Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26295 del 04/06/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 26295 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PARTINICO DOMENICA, nata il 19/10/1971
avverso la sentenza n. 89/2014 CORTE APPELLO di PALERMO, del
09/01/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FRANCESCO MAURO
IACOVIELLO che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per la ricorrente il difensore Avv. EUGENIO PASSALACQUA del foro di
miss stretta che ha chiesto raccoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 9/1/2014 la Corte d’appello di Palermo, accogliendo
l’appello del PM e della parte civile, in riforma della sentenza assolutoria di
primo grado, dichiarava Domenica Partinico colpevole del delitto di omicidio
colposo, aggravato dalla violazione delle norme sulla disciplina della
circolazione stradale, in relazione al sinistro occorso lungo la strada di Ponente
di Lampedusa il 20/5/2007, in conseguenza del quale perdeva la vita Giuseppe
Esposito.

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Data Udienza: 04/06/2015

L’incidente si era verificato in pieno giorno in un tratto stradale
extraurbano, a doppio senso di marcia, largo mediamente 7,60 m, pianeggiante
e rettilineo, allorquando il motociclo Ducati 750 condotto dall’Esposito, che
procedeva in direzione del centro abitato ad una velocità di 80-90 km/h,
superiore al limite di 40 km/h previsto in quel tratto, urtava con la fiancata
destra l’angolo posteriore destro del vano carico del furgone Nissan Primastar
condotto dalla Partinico, il quale si trovava in posizione quasi trasversale
rispetto al senso di marcia; in conseguenza dell’urto il giovane motociclista

cinta latistante e poi sulla sede stradale.
Il furgone si trovava in quella posizione in quanto impegnato in una
manovra di inversione di marcia. La sua conducente, infatti, che poco prima
stava percorrendo la strada in direzione opposta verso la località balneare di
Isola dei Conigli insieme con il figlio e il nipote di 5 e 11 anni, essendosi accorta
di aver dimenticato a casa i braccioli da mare del proprio bambino e avendo
deciso di tornare a casa per prenderli, aveva intrapreso la predetta manovra
ritenendo di poter a tal fine sfruttare un varco sterrato tra i muretti a secco
presenti sul lato opposto della carreggiata.
I carabinieri intervenuti sul luogo dell’incidente avevano rinvenuto il mezzo
con la parte anteriore in tale area sterrata e con la rimanente occludere, quasi
ortogonalmente, la parte della carreggiata stradale percorsa da chi, come
l’Esposito, sopraggiungeva da ponente.
Ciò premesso, osservava la Corte che l’argomento posto a base della
sentenza assolutoria – secondo cui non vi era prova che al momento della
collisione il furgone si stesse muovendo in retromarcia per completare la
manovra di inversione e non fosse piuttosto fermo come sostenuto
dall’imputata – era da considerarsi inconferente, posto che, anche in tale ultima
ipotesi, la condotta della Partinico palesava, comunque, profili di colpa in
collegamento causale con l’evento.
Quella posta in essere era, infatti, una manovra intrinsecamente pericolosa
che, per quanto non specificamente vietata, richiedeva particolari accortezze e
precauzioni e poteva peraltro essere evitata, stante l’esistenza pochi chilometri
più avanti di una rotatoria che avrebbe consentito di effettuare l’inversione di
marcia in tutta sicurezza. A maggior ragione errata si era rivelata la scelta di
operare la manovra in quel tratto stretto e costeggiato da muretti a secco e
l’idea di sfruttare a tal fine un varco sterrato, dimostratosi in realtà angusto e
impraticabile. Per di più era emerso che l’imputata aveva affrontato una siffatta
manovra addirittura conversando con í minori che erano con lei per decidere la
loro destinazione finale, rallentando così le operazioni nell’incertezza se

