Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26290 del 21/05/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 26290 Anno 2015
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

Data Udienza: 21/05/2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COLLEONI ROBERTO N. IL 13/07/1958
PIOL FRANCESCA CATERINA N. IL 08/09/1971
avverso la sentenza n. 7654/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
20/06/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI
Udito il Procuratore Gperale in persona del Dott.
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Ritenuto in fatto

Con sentenza in data 22 aprile 2013 il Tribunale di Como assolveva con la
formula perché “il fatto non sussiste” COLLEONI Roberto e PIOL Francesca
Caterina, nella qualità di medici in servizio presso l’Ospedale Valduce della stessa
città, dal delitto di omicidio colposo in danno di ARLOTTA Mathias, uno dei
gemelli partoriti da RE Monica, ivi ricoverata, deceduto il 26 maggio 2010,

Ai sanitari è stato contestato di avere ritardato il taglio cesareo nonostante il
continuo peggioramento del quadro clinico della madre, della quale erano noti tre
fattori di rischio: obesità, familiarità per il diabete ed ipertensione, che avrebbe
dovuto indurli ad anticipare il parto cesaro, oltre alla natura monocoriale (con
una sola placenta) e biamniotica (cioè con due sacchi amniotici) della gravidanza
cellulare.

La scelta terapeutica operata dagli imputati si sarebbe rivelata fatale atteso che,
procedendo al taglio cesareo di emergenza effettuato il 26 maggio, il neonato era
stato estratto morto per ipossia anemica acutissima cagionata da una sindrome
di trasfusione feto fetale peripartum e da una corioamniosite granulocitaria.

La Re era stata ricoverata in ospedale nella serata del 23 maggio del 2010; nella
mattina del giorno dopo era stata iniziata l’induzione con applicazione di
prostaglandine; il 25 maggio alle ore 9,30, non risultando il primo metodo
efficace, era stato proseguito il protocollo mediante amnioressi ( cioè la rottura
del sacco amniotico di uno dei gemelli); alle successive ore 16, in considerazione
dei risultati non soddisfacenti, era iniziata la perfusione di ossiticina. Il
26.5.2010, alle ore 2, 34, essendo stato riscontrato un improvviso calo del
battito cardiaco del primo gemello, la paziente era stata sottoposta ad intervento
di taglio cesareo, all’esito del quale, il primo dei due gemelli, che presentava una
marcatissima anemia, era nato morto, mentre l’altro, che pure presentava una
marcatissima iperpolicitemia, era nato vivo e vitale.

Secondo la lettura dei dati fornita dal primo giudice, l’insufficienza probatoria in
atti con riferimento al nesso di causalità non consentiva di superare la
sussistenza di ragionevoli dubbi in ordine alla salvificità della condotta alternativa
ipotizzata; parimenti le emergenze istruttorie avrebbero imposto una valutazione
negativa, quantomeno in termini di ragionevole dubbio, in ordine alla sussistenza
dell’elemento soggettivo.
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all’esito del parto cesareo cui era stata sottoposta la madre.

I passaggi della sentenza di primo grado, che si confrontano con la ipotesi
accusatoria, possono così riassumersi:

la causa della morte del gemello, come emerge dalla consulenza anatomo
patologa svolta dal PM in sede di indagini preliminari, era da individuarsi in una
sindrome di trasfusione feto-fetale ( TTTS) insorta acutamente nel periodo

istologicamente sulla placenta: marcata iperemia in una metà e spiccata anemia
nell’altra.
Tale sindrome, secondo la letteratura scientifica accreditata, costituisce uno dei
maggiori rischi connessi alla gravidanza gemellare monocoriale bi amniotica, in
cui il sangue viene distribuito in modo diseguale e talora fortemente sbilanciato.
Nel caso in esame la MS, secondo il CT del PM, sarebbe esordita,con
imponente trasfusione sanguigna da un gemello all’altro, alle ore 2,13 del
26.5.2010, in corrispondenza di un calo improvviso di battito cardiaco del
gemello impegnato nel canale di parto; durante l’esame dibattimentale la CT
confermava che la trasfusione peripartum aveva costituito un evento improvviso
ed acutissimo durante l’ultima fase del prolungato travaglio; l’esame placentare
aveva riscontrato anche i segni obiettivi di coriamniosite granulocitaria, con
probabile ruolo concausale nell’evento letale.
Tali conclusioni erano state condivise dal perito del GUP e dalla consulente della
difesa;

