Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26297 del 16/06/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 26297 Anno 2015
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: ZOSO LIANA MARIA TERESA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
NOBILI STEFANO N. IL 08/07/1973
avverso la sentenza n. 3289/2010 CORTE APPELLO di ROMA, del
16/01/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LIANA MARIA TERESA ZOSO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 17-7 A.ceA
che ha concluso per ‘t
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

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Data Udienza: 16/06/2015

RITENUTO IN FATTO

1.La corte di appello di Roma, con sentenza del 16 gennaio 2014, confermava la sentenza del
tribunale di Roma del 9 ottobre 2009 con cui Nobili Stefano era stato condannato alla pena di
mesi cinque di reclusione, con i benefici della sospensione condizionale e della non menzione e
con sospensione della patente di guida per anni uno e mesi sei, per il reato di cui all’articolo
189, commi 1, 6 e 7 del codice della strada perché alla guida della propria autovettura, dopo

tamponato l’autovettura condotta da Laurenti Alessio, non si era fermato e non aveva prestato
l’assistenza occorrente alla Giorgi ed al passeggero dell’autovettura condotta dal Laurenti,
Leoni Biagio, che avevano subito lesioni giudicate guaribili, rispettivamente, in giorni sette e
giorni tre. Il fatto era stato commesso in Roma il 23 maggio 2006.
2. Avverso la sentenza della corte d’appello proponeva ricorso per cassazione Nobili Stefano, a
mezzo del suo difensore deducendo:
a) Vizio di motivazione derivante da travisamento della prova con particolare riguardo alla
scriminante dello stato di necessità, che avrebbe determinato l’imputato non fermarsi dopo
l’urto, ed alla mancanza di prova del nesso teologico tra la condotta oggetto di contestazione e
le lesioni riportate dalle persone offese. Sosteneva, in particolare, il ricorrente di non aver
potuto fermarsi in quanto doveva correre al capezzale della madre gravemente depressa e che
già una volta aveva tentato il suicidio; in ogni caso egli non avrebbe potuto avere contezza
delle lesioni riportate dalle vittime perché l’urto tra i veicoli era stato di minima entità; infine
egli si era accostato all’auto della Giorgi e le aveva detto di prendere il numero di targa.
b) Violazione di legge per erronea interpretazione ed applicazione della norma di cui all’articolo
189 del codice della strada e dell’articolo 40 cod. pen. per l’insussistenza del dolo, non essendo
stato in grado di rendersi conto delle conseguenze prodotte dall’urto tra i veicoli in
considerazione della lievità di esso, tenuto conto che i veicoli erano incolonnati e procedevano
a passo d’uomo.
c) Maturazione del termine di prescrizione in data antecedente a quella del deposito della
sentenza della corte d’appello intervenuto 15 aprile 2014. In particolare il termine di
prescrizione, considerata la sospensione della prescrizione per 60 giorni per il legittimo
impedimento del difensore del 22 ottobre 2013 al 31 dicembre 2013, scadeva il 23 gennaio
2014, prima del termine di deposito della sentenza della corte d’appello.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.0sserva la corte che erra il ricorrente nel sostenere che si imponga il rilievo d’ufficio della
prescrizione, pur se il ricorso sia ritenuto inammissibile ( cfr. Sez. 3, n. 14438 del
30/01/2014,Pinto, Rv. 259135; Sez. 2, Sentenza n. 34891 del 16/05/2013, Vecchia,
Rv. 256096 ) sul rilievo che il termine di prescrizione sarebbe venuto a scadenza prima del
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aver tamponato l’autovettura condotta da Giorgi Stefania che per l’urto, a sua volta, aveva

deposito della sentenza della corte d’appello, ma dopo la lettura del dispositivo in udienza.
Invero la pubblicazione (art. 545 cod. proc. pen.) e il deposito (art. 548 cod. proc. pen.) della
sentenza hanno finalità diverse, poiché la prima, che garantisce l’immediatezza della
deliberazione stabilita dall’art. 525 cod. proc. pen., conclude la fase della deliberazione in
camera di consiglio e consacra, attraverso il dispositivo redatto e sottoscritto dal presidente, la
decisione definitiva non più modificabile in relazione alla pretesa punitiva, mentre il secondo
serve a mettere l’atto, contenente l’esposizione dei motivi di fatto e di diritto sui quali la

