Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2630 del 19/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 2630 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PRESTIFILIPPO CIRIMBOLO NICOLO’ N. IL 23/08/1986
avverso l’ordinanza n. 226/2013 TRIB. LIBERTA’ di
CALTANISSETTA, del 04/07/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;
1t/sentite le conclusioni del PG Dott.

itysi-o)

Uditi difensor Avv.;

A , WA,054

Data Udienza: 19/11/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 4.7.2013 il Tribunale di Caltanissetta ha rigettato la
richiesta di riesame proposta nell’interesse di Prestifilippo Cirimbolo Nicolò contro
l’ordinanza del 23.5.2013 con cui gli era stata applicata la misura cautelare degli
arresti domiciliari in relazione al reato di associazione finalizzata al traffico illecito di
stupefacenti e spaccio (art. 74 e 73 DPR n. 309/1990).
Il Tribunale ha motivato la decisione rilevando che le indagini poste a

intensa attività di intercettazione telefonica e ambientale, l’esistenza nel territorio di
Agira, di una articolata organizzazione criminale dedita al traffico di stupefacenti,
facente capo a Scaminaci Massimiliano e di cui faceva parte anche il ricorrente.
Ha quindi analizzato i fatti sintomatici dell’esistenza dell’organizzazione e, dal
contenuto delle conversazioni (di cui ha riportato ampi brani) ha ricostruito la
posizione dell’odierno ricorrente, evidenziando la continuità, la frequenza e l’intensità
dei rapporti con gli associati.
Quanto alle esigenze cautelari, i giudici del riesame ne hanno confermato la
sussistenza, sotto il profilo del pericolo di reiterazione dei reati desunto dalla
professionalità e dal rilevante giro di affari, condividendo il giudizio di adeguatezza
della misura degli arresti domiciliari, per la posizione subordinata del ricorrente
rispetto a quella di Gazzo Filippo.
2. I difensori hanno proposto ricorso per cassazione deducendo cinque motivi:
2.1- violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cpp in relazione all’art. 192
con l’art. 74 DPR n. 309/1990 e con l’art. 74 comma 6- Mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione. Motivazione apparente.
2.2 violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cpp in relazione all’art. 192
con l’art. 73 DPR n. 309/1990 – Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione. Motivazione apparente.
2.3 violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cpp in relazione all’art. 192
con l’art. 73 comma 5 e 74 comma 6 DPR n. 309/1990 – Mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione. Motivazione apparente.
2.4 violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cpp in relazione alla nullità
per violazione del principio di correlazione tra l’imputazione e l’ordinanza cautelare con
riferimento al capo A dell’ordinanza impugnata – Mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione. Motivazione apparente.
2.5 violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cpp in relazione all’art. 274
lett. c) e 275 – Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Motivazione apparente.
CONSIDERATO IN DIRITTO

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fondamento dell’ordinanza impugnata avevano permesso di accertare, attraverso una

1 Col primo motivo il ricorrente, dopo avere premesso alcune considerazioni in
ordine alla natura e agli elementi costitutivi del reato associativo, critica la decisione
del Tribunale laddove ha ritenuto la sussistenza di gravi indizi del reato associativo, di
cui invece, a suo dire, mancavano del tutto gli elementi costitutivi, non potendosi
attribuire rilievo determinante alla semplice materialità della condotta evincibile dalle
modeste ed evanescenti conversazioni captate e quindi all’unico episodio meritevole di
attenzione investigativa, mancando invece la prova dell’effettiva consapevolezza