– il perito nominato dal GIP ( dott. Molteni) riteneva la colpa degli imputati, sul
rilievo che già alle ore 10,16 del 25 maggio il tracciato cardiotocografico
presentava una netta divaricazione tra i tracciati dei due gemelli, tale da indurre
il perito a concludere che la TTTS fosse esordita in tale momento; ulteriori
elementi di responsabilità erano individuati nella sottovalutazione del rialzo della
temperatura corporea della madre e nella circostanza che il parto si presentava
distocico;

– è stata esclusa dal primo giudice la prevedibilità dell’evento morte da parte
degli imputati e, quindi, la possibilità in concreto da parte degli stessi di percepire
i sintomi clinici della MS o della coriamniosite, alla luce delle dichiarazioni rese
dallo stesso perito Molteni all’udienza del 21.12.2012 e di quelle rese dal
consulente della difesa; la rivisitazione delle conclusioni peritali è stata fondata
sui chiarimenti forniti dallo stesso perito sui pregnanti limiti interpretativi ex post
delle risultanze del tracciato cardiotocografico e sulla valutazione dallo stesso

peripartum: tali conclusioni erano fondate sulla discrepanza vascolare riscontrata

espressa, precisando che da un tracciato come quello in esame “il clinico avrebbe
dovuto rimanere in osservazione” al fine di valutare se altri indizi sintomatici
indicassero la necessità di effettuare il taglio cesareo; tale contraddittorietà sulla
valenza diagnostica del tracciato tocografico, secondo il primo giudice, aveva
infirmato alcuni dei presupposti del ragionamento del perito circa il momento in
cui i sintomi della sindrome erano univocamente significativi e dovevano indurre i
sanitari ad intervenire con il parto cesareo. Ciò tenuto anche conto della rettifica
dallo stesso perito operata circa il momento di inizio del travaglio, non più fatto

risalire in ora antecedente alle 19-19,30 e sui tempi di dilatazione cervicale della
partoriente, che alle due di notte era completamente dilatata, dovendo da ciò
ritenersi quantomeno revocato in dubbio che il parto dovesse essere definito
distocico, in conformità a quanto sostenuto dalla consulente della difesa;
– sulla valenza del tracciato tocografico è stato sottolineato che solo il tracciato
patologico deve ritenersi univocamente sintomatico di malessere fetale e che nel
caso in esame lo stesso perito aveva affermato che il tracciato era stato
“patologico” solo nella fase terminale del travaglio ( intorno alle ore 2 del 26
maggio) quando si erano manifestate decelerazioni e bradicardia; sotto questo
profilo, il primo giudice ha evidenziato la contraddittorietà delle dichiarazioni rese
dal perito in udienza secondo le quali il tracciato sarebbe già stato patologico alle
ore 22,25 del 25 maggio- mentre nessuna censura era stata rivolta dal perito
sulle modalità di esecuzione del monitoraggio;
– lo stesso perito aveva affermato che i fattori di rischio della madre non
avevano avuto alcun rilievo causale in ordine alla morte del neonato e che, anzi,
gli stessi deponevano nel senso di evitare, per quanto possibile, il parto cesareo
della Re;
– nello stesso senso di insufficienza probatoria deponeva il rialzo termico della
Re, in quanto, oltre l’assenza di univoci indizi di sofferenza fetale, si stava
manifestando in persona che era in terapia antibiotica per ascesso dentale.

Le considerazioni sovraesposte erano applicabili, secondo il primo giudice, con
forza logica ancora più stringente nei confronti della Piol, cui erano addebitabili
solo le decisioni cliniche poste in essere sino alle ore 20 del 25 maggio.