perdeva il controllo del veicolo e andava rovinosamente a sbattere sul muro di

effettivamente tornare indietro oppure riprendere la marcia verso il mare, con
la conseguenza di prolungare l’ingombro della carreggiata. Tutto ciò in
violazione della norma di cui all’art. 140 cod. strada che impone agli utenti
della strada di comportarsi in modo da non costituire pericolo od intralcio alla
circolazione e da salvaguardare in ogni caso la sicurezza stradale.
Soggiungeva, peraltro, la Corte territoriale, che la colpa dell’imputata era
individuabile anche alla stregua del percorso argomentativo seguito dal primo
giudice, ritenendo al riguardo non condivisibile il convincimento di quest’ultimo

stesse muovendo in retromarcia.
Rilevava, infatti, che all’opposto convincimento conducevano i seguenti
elementi: la leva del cambio del furgone era stata trovata inserita nella
posizione di retromarcia; l’imputata stessa, nel corso del suo esame, aveva
riferito che voleva svoltare in quella piazzola sterrata per tornare a casa e che,
scorte le pietre che ostruivano il percorso, aveva dovuto cambiare programma;
le ruote anteriori risultavano sterzate verso sinistra, sicché null’altro era
possibile fare se non tornare indietro per togliersi da quella difficile posizione;
l’imputata aveva affermato che in quel frangente stava guardando alla sua
sinistra i veicoli percorrenti la corsia opposta a quella della vittima, sicché può
presumersi che la stessa non avesse individuato potenziali fattori di rischio
provenienti dalla direzione di ponente ed avesse ritenuto erroneamente di
avere via libera per operare la retromarcia.
Soprattutto, secondo la Corte, militava nel senso predetto il seguente
argomento di carattere logico: era emerso pacificamente che, nel mezzo della
intrapresa manovra, il furgone rimase fermo essendo gli occupanti impegnati a
discutere se ultimare l’inversione di marcia o se proseguire verso il mare pur in
mancanza dei braccioli; ciò posto era illogico, secondo la Corte, ritenere che ciò
fosse accaduto quando il furgone si trovava nella posizione in cui fu poi
rinvenuto dai carabinieri subito dopo l’incidente, la quale ostruiva per oltre il
SO% l’intera sede stradale e integralmente la semicarreggiata percorsa
dall’Esposito; era piuttosto ragionevole ipotizzare che il breve conciliabolo tra
gli occupanti del veicolo fosse avvenuto quando questo si trovava quasi per
intero nella piazzola sterrata e che solo successivamente esso sì fosse mosso in
retromarcia per immettersi nella strada pubblica, così da fermarsi nel punto in
cui venne poi rinvenuto dagli agenti.
Osservava al riguardo che il contro argomento proposto dalla difesa,
secondo cui il furgone era stato trovato in quella posizione in quanto sospintovi
dal violento urto laterale con il motociclo, si palesava infondato e, comunque,
irrazionale, sia perché non erano stati trovati segni di vernice della moto sulla

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circa la mancanza di prova del fatto che al momento della collisione essa si

carrozzeria dell’angolo posteriore destro del furgone (ciò a conferma che l’urto
era avvenuto di striscio), sia comunque perché non era possibile ipotizzare che
in tal modo l’autocarro avesse potuto subire un apprezzabile spostamento o
addirittura una sorta di rotazione.
Convergenti indicazioni in tal senso erano infine desumibili, secondo i
giudici di secondo grado, anche dalle deposizioni dei testi Pioppi e Giacopelli, i
quali, quel giorno, si stavano dirigendo anche loro verso la predetta località
balneare a bordo di uno scooter e avevano pertanto assistito all’incidente da

