brani di conversazioni telefoniche ed ha ritenuto la
sussistenza del reato associativo e di esigenze cautelari tali da giustificare la massima
misura coercitiva nei confronti del ricorrente, reputando inidonea quella degli arresti
domiciliari.
2. La difesa ricorre per cassazione deducendo, ai sensi dell’art. 606 comma 1
lett. b), c) ed e) cpp, l’erronea applicazione della legge penale e processuale, la
mancanza e illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta gravità indiziaria per i
fatti ascritti ai capi N) ed O) (reato associativo e cessioni di sostanza) della rubrica e
alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari ex art. 274 cpp. Rileva in particolare,
quanto al primo profilo (gravità indiziaria) che il ragionamento, attraverso le stesse
parole spese per rigettare la richiesta del fratello Giuseppe, si basa su un unico dato
empirico rappresentato dal servizio di intercettazione e che manca un’effettiva e logica
valutazione contenutistica dei colloqui intercettati, pur reclamata in sede di riesame,
sicché la motivazione appare non corretta e disancorata dal nucleo fondamentale delle
risultanze investigative. Secondo il ricorrente, prima di discutere dei ruoli, il Tribunale
avrebbe dovuto enucleare le circostanze di fatto da cui potere inferire che nel periodo
in contestazione (ottobre 2010-giugn o2011) si sia formata una organizzazione con la
finalità di porre in essere una serie indeterminata di reati nell’ambito del settore di
stupefacenti: avrebbe dovuto cioè ricercare i profili organizzativi, necessari a
dimostrare l’esistenza dell’accordo diretto a commettere più delitti in materia di
stupefacenti. Secondo il ricorrente l’esistenza dell’accordo è stata ricavata da
circostanze non univoche che – in ogni caso – se correttamente valutate dimostrano
l’autonoma titolarità della attività criminosa gestita individualmente di ricorrente pur
nella necessaria condivisione con una serie indeterminata di soggetti che a lui facevano
riferimento per l’acquisto e la cessione.

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fondamento dell’ordinanza impugnata avevano permesso di accertare attraverso una

Procede all’esame dei vari colloqui richiamati dal Tribunale e ne offre una
propria valutazione per escludere l’esistenza del “pactum” e per escludere il quadro
indiziario anche in relazione alle cessioni di sostanza contestate nel capo O) che,
secondo il ricorrente, presupponevano una verifica dei singoli fatti, mentre invece si è
ritenuta una sorta di responsabilità concorsuale automatica per gli episodi di cessione
realizzati da soggetti diversi, con la conseguenza di una illogica duplicazione di
condotte, mentre invece non si comprende quale connotazione abbia il ritenuto

Sulle esigenze cautelari, il ricorrente addebita al Tribunale di avere adottato una
motivazione apodittica in assenza di qualunque presupposto di fatto che la giustifichi
logicamente. Evidenzia che nessun concreto elemento viene indicato per giustificare un
severo giudizio di incapacità di autodeternninarsi correttamente nell’osservanza delle
prescrizioni connesse alla misura domiciliare.
Rileva che il Tribunale non ha in nessun modo considerato il tempo trascorso
dai fatti oggetto delle imputazioni, che cessano nel giugno del 2011, al fine di
individuare in concreto sulla base di quali elementi si possa ritenere corretta una
valutazione che affermi il rischio attuale e obiettivo di una ripresa dei contatti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1- La censura riguardante l’inosservanza di legge e il vizio di motivazione sulla
sussistenza del reato associativo sussistenza del reato associativo è infondata.
Come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, ai fini della configurabilità
del delitto associativo ex art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, l’elemento
organizzativo assume un rilievo secondario, essendo sufficiente anche
un’organizzazione minima perché il reato si perfezioni (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 16540
del 27/03/2013 Ud. dep. 12/04/2013 Rv. 255491; Sez. 4, Sentenza n. 22824 del
21/04/2006 Ud. dep. 03/07/2006 Rv. 234576). Ancora, per la configurabilità
dell’associazione dedita al narcotraffico non è richiesta la presenza di una complessa e
articolata organizzazione dotata di notevoli disponibilità economiche, ma è sufficiente
l’esistenza di strutture, sia pure rudimentali, deducibili dalla predisposizione di mezzi,
per il perseguimento del fine comune, create in modo da concretare un supporto
stabile e duraturo alle singole deliberazioni criminose, con il contributo dei singoli
associati (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 30463 del 07/07/2011 Ud. (dep. 01/08/2011 ) Rv.
251011).
Essendo stato dedotto anche il vizio di motivazione, va richiamato il principio
generale di diritto secondo cui l’illogicità della motivazione, per essere apprezzabile
come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare
percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a
rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente

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concorso.

confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano
spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (cass. Sez. 3,
Sentenza n. 35397 del 20/06/2007 Ud. dep. 24/09/2007; Cassazione Sezioni Unite n.
24/1999, 24.11.1999, Spina, RV. 214794).
Nel caso di specie, il Tribunale del riesame, sulla base delle attività di indagine,
ha ricostruito dettagliatamente l’attività dell’organizzazione dedita al traffico di
marijuana sul territorio di Agira e nei centri limitrofi facente capo a Cuccia Pietro,

l’esistenza di un discreto numero di ragazzi disposti a spacciare i quali ricevevano la
sostanza da destinare alla rivendita e restituivano il denaro trattenendo quanto di loro
spettanza.
Ha richiamato il tenore delle diverse conversazioni intercettate da cui
emergeva, nonostante il linguaggio criptico, il reale significato dei dialoghi ed ha
considerato altresì gli episodi relativi agli arresti di taluni degli indagati e i numerosi
controlli nei confronti degli acquirenti.
Ha ritenuto, sulla base delle risultanze investigative, dimostrata l’ipotesi
accusatoria della struttura associativa in oggetto.
Ha osservato che dall’attività tecnica è emersa la riferibilità al Cuccia Pietro
dell’attività di spaccio svolta da alcuni indagati. Ha ritenuto integrato un solido quadro
indiziario in merito alla associazione e alla piena partecipazione del Cuccia Pietro con il
ruolo organizzativo che gli viene ascritto, in posizione di supremazia perché è lui che
detta le regole di condotta.
Ritiene, sulla base delle conversazioni esaminate e di quelle di cui alle pagg.
1359 e ss dell’ordinanza (alle quali rinvia) gravi indizi di colpevolezza anche per il reato
di cui al capo O) della rubrica.
Trattasi di accertamenti in fatto congruamente motivati e pertanto sottratti al
sindacato di questa Corte.
2. Quanto alla critica alla motivazione in ordine alle esigenze cautelari ritenute sussistenti dai giudici di merito – essa va dichiarata fondata a differenza delle
altre.
In tema di misure cautelari personali, ai fini della valutazione del pericolo che
l’imputato commetta delitti della stessa specie, il requisito della concretezza non si
identifica con quello dell’attualità, derivante dalla riconosciuta esistenza di occasioni
prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, ma con quello dell’esistenza di
elementi concreti sulla base dei quali è possibile affermare che l’imputato possa
commettere delitti della stessa specie di quello per cui si procede, e cioè che offendano
lo stesso bene giuridico (cfr. cass. Sez. 6, Sentenza n. 28618 del 05/04/2013 Cc. dep.
03/07/2013 Rv. 255857; Sez. 4, Sentenza n. 18851 del 10/04/2012 Cc. dep.
16/05/2012 Rv. 253864). Si richiede dunque un giudizio prognostico rigoroso desunto
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evidenziando il ruolo di collaborazione dei familiari, tra cui il fratello Giuseppe e

anche dai criteri stabiliti dall’art. 133 c. p., tra i quali sono ricompresi le modalità e la
gravità del fatto, sicché non deve essere considerato il tipo di reato o una sua ipotetica
gravità, bensì devono essere valutate situazioni correlate con i fatti del procedimento
ed inerenti ad elementi sintomatici della pericolosità dell’indagato (cfr. sentenza cit.).
Ebbene, nella fattispecie il Tribunale di Caltanissetta ha desunto la pericolosità
sociale del Cuccia dal suo pieno inserimento nel contesto criminale, del quale è
considerato l’artefice, in una attività ritenuta – sulla base dei dialoghi intercettati –

Il Tribunale, poi, considerato l’ampio e allarmante contesto territoriale di
riferimento, ha osservato che, anche sulla base dei precedenti penali dell’indagato, non
è possibile formulare un giudizio di affidabilità che consenta di presumere l’osservanza
delle prescrizioni connesse agli arresti domiciliari e quindi possa giustificare detta
misura (rimessa all’autocontrollo e al senso di responsabilità del prevenuto): ha quindi
ritenuto che la custodia in carcere sia l’unica misura idonea ad evitare in radice la
ripresa dei contatti con l’ambiente criminale.
Una motivazione del genere è però solo apparente perché si risolve in una mera
affermazione generica, adattata anche ad altre posizioni senza specificare in che modo
l’indagato possa riprendere i contatti con l’ambiente criminale nel caso di applicazione
di una misura meno afflittiva della custodia in carcere, non potendo valere a tal fine il
richiamo alle dimensioni della attività e al contesto territoriale.
Ma non basta. In tema di misure cautelari, il riferimento in ordine al “tempo
trascorso dalla commissione del reato” di cui all’art. 292, comma secondo, lett. c) cod.
proc. pen., impone al giudice di motivare sotto il profilo della valutazione della
pericolosità del soggetto in proporzione diretta al tempo intercorrente tra tale
momento e la decisione sulla misura cautelare, giacché ad una maggiore distanza
temporale dai fatti corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari (cfr. tra le
varie, Sez. U, Sentenza n. 40538 del 24/09/2009 Cc. dep. 20/10/2009 Rv. 244377;
Sez. 6, Sentenza n. 27865 del 10/06/2009 Cc. dep. 07/07/2009 Rv. 244417).
Nel caso che ci occupa, tra la data dei fatti che riguardano la precisa posizione
dell’indagato e la applicazione della misura cautelare personale sono trascorsi anni e
dunque una risposta alla censura mossa in sede di riesame avrebbe dovuto essere pur
data dal Tribunale, ma dal testo del provvedimento impugnato ciò non risulta.
Consegue sotto tale profilo l’annullamento con un rinvio al Tribunale che
attenendosi ai principi esposti, considererà, sotto il profilo cautelare la posizione
specifica dell’imputato.
P.Q.M.
annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Caltanissetta limitatamente
alle esigenze cautelari. La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento

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tutt’altro che modesta.

sia trasmesso al Direttore dell’Istituto Penitenziario competente ai sensi dell’art. 94
comma 1 ter disp. att. cpp.

Così deciso in Roma, il 19.11. 2013.

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