I giudici di appello, su ricorso del PG e delle parti civili, disattendevano tale
impostazione ed affermavano la penale responsabilità di Colleoni e, concesse le
attenuanti generiche, lo condannavano alla pena di mesi quattro di reclusione;
dato atto della rinuncia all’appello del PG nei confronti di Piol, dichiaravano
l’inammissibilità dell’appello nei confronti della medesima ed accogliendo
l’impugnazione della parte civile, dichiaravano l’imputata responsabile agli effetti

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civili, condannandola, unitamente al primo, al risarcimento dei danni in favore
delle parti civili, alle quali assegnava, in via provvisionale, le somme ivi indicate.

A fondamento del giudizio di responsabilità, la Corte di merito poneva le
conclusioni della CTU, come integrata dalle dichiarazioni rese dal CTU in sede di
audizione, ritenute in grado di rispondere ai rilievi dei consulenti di parte e di
spiegare le diverse proprie conclusioni. In questa prospettiva, sono state
riportate le conclusioni del CTU afferenti le condizioni di rischio della donna che

indicavano già dalle ore 20,a1 momento del cambio del turno di guardia, il
momento opportuno per ricorrere in via precauzionale ad una estrazione
chirurgica dei gemelli, in presenza di un tracciato non normale e di una evidente
distocia dinamica.

Quanto al nesso di causalità, si sostiene, richiamando sempre la CTU, ritenuta
” maggiormente neutrale”- in quanto “non motivata da intenti accusatori e non
spinta soltanto da intenti difensivi”- ed i principi della sentenza Franzese, che la
diagnosi esatta avrebbe determinato un corretto iter terapeutico in grado di
scongiurare l’evento infausto, mentre la diagnosi errata, evidenziatasi attraverso
la non corretta interpretazione dei sintomi ed il non corretto inquadramento
diagnostico, non aveva consentito l’adozione di idonee misure terapeutiche.

Quanto al giudizio di responsabilità nei confronti della Piol, sia pure ai soli effetti
civili, si affermava che la stessa aveva concorso colposamente nella
determinazione dell’evento in quanto, come emergeva dalla richiamata CTU, alle
ore 20 del 25.5.2010, in presenza di una evidente distocia dinamica, al momento
del cambio di turno, un corretto scambio di idee tra il medico che aveva tentato
l’induzione del travaglio ( Pio!) ed il successore ( Colleoni), avrebbe dovuto far
concludere che in quel momento era più che giustificato, dal punto di vista
clinico, ricorrere, in via precauzionale, ad una estrazione chirurgica dei gemelli.

Avverso la predetta decisione propongono ricorso per cassazione gli imputati
articolando due motivi.

Con il primo motivo lamentano la manifesta illogicità della motivazione sul
rilievo che la Corte territoriale aveva fondato il giudizio di responsabilità sulle
argomentazioni della perizia redatta in fase di incidente probatorio, senza tener
conto delle deposizioni testimoniali avvenute in udienza, tra le quali anche quella
del prof. Molteni, il quale all’udienza del 21.12.2012 aveva modificato quanto
dallo stesso sostenuto in perizia sia con riferimento all’orario in cui, secondo il

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CTU, andava estratto il bambino con il taglio cesareo, sia con riferimento alla
mancata dilatazione in travaglio della madre sia con riferimento all’errore di
diagnosi, del quale dava atto solo in perizia.

Con il secondo motivo si dolgono che la sentenza impugnata aveva illogicamente
trascurato di considerare che la Re, proprio in considerazione della situazione a
rischio in cui si trovava, era stata oggetto di attento monitoraggio da parte dei

considerazione dei fattori di rischio, sopra indicati la forma del parto naturale e
l’induzione dello stesso rispetto al parto cesareo per le complicanze che
quest’ultimo poteva presentare con l’anestesia, come, del resto, segnalato dalla
consulente della difesa e confermato in udienza dal perito dell’incidente
probatorio. Si sostiene, altresì, che la bontà della scelta posta in essere dai
sanitari era confermata dai seri problemi post operatori riscontrati nella madre.

Si evidenzia, altresì, che il neonato, contrariamente a quanto sostenuto
concettualmente in sentenza, era deceduto non per il ritardo nell’intervento ma
per una sindrome di trasfusione feto fetale, insorta in maniera acutissima, come
riferito dalla consulente della difesa nel periodo peripartum, che non aveva dato
segni di evidenza prima e, pertanto, era del tutto imprevista ed imprevedibile.