furgone invadere con la parte posteriore solo metà della corsia percorsa dal
motociclista; il Pioppi poi, visionando le fotografie esibitegli che ritraevano la
posizione del furgone dopo l’incidente, ,aveva precisato che, rispetto alla
posizione mostrata da quella foto, quella da lui direttamente percepita era più
avanzata verso il varco sterrato posto – al margine della carreggiata. Lette tali
affermazioni unitamente a quella, resa da entrambi i testi, secondo cui al
momento dell’impatto il furgone era fermo, se ne ricavava – secondo la Corte che detto mezzo aveva operato un movimento all’indietro occupando
ulteriormente la sede stradale in retromarcia.
Osservava infine la Corte che, soltanto ipotizzando la suddetta manovra di
retromarcia, la dinamica dell’incidente troverebbe una logica e compiuta
spiegazione. Se infatti il furgone fosse rimasto fermo, come sostenuto dalla
difesa, il motociclista avrebbe avuto a disposizione uno spazio più che
sufficiente per scartare senza pericoli l’ostacolo; ciò spiegherebbe perché non
siano state rinvenute tracce di frenata o di sbandamento, potendosi ipotizzare
che l’Esposito, proprio per aver in lontananza visto il furgone fermo nella
posizione predetta, abbia ritenuto di poterlo scansare senza neppure
decelerare, confidando (sia pure imprudentemente) su uno spazio di manovra
sufficiente; soltanto un’improvvisa retromarcia, anche di pochi decimetri,
spiegava quindi il motivo per cui lo spazio libero nella sede viaria si sia invece
rivelato insufficiente tanto da rendere inevitabile la collisione (viene in tal senso
richiamata in sentenza la relazione del consulente tecnico del PM secondo cui, a
ritenere vera la versione dell’accaduto resa dall’imputata, si dovrebbe
ipotizzare, irragionevolmente, un errore di distrazione del motociclista – tale da
non farlo accorgere della presenza dell’autocarro che occupava trasversalmente
quasi mezza carreggiata – o, addirittura, una sorta di intenzione suicida).
In ragione di ciò riteneva, pertanto, la Corte, ascrivibile all’imputata anche
la violazione delle norme dettate dall’art. 145, comma 6, e 154, comma 3 lett.
c), cod. strada, per essersi immessa nella strada pubblica, in retromarcia,
senza dare la precedenza al ciclomotore.

una distanza di circa 200/300 m. Essi, infatti, avevano affermato di aver visto il

Reputava peraltro configurabile in capo alla stessa vittima, per la grave
violazione del limite di velocità, un concorso di colpa, nella misura
preponderante del 60%, ragione per cui concedeva all’imputata le attenuanti
generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante e la
condannava alla pena di sei mesi di reclusione oltre che, in solido con la
responsabile civile Fondiaria Sai S.p.A., al risarcimento dei danni in favore della
costituita parte civile Esposito Francesco e al pagamento in favore della stessa
di una provvisionale di euro 40.000, al cui pagamento, entro il termine di sei
mesi dal passaggio in giudicato, subordinava il concesso beneficio della
sospensione condizionale della pena.

2. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l’imputata, per
mezzo del proprio difensore, sulla base di cinque motivi.

2.1. Con il primo motivo deduce inosservanza di norme processuali
stabilite a pena di nullità, per difetto di correlazione tra l’imputazione
contestata e la sentenza di condanna, nella parte in cui la stessa è fondata,
indipendentemente dall’accertamento positivo dell’esecuzione della manovra di
retromarcia per la quale si muoveva rimprovero in imputazione, sulla condotta
di guida tenuta in precedenza e, in particolare, sulla manovra di inversione
compiuta e sulla successiva fermata del veicolo nella posizione in cui è stato
attinto dalla motocicletta.
Rileva che in realtà l’ipotesi accusatoria faceva specifico riferimento alla
manovra di retromarcia e che a tale contestazione la Corte territoriale avrebbe
dovuto rigorosamente attenersi nel rispetto del diritto di difesa.
Contesta al riguardo l’affermazione contenuta in sentenza secondo cui si
tratterebbe di «elementi emersi nel corso del dibattimento di primo grado,
peraltro proposti in larga misura dalla stessa difesa e rispetto ai quali si è
ampiamente formato il contraddittorio fin dal primo grado di giudizio»,
osservando di contro che, mai, nel corso dell’istruzione dibattimentale, si è
posto un problema di causalità della citata inversione rispetto al sinistro e
tantomeno esso è stato posto dalla difesa, come dimostra il fatto che lo stesso
giudice di primo grado non ne ha fatto cenno nell’iter argomentativo che ha
condotto alla sua decisione.

2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione all’affermazione di penale responsabilità, in quanto
fondata su tale antecedente condotta di guida.