scopo comune dell’associazione descritta nel capo di imputazione.
2. Con la seconda censura (riguardante la sussistenza degli elementi indiziari
del reato di spaccio) il ricorrente osserva i due episodi attenzionati non sono idonei ad
ipotizzare alcuna reiterata attività di spaccio e non valgono ad identificare né il tipo né
la quantità di sostanza stupefacente oggetto di cessione.
3. Con la terza censura il ricorrente rimprovera al Tribunale di non avere dato
alcuna risposta alla tesi difensiva secondo cui la condotta poteva ricomprendersi, in via
meramente residuale, nell’alveo del comma 5 dell’art. 73 e che pertanto la condotta
associativa sarebbe da inquadrare nel comma 6 dell’art. 74 DPR n. 309/1990.
Sottolinea in proposito il suo ruolo marginale della vicenda e l’esistenza di rapporti solo
con Gazzo Filippo, titolare, quest’ultimo, di una posizione apicale.
Le predette censure – che ben si prestano a trattazione congiunta – sono prive
di fondamento.
Innanzitutto, è bene ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte,
ai fini della configurabilità del delitto associativo ex art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n.
309, l’elemento organizzativo assume un rilievo secondario, essendo sufficiente anche
un’organizzazione minima perché il reato si perfezioni (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 16540
del 27/03/2013 Ud. dep. 12/04/2013 Rv. 255491; Sez. 4, Sentenza n. 22824 del
21/04/2006 Ud. dep. 03/07/2006 Rv. 234576). Ancora, per la configurabilità
dell’associazione dedita al narcotraffico non è richiesta la presenza di una complessa e
articolata organizzazione dotata di notevoli disponibilità economiche, ma è sufficiente
l’esistenza di strutture, sia pure rudimentali, deducibili dalla predisposizione di mezzi,
per il perseguimento del fine comune, create in modo da concretare un supporto
stabile e duraturo alle singole deliberazioni criminose, con il contributo dei singoli
associati (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 30463 del 07/07/2011 Ud. (dep. 01/08/2011 ) Rv.
251011).
Essendo stato dedotto anche il vizio di motivazione, va richiamato il principio
generale di diritto secondo cui l’illogicità della motivazione, per essere apprezzabile
come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare
percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a
rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e

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dell’indagato di operare con il preciso scopo di raggiungere o quanto meno facilitare lo

considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente
confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano
spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (cass. Sez. 3,
Sentenza n. 35397 del 20/06/2007 Ud. dep. 24/09/2007; Cassazione Sezioni Unite n.
24/1999, 24.11.1999, Spina, RV. 214794).
Nel caso di specie, il Tribunale del riesame, sulla base delle attività di indagine,
ed in particolare dalla varie conversazioni intercettate (di cui ha riportato ampi

stupefacenti evidenziando i fatti sintomatici dell’esistenza dell’organizzazione (i
molteplici canali di rifornimento operanti a Catania e provincia), la ripartizione di ruoli
tra gli associati compreso l’odierno ricorrente, secondo uno schema rigidamente
gerarchico che vedeva a capo lo Scaminaci (cita in proposito proprio una
conversazione tra il Gazzo e Filippo Raccuglia in cui lo Scaminaci viene chiamato “u
principali”), l’articolazione di una rete consumatori e spacciatori tra cui alcuni, come
l’odierno ricorrente, inseriti a pieno titolo nell’organizzazione, l’esistenza di conti in
comune tra gli associati sia in relazione alla sostanza da cedere sia in relazione ai
debiti a cui fare fronte per le forniture, le comuni preoccupazioni allorché sospettavano
la presenza delle forze dell’ordine, i quotidiani rapporti tra Scaminaci aveva con i
fornitori.
Da tali elementi il Tribunale ha tratto il convincimento del ruolo rivestito dal
ricorrente nell’organizzazione, attraverso attività di procacciamento delle forniture
presso i trafficanti di Catania, spaccio e occultamento della droga sempre in posizione
subalterna rispetto a Gazzo Filippo, ritenuto uno dei personaggi di maggior spessore
dell’associazione. Ha citato, in particolare (v. pag. 14), l’episodio della consegna a
Fabio Garofano di droga da parte di “Cola” (diminutivo dell’indagato) su precisa
disposizione del Gazzo, impossibilitato a farlo personalmente.
Quanto al mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata, va osservato che
l’ipotesi associativa prevista dal comma sesto dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990
richiede, quale imprescindibile condizione, che tutte le singole condotte commesse in
attuazione del programma criminoso siano sussumibili nella fattispecie dei fatti di lieve
entità e di minima offensività previsti dall’art. 73, comma quinto, del medesimo d.P.R.
n. 309 (cfr. cass. Sez. 1, Sentenza n. 4875 del 19/12/2012 Ud. dep. 31/01/2013 Rv.
254194).
Nel caso in esame, ciò non risulta dimostrato ed anzi il giudice di merito ritiene
trattarsi di una imponente attività di smercio, tutt’altro che modesta, con precisi ruoli
apicali, traendo tale convincimento dai dialoghi intercettati. In particolare, ha ritenuto
che il Prestifilippo partecipava a pieno titolo all’attività svolta dal sodalizio, ritenuta
tutt’altro che lieve e per tali ragioni ha escluso la sussistenza dell’ipotesi di cui al