Anche lo stato febbrile della Re era stato legato del tutto congetturalmente dal
giudice di appello al malessere del neonato mentre i testi avevano riferito che la
donna era sottoposta a terapia antibiotica proprio per controllare la febbre
determinata da ascesso dentale.

Con riferimento precipuo alla posizione della Piol, per la quale il PG aveva
rinunciato all’appello e che la Corte territoriale aveva ritenuto responsabile ai fini
civili, si sostiene che lo stesso consulente d’ufficio aveva concluso che alle ore 20,
quando la Piol smontava il suo turno, le condizioni della paziente erano nella
norma.

E’ stata depositata memoria difensiva nell’interesse delle parti civili.

Considerato in diritto

Ciò premesso, il ricorso è fondato, essendo sussistente il dedotto vizio di
motivazione.

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ginecologi in questione, che avevano finito per prediligere, proprio in

Innanzitutto perché nell’ipotesi come quella in esame in cui il giudice di appello,
per diversità di apprezzamenti, per l’apporto critico delle parti e o per le nuove
eventuali acquisizioni probatorie, ritenga di pervenire a conclusioni diverse da
quelle accolte dal giudice di primo grado, il problema della motivazione della
decisione non può essere risolto inserendo nella struttura argomentativa di quella
di primo grado – genericamente richiamata – delle notazioni critiche di dissenso,
in una sorta di ideale montaggio di valutazioni ed argomentazioni fra loro

sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal giudice di primo grado,
considerando quello eventualmente sfuggito alla sua delibazione e quello
ulteriormente acquisito, per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non
condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle
difformi conclusioni (v. Sezioni unite, 4 febbraio 1992, Musumeci ed altri, rv.
121229 e da ultimo, Sezione IV, 11 luglio 2012, Ingrassia).

Il percorso motivazionale seguito nella sentenza in esame è assolutamente
carente essendosi limitata a recepire le conclusioni del consulente nominato in
sede di incidente probatorio, attestate sulla sussistenza del caso fortuito, senza
affrontare il tema ampiamente svolto dal giudice di primo grado afferente la
rivisitazione delle stesse conclusioni operate dallo stesso perito in sede di udienza
dibattimentale che avevano del tutto ridimensionato quelle rilasciate in
precedenza.

Il giudice di appello non ha sostituito all’analisi compiuta dal primo giudice una
sua analisi e non ha svolto, per motivare il dissenso rispetto alla sentenza di
primo grado, nessuna considerazione, se non quella, del tutto assiomatica, della
doverosa preferenza da attribuire alla consulenza del CTU, più neutrale e quindi
più credibile di una versione fornita da periti di parte al fine di tutelare la
responsabilità del medico, sottolineando altresì che ” il giudice non è solitamente
in grado di scegliere quale delle due interpretazioni risulti più credibile,
trattandosi di materia molto tecnica e specifica”.

Siffatta

motivazione non è in linea con i principi affermati da questa Corte in

tema di valutazione della prova scientifica.

La S. C. ha più volte chiarito che il sapere scientifico costituisce un indispensabile
strumento posto al servizio del giudice del merito e dell’accertamento della verità
processuale.

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dissonanti, essendo invece necessario che il giudice di secondo grado riesamini,

In virtù dei principi del libero convincimento del giudice e di insussistenza di una
prova legale o di una graduazione delle prove, il giudice ha la possibilità di
scegliere, fra le varie tesi scientifiche prospettate da differenti periti di ufficio e
consulenti di parte, quella che ritiene condivisibile, purchè dia conto, con
motivazione accurata ed approfondita delle ragioni del suo dissenso o della scelta
operata e dimostri di essersi soffermato sulle tesi che ha ritenuto di disattendere
e confuti in modo specifico le deduzioni contrarie delle parti, sicchè, ove una

inibito al giudice di legittimità di procedere ad una differente valutazione, poiché
si è in presenza di un accertamento in fatto come tale insindacabile dalla Corte di
cassazione, se non entro i limiti del vizio motivazionale.