:

Premesso che questa si colloca in una fase del tutto arretrata rispetto al
momento dell’incidente ed ha al più valore descrittivo del contesto in cui il
sinistro è maturato, deduce che comunque la stessa non ha violato alcuna
regola cautelare posto che, ai sensi dell’art. 157 cod. strada, è consentito nelle
strade extraurbane, ove non sia presente alcuna corsia d’emergenza, accostarsi
sul margine estremo destro della carreggiata e lì arrestare temporaneamente il
veicolo, senza che possano assumere alcun rilievo le ragioni che determinano a
tale fermata. Né, secondo la ricorrente, può ravvisarsi violazione della norma

elevata distanza dall’uscita della curva precedente, su un tratto di strada di
natura rettilinea, in condizioni di visibilità ideali e in assenza, al momento del
sinistro, di altri veicoli che ingombrassero la restante parte della carreggiata.

2.3. Con il terzo motivo deduce ancora violazione di legge e vizio di
motivazione per non avere la Corte d’appello attribuito efficacia causale
esclusiva alla condotta assolutamente spericolata della stessa vittima, in quanto
consapevolmente e volontariamente votata al rischio.

2.4. Con il quarto motivo deduce vizio di motivazione per travisamento di
prova e violazione dell’art. 533 cod. proc. pen., in relazione alla affermazione
secondo la quale l’imputata ebbe nell’occorso a spostarsi in retromarcia nei
momenti immediatamente antecedenti sinistro.
Rileva che l’affermazione secondo cui tale circostanza sarebbe confermata
anche dalle deposizioni dei testi Pioppi e Giacopelli non trova rispondenza nei
relativi verbali, posto che i suddetti testi non hanno mai parlato di una manovra
di retromarcia del furgone prima dell’impatto e hanno anzi al contrario sempre
affermato di aver visto il furgone fermo. Censura al riguardo anche l’argomento
tratto in sentenza dal difforme ricordo riferito dai testi circa la posizione del
furgone quale raffigurata nelle foto ad essi esibite, rispetto a quella da essi
percepita e ricordata, richiamando al riguardo le plausibili spiegazioni date dal
giudice di primo grado, solo parzialmente esaminate dalla Corte e dalla stessa
pertanto rigettate con motivazione carente.
Soggiunge che è altresì frutto di travisamento di prova l’affermata
insussistenza di segni di vernice della moto sulla carrozzeria del furgone, il
contrario desumendosi dalla relazione del consulente tecnico del PM.
Lamenta, infine, violazione dell’art. 6 CEDU per avere la Corte omesso di
procedere alla rinnovazione della prova, siccome ritenuto necessario dalla Corte
di Strasburgo in ipotesi di ribaltamento della sentenza assolutoria di primo
grado.
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cautelare di cui all’art. 140 cod. strada, trattandosi di fermata eseguita a

Soggiunge che tali vizi e carenze argomentative non consentono di ritenere
soddisfatto l’onere di motivazione rafforzata imposto in caso di riforma della
sentenza assolutoria di primo grado e comportano violazione del criterio di
giudizio dettato dall’art. 533, comma 1, cod. proc. pen., non potendosi ritenere
dimostrata l’insostenibilità e l’irragionevolezza della opposta valutazione
espressa dal primo giudice.