determinati casi (Sez. 6, n. 9984 del 23/06/1993, dep. 08/11/1993, Bernardi e altri, Rv.
196173; Sez. 5, n. 1520 del 17/03/2000, dep. 06/04/2000, Cannella, Rv. 215835). Si è, per
l’effetto, rimarcato che, ai fini del computo della eventuale prescrizione, deve essere preso in
considerazione il momento della lettura del dispositivo della sentenza di condanna, anche nel
caso in cui non sia data contestuale lettura della motivazione, e non quello successivo del
deposito della sentenza stessa (Sez. 7, n. 38143 del 13/02/2014, Foggetti, Rv. 262615; Sez.
3, n. 18046 del 09/02/2011, Morra, Rv. 250328).
2. Ciò posto, il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
Invero il dedotto vizio di motivazione non sussiste, avendo la corte d’appello motivato in
maniera esaustiva e logica su tutti i punti indicati nel ricorso facendo corretta applicazione
delle norme e dei principi di diritto formulati dalla corte di legittimità.
Ha considerato la corte territoriale che non sussisteva la causa di giustificazione dello stato di
necessità, prospettata dell’imputato, di essersi dovuto allontanare dal luogo del sinistro per
recarsi dalla madre in crisi depressiva, posto che, seppure la congiunta aveva una volta tentato
il suicidio, non era ragionevole ritenere che la stessa si trovasse in pericolo di vita al momento
dell’incidente. Ha ritenuto la corte d’appello che l’incidente era di per sé idoneo alla valutazione
dei danni alle persone dato che, ancorché le macchine procedessero sul raccordo anulare di
Roma a modestissima velocità, i testi avevano riferito che l’imputato era sopraggiunto facendo
vari cambi di corsia e lo slalom tra le autovetture che procedevano lentamente, dopodiché, con
grande rumore e stridio di freni e di gomme, era andato contro l’auto condotta dalla Giorgi
provocando la rottura del fanale e del paraurti anteriore con interessamento del cofano della
propria autovettura. La corte d’appello ha, poi, considerato che tali danni non erano così
irrilevanti da indurre l’imputato ad escludere a priori che qualche soggetto coinvolto nel
tamponamento non si fosse infortunato, dato che l’allarme destato dalla situazione era
dimostrato dal comportamento del teste Traversi, il quale era sceso immediatamente dalla
propria vettura per accertarsi delle condizioni di salute della Giorgi trovandola piuttosto
confusa e frastornata. Dunque sia i danni riportati dall’autovettura dell’imputato che il suo
comportamento dopo l’urto dimostravano che egli aveva omesso volontariamente di accertarsi
delle conseguenze del suo operato, allontanandosi repentinamente per sfuggire alle sue
responsabilità. Infine la corte territoriale ha dato conto del fatto che i testi Giorgi e Laurenti
avevano riferito che l’auto del Nobili aveva affiancato per un momento quella tamponata e che
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decisione stessa è fondata, a disposizione delle parti e segna i tempi della impugnazione in

l’imputato aveva dato un’occhiata derisoria essendosi poi subito allontanato facendo una
gimcana madornale; si doveva, dunque, ritenere smentito quanto dichiarato dal Nobili, ovvero
che egli aveva affiancato la vettura della Giorgi per esortarla a prendere il suo numero di
targa, dovendosi allontanare velocemente. Da ciò consegue che non sussiste il dedotto vizio di
motivazione derivante da travisamento della prova e che le doglianze della ricorrente sono
volte meramente ad introdurre un nuovo giudizio di merito che è precluso in questa sede.
3. Va rilevato che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta

preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma
dell’art. 129 cod. proc. pen.. Dunque, benché nel caso che occupa risulti spirato il termine di
prescrizione dopo la pronuncia della sentenza impugnata, l’inammissibilità del ricorso preclude
il rilievo della prescrizione (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266).
Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa del ricorrente (Corte Cost., sent. 7-13
giugno 2000, n. 186), consegue la condanna del ricorrente medesimo al pagamento delle
spese processuali e di una somma, che congruamente si determina in mille euro, in favore
della cassa delle ammende.

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 16 giugno 2015.

infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e

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