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passaggi), ha ricostruito dettagliatamente l’attività dell’associazione dedita al traffico di

comma 5 dell’art. 73 (v. pag. 17): accertamento in fatto, anche questo, congruamente
motivato e dunque insindacabile in cassazione.
Trattasi di accertamenti in fatto, dettagliati e congruamente motivati, pertanto
sottratti al sindacato di questa Corte.
4 Col quarto motivo (violazione del principio di correlazione tra l’imputazione e
l’ordinanza cautelare) la difesa critica l’affermazione del Tribunale a pag. 18
dell’ordinanza laddove ritiene configurabile l’esistenza di un’unica consorteria criminosa

ad altro di maggiore portata (che garantisca al primo la possibilità in concreto di
gestione dei traffici) ritenendo in tale ipotesi che anche i componenti del gruppo
minore rispondono del delitto associativo concernente il gruppo egemone, sussistendo
prova adeguata del contributo individuale apportato alla realizzazione egli scopi del
sodalizio criminoso.
Secondo il ricorrente detta motivazione ha travalicato i limiti tra il chiesto e
pronunciato perché ha ipotizzato una organizzazione diversamente strutturata sotto il
profilo oggettivo e soggettivo rispetto a quella contestata.
Il motivo è infondato.
Come già affermato da questa Corte (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 19715 del
23/04/2008 Cc. dep. 16/05/2008 Rv. 240110) il suddetto principio di correlazione
attiene sostanzialmente alla corrispondenza tra l’imputazione contestata e la sentenza
adottata, costituendo pregiudizio dei diritti di difesa porre a base della pronuncia di
condanna un fatto in realtà non contestato e in relazione al quale l’imputato non ha
avuto possibilità di difendersi; ed avuto riguardo alla suddetta ratio della norma, la
giurisprudenza ha rilevato che la violazione in parola è del tutto insussistente allorché
l’imputato, attraverso l’iter del procedimento, si sia trovato nella condizione di potersi
difendere in ordine ai fatti posti a fondamento della pronuncia di condanna.
Alla stregua di tale principio deve ritenersi che, in relazione alla applicazione di
una misura cautelare, nessuna violazione del suddetto principio di correlazione può
ravvisarsi qualora, pur facendo riferimento la rubrica del capo di imputazione ad una
determinata condotta, il contenuto del provvedimento impositivo della misura
cautelare faccia espresso, organico e dettagliato riferimento ad ulteriori particolari
emersi dagli atti che non snaturano affatto il nucleo della contestazione, atteso che in
tal caso nessuna violazione dei diritti della difesa può ritenersi in alcun modo verificata.
D’altronde l’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. b), prevede che l’ordinanza che dispone la
misura cautelare deve contenere “la descrizione sommaria del fatto con l’indicazione
delle norme di legge che si assumono violate”, descrizione ed indicazione che, nel caso
di specie, si rinvengono chiaramente nell’ordinanza oggetto di riesame.
E pertanto, sia sotto il profilo sostanziale che sotto il profilo puramente formale,
deve escludersi che il fatto posto a fondamento della misura restrittiva sia, con
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nel caso in cui, come quello in esame, sia individuabile un gruppo minore subordinato

riferimento al suddetto delitto di cui all’art. 74 DPR n. 309/1990 diverso da quello
contestato atteso che, dalla valutazione globale dei fatti contestati e dallo svolgimento
dell’iter procedimentale, emerge in maniera inequivoco che il ricorrente era ben a
conoscenza dei fatti posti a fondamento della misura applicata, di talché nessun
pregiudizio dei diritti della difesa può ritenersi nel caso di specie verificato.
5 Infine, col quinto motivo, riguardante la motivazione sulle esigenze cautelari,
il ricorrente critica l’ordinanza laddove ha ritenuto la pericolosità sociale, che invece