2.5. Con il quinto motivo, infine, deduce violazione di legge e vizio di
motivazione per avere la Corte d’appello omesso di rilevare la irregolarità della
costituzione di parte civile e/o comunque di provvedere alla esclusione della
stessa, per effetto dell’anteriore esercizio dell’azione di danno in sede civile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. È infondato il primo motivo di ricorso.
Il principio di correlazione tra accusa e sentenza, per pacifica
giurisprudenza, è violato soltanto quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi,
rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità
sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione,
sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito nei confronti
dell’imputato, posto così, a sorpresa, di fronte ad un fatto del tutto nuovo
senza avere avuto la possibilità di effettiva difesa. Tale principio non è invece
violato quando nei fatti, contestati e ritenuti, si possa agevolmente individuare
un nucleo comune e, in particolare, quando essi si trovino in rapporto di
continenza (cfr., tra le tante, Sez. 4, n. 16422 del 29/01/2007, Di Vincenzo,
non massimata).
Ciò è, nella specie, consentito affermare atteso che il profilo di colpa
specifica accertato in sentenza è certamente riconoscibile nella descrizione
dell’addebito quale contenuta in imputazione.
Non può, infatti, dubitarsi che il rimprovero, testualmente ricavabile dal
imputazione, di aver impegnato la carreggiata stradale in violazione delle
norme sulla disciplina della circolazione stradale, in sé, indipendentemente dal
precedente specifico riferimento alla manovra di retromarcia, comprende
qualsiasi antecedente fattuale che abbia portato il mezzo a determinare quella
situazione dì impegno della sede stradale, la quale pertanto ben può
considerarsi tema di giudizio del quale l’imputato deve ritenersi investito in
relazione ai suoi oneri e interessi difensivi.
Appare in ogni caso dirimente il rilievo che, in tema di reati colposi, non
sussiste la violazione del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza di

:

condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata
come colposa (se si fa, in altri termini, riferimento alla colpa generica ovvero a
profili di colpa specifica non limitati a singole norme ma ad un intero complesso
normativo, come accade nella specie attraverso il generico richiamo alla
disciplina della circolazione stradale), eissendo in tal caso consentito al giudice
di aggiungere, agli elementi di fatto cdntestati, altri estremi di comportamento
colposo o di specificazione della colpa,’emergenti dagli atti processuali e quindi
non sottratti al concreto esercizio del iritto di difesa (v. ex multis Sez. 4, n.

Miniscalco, Rv. 257902).

4. È altresì infondato il secondo motivo di ricorso.
Come s’è già detto esaminando il primo motivo, la manovra eseguita
dall’imputata, consistita nell’immettersi, con il furgone da essa condotto, nel
ristretto varco sterrato presente sul margine opposto della carreggiata, al fine
di invertire la direzione di marcia, lungi dal potersi considerare mero
antecedente slegato dal successivo sviluppo dei fatti, costituisce ragione
determinante dell’essersi il furgone trovato nella posizione che ha cagionato il
sinistro, tale da impegnare – come incontestabilmente evidenziato in sentenza,
sulla base degli accertamenti operati – per metà l’intera carreggiata e
interamente la parte di essa destinata al transito dei veicoli diretti verso il
centro, direzione percorsa dalla vittima.
Ciò detto sul piano della rilevanza causale di tale manovra rispetto
all’evento, non può poi dubitarsi che la stessa costituisca palese violazione delle
norme di prudenza e segnatamente di quella basilare, correttamente richiamata
dalla Corte territoriale, posta dall’art. 140 cod. strada che, come già ricordato,
fa obbligo agli utenti della strada di comportarsi «in modo da non costituire
pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso
salvaguardata la sicurezza stradale».
Né di contro può, nel descritto contesto fattuale, rilevare il richiamo alla
previsione di cui all’art. 157 cod. strada che, lungi dal confortare la tesi della
correttezza della manovra descritta, ne evidenzia esso stesso un ulteriore
profilo di illiceità.
Ai sensi infatti del terzo comma di tale disposizione, «fuori dei centri
abitati, i veicoli in sosta o in fermata devono essere collocati fuori della
carreggiata …. In caso di impossibilità, la fermata e la sosta devono essere
effettuate il più vicino possibile al margine destro della carreggiata,
parallelamente ad esso e secondo il senso di marcia».
Prescrizioni con ogni evidenza tutt’altro che rispettate nel caso di specie,