La Cassazione, infatti, non può interloquire sulla maggiore o minore attendibilità
scientifica degli apporti scientifici esaminati dal giudice, ossia non deve stabilire
se la tesi accolta sia esatta, ma solo se la spiegazione fornita sia spiegata in
modo razionale e logico.

Ciò in quanto la Corte di legittimità non è giudice del sapere scientifico, giacchè
non detiene proprie conoscenze privilegiate: essa, in vero, è solo chiamata a
valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al sapere
tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in
ordine alla affidabilità delle informazioni che vengono utilizzate ai fini della
spiegazione del fatto (cfr., sul punto, Sezione IV, 13 maggio 2011, p.o. in proc.
Di Palma ed altri).

E’ il giudice di merito, in conclusione, contrariamente a quanto sostenuto nella
sentenza impugnata, che ha il governo degli apporti scientifici forniti dagli
specialisti.

Il ricorso a competenze specialistiche con l’obiettivo di integrare i saperi del
giudice si sviluppa mediante una procedimentalizzazione di atti ( conferimento
dell’incarico a periti e consulenti, formulazione dei relativi quesiti, escussione
degli esperti in dibattimento) ad impulso del giudicante e a formazione
progressiva; la valutazione di legittimità, sulla soluzione degli interrogativi
causali imposti dalla concretezza del caso giudicato, riguarda la correttezza e
conformità alle regole della logica dimostrativa dell’opinione espressa dal giudice
di merito, quale approdo della sintesi critica del giudizio.

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simile valutazione sia stata effettuata in maniera congrua in sede di merito, è

E’ chiaro che nei processi ove assume rilievo l’impiego della prova scientifica la
soluzione del caso dipende dall’affidabilità delle informazioni che, attraverso le
indagini dei periti e dei consulenti, entrano nel processo. L’affidabilità di tali
informazioni costituisce pertanto la parte integrante e fondamentale che il giudice
di merito è chiamato ad esprimere sulle valutazioni di ordine extragiuridiche
compiute nel processo.

Il giudice deve, pertanto, dare atto del controllo esercitato sulla autorevolezza

Si è anche chiarito che il giudice di merito può fare legittimamente propria l’una
piuttosto che l’altra tesi scientifica purchè dia congrua ragione della scelta e
dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulla tesi che ha creduto di non dover
seguire.

Ciò premesso, i principi sopra indicati non sono stati rispettati dal giudice di
secondo grado, che, pur a fronte di una sentenza di primo grado, ampiamente
motivata, anche attraverso una serrata verifica della coerenza scientifica e logica
delle argomentazioni del CTU nominato in sede di incidente probatorio,
raffrontate con le dichiarazioni rese dallo stesso in dibattimento, parzialmente
difformi e con quelle della consulente della difesa, si è limitato a riportarsi alla
relazione peritale, ritenuta apoditticamente più neutrale e quindi più credibile di
una versione fornita dai periti di parte.

Il giudice di appello è pertanto venuto meno al compito di controllare la validità
e la correttezza del metodo e determinarne lo specifico valore probatorio con la
formulazione delle necessarie inferenze inerenti ai fatti del caso concreto.

I giudici di appello, ribaltando la pronuncia emessa in primo grado, hanno
affermato la responsabilità degli imputati, condividendo acriticamente le
conclusioni del CTU nominato in sede di incidente probatorio, che indicava alle
ore 20, al momento del cambio del turno di guardia, quello opportuno per
ricorrere in via precauzionale ad una estrazione chirurgica dei gemelli, in
presenza di un tracciato non normale e di una evidente distocia dinamica.

Tale situazione, compiutamente descritta anche nella sentenza impugnata
impone, all’evidenza, l’annullamento senza rinvio nei confronti di Pio’ Francesca,
già emergendo dalla sentenza di primo grado elementi che non consentono di
superare l’oltre ogni ragionevole dubbio: il sanitario procedeva al cambio di turno
9

scientifica dell’esperto che trasferisce nel processo il sapere scientifico

di guardia proprio alle ore 20 del giorno 25 maggio, quando, in ogni caso, non
emergevano ancora indizi sufficientemente chiari di sofferenza fetale.