Rimprovera ai giudici del riesame di avere esteso al ricorrente un motivazione
riguardante in astratto le dinamiche dell’associazione, ma non già la sua posizione
specifica. Contesta la ritenuta attualità del pericolo evidenziando che la breve durata
dell’attività da lui posta in essere (primi mesi del 2011) escludeva qualsiasi esigenza
cautelare ed evidenzia comunque la mancata indicazione di elementi concreti da cui
desumere il pericolo di reiterazione dei reati.
Inoltre, si duole della mancanza di motivazione sulla dedotta violazione dell’art.
292 comma 2 lett. c cpp perché non è stato considerato il periodo di due anni e mezzo
tra la data del supposto reato (ultima conversazione in contestazione: 1.2.2011) e
data del provvedimento impugnato.
Il motivo è fondato.
In tema di misure cautelari personali, ai fini della valutazione del pericolo che
l’imputato commetta delitti della stessa specie, il requisito della concretezza non si
identifica con quello dell’attualità, derivante dalla riconosciuta esistenza di occasioni
prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, ma con quello dell’esistenza di
elementi concreti sulla base dei quali è possibile affermare che l’imputato possa
commettere delitti della stessa specie di quello per cui si procede, e cioè che offendano
lo stesso bene giuridico (cfr. cass. Sez. 6, Sentenza n. 28618 del 05/04/2013 Cc. dep.
03/07/2013 Rv. 255857; Sez. 4, Sentenza n. 18851 del 10/04/2012 Cc. dep.
16/05/2012 Rv. 253864). Si richiede dunque un giudizio prognostico rigoroso desunto
anche dai criteri stabiliti dall’art. 133 c. p., tra i quali sono ricompresi le modalità e la
gravità del fatto, sicché non deve essere considerato il tipo di reato o una sua ipotetica
gravità, bensì devono essere valutate situazioni correlate con i fatti del procedimento
ed inerenti ad elementi sintomatici della pericolosità dell’indagato (cfr. sentenza cit.).
Ebbene, nella fattispecie il Tribunale di Caltanisetta ha desunto il pericolo
attuale e concreto di reiterazione dei reati della stessa specie dalla professionalità
dimostrata dagli associati, dal rilevantissimo giro di affari, dalla qualità e quantità della
sostanza, dal fatto che l’associazione rivestiva un ruolo di egemone nel campo dello
spaccio nel territorio di Argira, tutte considerazioni – sempre ad avviso del Tribunale idonee ad elevare in modo esponenziale la pericolosità del ricorrente.

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manca, considerato lo stato di incensuratezza e l’estrema occasionalità della condotta.

Una motivazione del genere è però solo apparente perché si risolve in una mera
affermazione generica, adattata anche ad altre posizioni senza procedere invece alle
dovute distinzioni dei ruoli e, soprattutto, senza specificare in cosa consista la
professionalità e il giro di affari nel quale l’indagato si trova coinvolto.
Ma non basta. In tema di misure cautelari, il riferimento in ordine al “tempo
trascorso dalla commissione del reato” di cui all’art. 292, comma secondo, lett. c) cod.
proc. pen., impone al giudice di motivare sotto il profilo della valutazione della

momento e la decisione sulla misura cautelare, giacché ad una maggiore distanza
temporale dai fatti corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari (cfr. tra le
varie, Sez. U, Sentenza n. 40538 del 24/09/2009 Cc. dep. 20/10/2009 Rv. 244377;
Sez. 6, Sentenza n. 27865 del 10/06/2009 Cc. dep. 07/07/2009 Rv. 244417).
Nel caso che ci occupa, tra la data dei fatti che riguardano la precisa posizione
dell’indagato e la applicazione della misura cautelare personale sono trascorsi anni e
dunque una risposta alla censura mossa in sede di riesame avrebbe dovuto essere pur
data dal Tribunale, ma dal testo del provvedimento impugnato ciò non risulta.
Consegue sotto tale profilo l’annullamento con un rinvio al Tribunale che
attenendosi ai principi esposti, considererà, sotto il profilo cautelare la posizione
specifica dell’imputato.
P.Q.M.
annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Caltanissetta limitatamente
alle esigenze cautelari.
Così deciso in Roma, il 19.11. 2013.

pericolosità del soggetto in proporzione diretta al tempo intercorrente tra tale

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