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35943 del 07/03/2014, Denaro, Rv. 26 161; Sez. 4, n. 51516 del 21/06/2013,

essendo pacifico che l’ingombrante furgone condotto dall’imputata, lungi dal
porsi più vicino possibile al margine destro della carreggiata «parallelamente ad
esso e secondo il senso di marcia», si è posto trasversalmente alla carreggiata
ostruendola con la sua parte posteriore per metà e quindi impegnando per
intero la parte di essa destinata al transito dei veicoli provenienti dalla sua
destra, quale il motociclo condotto dalla vittima.
Peraltro l’inconferenza di tale richiamo è in radice dimostrata dal fatto che
le dichiarazioni stesse dell’imputata e, comunque, il tipo di manovra posta in

l’intenzione di una inversione di marcia, imprudentemente intrapresa in un
tratto che, per la sua limitata larghezza, non consentiva fosse fatta in sicurezza
e, peraltro, all’esito di una erronea valutazione delle caratteristiche del varco
esistente sul margine opposto che all’uopo si intendeva sfruttare.
In tale contesto, norma di riferimento è semmai da considerare, oltre al già
sopra richiamato art. 140 cod. strada, quella dettata dal primo comma dell’art.
154 cod. strada a mente del quale «i conducenti che intendono eseguire una
manovra … per invertire il senso di marcia … o per immettersi in un luogo non
soggetto a pubblico passaggio, ovvero per fermarsi, devono: a) assicurarsi di
poter effettuare la manovra senza creare pericolo o intralcio agli altri utenti
della strada, tenendo conto della posizione, distanza, direzione di essi»:
prescrizioni tutte che, per le ragioni dette, e in più per le incertezze e
disattenzioni mostrate nel corso della manovra, devono ritenersi palesemente
violate.

5. È altresì infondato il terzo motivo di ricorso.
Incensurabile appare infatti sul piano della motivazione, e conforme ai
principi di diritto applicabili alla fattispecie, l’affermazione contenuta in
sentenza secondo cui «la velocità di marcia dell’Esposito, per quanto eccessiva,
non può considerarsi elemento imprevedibile ed eccezionale idoneo da solo
determinare l’evento, bensì come causa concorrente che, ai sensi del primo
comma dell’art. 41 c.p., non esclude il rapporto di causalità».
Varrà al riguardo rammentare che, come questa Corte ha più volte avuto
modo di affermare, quando il conducente pone in essere un fattore causale
originario di rischio dei successivi eventi collisivi, l’eventuale condotta colposa
(eccessiva velocità, mancato rispetto della distanza di sicurezza) dei guidatori
dei veicoli sopraggiunti, seppure sinergica, non può ritenersi da sola sufficiente
a determinare l’evento tutte le volte in cui non sia qualificabile come atipica ed
eccezionale ma sia collocabile nell’ambito della prevedibilità. Essa potrà al più
essere considerata alla stregua di un concorso colposo nella determinazione

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essere, lungi dall’evocare una fermata ai margini della strada, attestano

t

dell’evento (v. Sez. 4, n. 10676 del 11/02/2010, Esposito, Rv. 246422).
Solo quando la condotta deji’utente della Stia—di favorii() daí —”diatto tu
precedenza assuma i caratteri dell’abnormità, eccezionalità ed imprevedibilità,
essa diviene fattore causale esclusivo della produzione dell’incidente andando a
frapporsi nel rapporto causale esistente fra la condotta colposa del veicolo
gravato dall’obbligo di precedenza e l’evento dannoso, recidendolo, ed
assurgendo a causa esclusiva del sinistro stradale, non potendosi formulare in
tal caso alcun addebito di colpa al conducente gravato dalla regola di condotta