L’applicazione corretta dei principi espressi dalla nota sentenza delle Sezioni
unite Franzese impone, infatti, di individuare il momento in cui la condotta
alternativa lecita, in ipotesi richiesta ai sanitari, avrebbe impedito l’evento ed è
pertanto evidente che la condotta della dott. Piol, intervenuta prima del
manifestarsi dei segni suggestivi della sofferenza fetale, non ha inciso sugli

Quanto alla posizione del Colleoni, il giudizio di responsabilità è, stato fondato su
una errata diagnosi, che non avrebbe “letto” correttamente la situazione che si
era delineata ( un tracciato tocografico non normale ed un parto distocico), così
determinando la scelta terapeutica errata di procedere con il parto naturale e non
quella corretta di procedere all’estrazione dei gemelli con il taglio cesareo.

Gli argomenti sopra indicati, trascurano all’evidenza, gli esiti della consulenza
anatomo patologa disposta dal PM, che ha identificato la causa della morte di
Mathias in una sindrome di trasfusione feto- fetale insorta acutamente ed
improvvisamente nel periodo peripartum, che si sarebbe manifestata secondo il
predetto CTU alle ore 2,13 del 25 maggio 2,10, in corrispondenza di un calo
improvviso di battito cardiaco del gemello impegnato nel canale del parto.

Il giudice di appello tralascia altresì di considerare l’altro dato emergente dalla
sentenza di primo grado, tratto pure dalla perizia anatomo patologa, che aveva
riscontrato dall’esame istopatologico, oltre alle evidenze di TTTS, anche i segni
obiettivi di corioamniosite granulocitaria, avente anch’essa, secondo il predetto
perito, un ruolo concausale nel decesso del neonato.

E, soprattutto, ciò che più rileva, la Corte territoriale non ha proceduto al vaglio
delle tesi scientifiche che si sono contrapposte nel presente processo sul valore
del tracciato tocografico ed, in particolare, su quello del tracciato patologico,
l’unico univocamente sintomatico di malessere fetale e non si è soffermata sulla
contraddizione in cui è incorso il perito Molteni allorquando, nel corso
dell’udienza, ha definito patologico, il tracciato delle ore 22,25 del 25 maggio
mentre nell’elaborato aveva affermato che il tracciato era stato patologico solo
nella fase terminale del travaglio ( intorno alle ore 2 del 26 maggio) quando si
erano manifestate decelerazioni e brachicardia.

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eventi che condussero alla morte del neonato.

Da quanto sopra esposto emerge con evidenza che l’analisi sviluppata nella
sentenza di secondo grado, fondata esclusivamente su una lettura limitata della
consulenza svolta durante l’incidente probatorio, ha omesso di affrontare
compiutamente il punto topico del momento in cui si resero evidenti o avrebbero
dovuto esserlo i sintomi clinici sufficienti a diagnosticare la patologia fetale in
tempo utile, ampiamente trattato come sopra indicato, dal giudice di primo
grado, che, richiamando proprio il contenuto delle dichiarazioni rese dal perito in
udienza ed evidenziando l’equivocità delle conclusioni della relazione peritale,

della consulenza della difesa e di quella anatomo patologa disposta dal pm,
aveva motivatamente escluso che l’evento morte come conseguenza della MS
o della corioamnionite fosse in concreto prevedibile in tempo utile per evitare
l’evento letale.

Di qui l’esigenza di approfondimento al fine di verificare l’eventuale sussistenza di
profili di colpa a carico dell’imputato, la cui condotta dovrà essere valutata anche
tenendo conto degli esiti della perizia anatomo patologa disposta dal PM e delle
dichiarazioni complessive rilasciata dal perito Molteni, tenuto conto della
complessiva condizione del paziente, al fine di verificare se l’evento letale era
prevedibile.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Piol Francesca
Caterina perché il fatto non sussiste; annulla altresì la sentenza impugnata nei
confronti di Colleoni Roberto con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di
Milano, cui demanda il regolamento delle spese tra le parti, relative al presente
giudizio di legittimità.
Così deciso in data 21 maggio 2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

attraverso il puntuale e specifico riferimento alle predette rettifiche ed agli esiti

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