Né può ritenersi escluso il nesso causale con l’evento dannoso in ragione
dell’affidamento riposto nel comportamento del conducente antagonista, ovvero
nell’aspettativa che questi possa essere in grado di fronteggiare le conseguenze
dell’altrui illecita condotta. In tema di rapporto di causalità non può parlarsi di
affidamento quando colui che si affida sia in colpa per aver violato determinate
regole precauzionali o per aver omesso determinate condotte confidando che
altri rimuova quella situazione di pericolo o adotti comportamenti idonei a
prevenirlo; in tal caso, difatti, l’omessa attivazione dell’altro non si configura
come fatto eccezionale ed imprevedibile sopravvenuto, da solo sufficiente a
produrre l’evento (Sez. 4, n. 38671 del 28/09/2009, Pradolin, Rv. 244886).
La misura della diligenza che si pretende nel campo della circolazione dei
veicoli è massima, richiedendosi a ciascun utente, al fine di controbilanciare la
intrinseca pericolosità della specifica attività considerata, peraltro
assolutamente indispensabile alla vita sociale e sempre più in espansione, una
condotta di guida di assoluta prudenza della quale fa parte anche l’obbligo di
preoccuparsi delle possibili irregolarità di comportamento di terze persone. Il
principio dell’affidamento dunque, nello specifico campo della circolazione
stradale, trova un opportuno temperamento nell’opposto principio, secondo cui
l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente di
altri utenti purché rientri nel limite della prevedibilità (v. ex multis Sez. 4, n.
27350 del 23/05/2013, Feliziani, non massimata; Sez. 4, n. 17481 del
14/02/2008, Notarnicola, non mass.).
È in altre parole prescritta non solo l’astensione dalla proprie imprudenze
ma anche l’obbligo di prevedere e neutralizzare le disattenzioni altrui con un
comportamento di particolare prudenza che sia idoneo a fronteggiare le insidie
della altrui inosservanze.
Proprio in ragione di tali principi, la velocità, per quanto elevata e
notevolmente superiore ai limiti in concreto vigenti, raramente può ritenersi
evento imponderabile ed imprevedibile, rientrando invece nel novero di quei
comportamenti irregolari, insieme all’inosservanza delle distanze di sicurezza o

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in quanto l’incidente non è non causalmente riconducibile ad essa.

alle manovre improprie in caso di incidenti stradali o di altri impedimenti, che si
verificano nella circolazione stradale con estrema frequenza e che pertanto
devono essere messi in contro dal conducente del veicolo antagonista (v. Sez.
4, n. 12224 del 19/06/2006, dep. 2007, Cordella, Rv. 236185).
Alla stregua di tali considerazioni le censure mosse dalla ricorrente
appaiono del tutto prive di fondamento posto che la velocità del motociclista,
per quanto elevata, non presenta i caratteri di assoluta imprevedibilità, come
sopra illustrato, e non può ritenersi dì per sé sola sufficiente alla produzione

manovra di inversione di marcia effettuata dal ricorrente, senza la quale non si
sarebbero neppure verificate le condizioni della collisione.

6. Le considerazioni che precedono, valendo comunque a confermare la
correttezza del primo dei due alternativi fondamenti motivazionali del
impugnata decisione, assorbono e rendono ultroneo l’esame degli ulteriori
motivi, irrípingenti il secondo di tali percorsi argomentativi.
Rimane anche confutato l’assunto del ricorrente secondo cui la Corte non
avrebbe soddisfatto il particolare onere motivazionale imposto in caso di
ribaltamento della sentenza assolutoria di primo grado, rinvenendosi in
sentenza ampia ed esaustiva considerazione delle motivazioni poste a
fondamento della sentenza di primo grado, nella quale non si rinvengono
comunque argomenti di segno opposto idonei a porre in dubbio la correttezza
del diverso approdo dei giudici di secondo grado.
Con riferimento al detto primo fondamento motivazionale la sentenza di
primo grado osserva invero che: a) la manovra di inversione in quel tratto non
era vietata, quindi l’aver posto in essere un antecedente della serie causale non
è dì per sé colpevole; b) il fatto di essersi posta in quella condizione obbligava
l’imputata solo a rimanere ferma per dare precedenza agli altri utenti; c) tanto
risulta aver fatto (seconda parte della motivazione, dedicata alla questione
della retromarcia, su cui appresso si tornerà: v. par. 7); d) la vittima poteva e
doveva avvedersi dell’ostacolo ed evitarlo.
Il primo di tali postulati si appalesa però non conforme ad una corretta
interpretazione delle norme in tema di circolazione stradale, quali sopra
richiamate e per le ragioni già illustrate.
Giova in tal senso evidenziare che la giurisprudenza richiamata dal primo
giudice a supporto della accolta tesi in realtà non la convalida affatto ma anzi la
contrasta.
In particolare il precedente di Sez. 4, n. 24079 del 14/04/2004, Silvestri,
rv. 228591, è citato a sproposito, poiché questo afferma soltanto che la

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dell’evento dannoso, la cui eziologia deve essere invece ricercata nell’azzardata

condotta pericolosa dell’utente fermo a margine della strada (in quel caso la
vittima) non esclude il concorso di colpa dell’utente favorito in quanto
prevedibile, ma non afferma certo che quella condotta non possa considerarsi
colpevole.
Le affermazioni sub b) e d) si appalesano poi destituite di fondamento o
comunque inconferenti, posto che: i) quanto alla prima, indipendentemente
dalla condotta successivamente tenuta dall’imputata una volta postasi nella
pericolosa posizione descritta, resta innegabile l’efficacia causale dell’essersi

alla seconda, essa vale a descrivere solo il fondamento della colpa della vittima,
che però per le ragioni dette non può considerarsi esclusiva, ossia eccezionale e
imprevedibile, tale da interrompere il nesso causale con la condotta
dell’imputata.

7. Può comunque

ad abundantiam

rilevarsi che anche il secondo

fondamento motivazionale si appalesa anch’esso ampiamente argomentato ed
esente da censure.
In particolare, la valutazione al riguardo della Corte non può ritenersi
inficiata dalla mancata rinnovazione dell’esame dei testi Pioppi e Giacopelli
palesandosi al riguardo non pertinente il_richiamo al principio affermato dalla
sentenza della Corte Europea del 5 luglio 2011 resa nel caso Dan ci Moldavia,
circa la necessità di risentire i testi nel caso di ribaltamento di sentenza
assolutoria in sentenza di condanna.
Secondo tale principio, invero, il giudice di appello, qualora intenda riformare in peius una sentenza di assoluzione, è obbligato in base all’art. 6 CEDU così come interpretato dalla Corte di Strasburgo – alla rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale per escutere, nel contraddittorio con l’imputato, i
testimoni a carico, «quando la prova testimoniale abbia carattere di decisività
ed il giudice di appello avverta la necessità di rivalutare l’attendibilità del teste»
(v., in tal senso, Sez. 5, n. 47106 del 25/09/2013, Donato, Rv. 257585).
La rinnovazione non è, invece, necessaria quando il giudice d’appello fondi
il proprio convincimento su altri elementi di prova trascurati dal primo giudice e
si limiti a fornire una lettura coerente e logica del compendio probatorio non
valutato nella sua interezza nella decisione impugnata (cfr. Sez. 3, n. 45453 del
18/09/2014, P., Rv. 260867; Sez. 5, n. 16975 del 12/02/2014, Sirsi, Rv.
259843; Sez. 5, n. 8423 del 16/10/2013, dep. 2014, Caracciolo, Rv. 258945).
Nel caso di specie il convincimento espresso sul detto tema dalla Corte
d’appello, difforme da quello del giudice di primo grado, si rivela per l’appunto
fondato, più che su una diversa ponderazione dell’attendibilità dei testi Pioppi e

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per l’appunto messa in condizioni di creare intralcio alla circolazione; li) quanto

Giacopelli, su una rilettura delle indicazioni desumibili dalle loro affermazioni inalterate nel loro contenuto – rispetto agli altri argomenti di carattere logico
desumibili dagli altri elementi e da una coerente e plausibile lettura combinata
degli stessi.

8. Quanto infine alla dedotta violazione delle norme in tema di costituzione
di parte civile, l’allegazione appare generica e comunque infondata.
La parte civile risulta infatti regolarmente costituita in primo grado.

né priva di effetti la successiva costituzione in sede penale, per l’esercizio
dell’azione di danno fondata sul medesimo fatto, producendo questa sernmai
l’effetto opposto di determinare la rinuncia agli atti del giudizio civile (art. 75
cod. proc. pen.), non risultando prospettata né tanto meno documentata la
maturazione del termine ultimo previsto dalla citata norma per il trasferimento
dell’azione civile nel processo penale.

9.

Il ricorso va pertanto rigettato, conseguendone la condanna della

ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 4/6/2015

La precedente instaurazione di controversia civile non rende, poi, invalida

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