Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26289 del 21/05/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 26289 Anno 2015
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

Data Udienza: 21/05/2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BERSANI LUCA N. IL 27/07/1963
avverso la sentenza n. 1951/2010 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 30/01/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per t
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Ritenuto in fatto

BERSANI Luca ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, in riforma di quella di
primo grado, ha dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti per il reato di lesioni
colpose gravissime aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica,
contestato in concorso con altri, in danno del lavoratore SEMOVSKI Elvir, per essere il

Il reato è stato contestato al Bersani nella qualità di coordinatore per la sicurezza in fase
di esecuzione.

Le modalità dell’infortunio sono state così ricostruite nella sentenza impugnata: l’operaio
SEMOVSKI Elvir, dipendente della Edile Costruzioni, subappaltatrice dei lavori di
realizzazione delle tramezzature interne, mentre era intento, al secondo piano della
palazzina, in corso di costruzione, a raccogliere e buttare le macerie, cadeva dal
ponteggio sul piano sottostante, proseguendo nella caduta sino a terra, ad una distanza
di 6,5 metri dal suo inizio.

La causa della caduta veniva individuata in una realizzazione del ponteggio in violazione
della normativa di sicurezza. Il consulente del PM individuava, in particolare, quale causa
principale dell’infortunio, la rottura dell’unico giunto con il quale in via anomala era stato
fissato uno dei tubi che reggevano l’asse metallica su cui era posizionato il lavoratore.

L’addebito era stato contestato, tra gli altri, al Bersani nella qualità di coordinatore per la
sicurezza in fase di esecuzione, per avere omesso di adeguare il piano di sicurezza e
coordinamento in relazione alla decisione di realizzare un ponteggio con l’anomalia sopra
descritta senza dare disposizioni riguardo ai rischi connessi alla collocazione delle
mensole, in violazione dell’art. 5, comma 1, lettera b9d.Lvo 494/96.

Bersani Luca propone ricorso per cassazione, tramite difensore, articolando treX motivi.

Con il primo motivo lamenta la manifesta illogicità della motivazione che aveva affermato
la responsabilità del Bersani per la carenza dei controlli sul ponteggio omettendo di
considerare le testimonianze secondo le quali l’imputato, due giorni prima dell’infortunio
aveva consegnato al direttore tecnico del cantiere il verbale di sopralluogo con il quale
denunciava l’inutilizzabilità della impalcatura e la necessità di completamento degli
accessori del ponteggio, vietandone l’accesso.

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reato estinto per intervenuta prescrizione ( fatto del 23 maggio 2003).

Con il secondo motivo si duole dell’erronea interpretazione dell’ art. 5, comma 1, d.Lgs
494/96, come modificato dal d.lgs 528/1999, secondo il quale spetta al coordinatore per
l’esecuzione, non più assicurare l’applicazione delle disposizioni contenute nel piano di
sicurezza e coordinamento, di competenza del datore di lavoro o comunque dei soggetti
equiparati allo stesso, ma di verificare l’applicazione di tali disposizioni e procedure.

Con il terzo motivo lamenta la mancata considerazione da parte dei giudici di merito della

collocato al di fuori dell’area di rischio della lavorazione in corso, ponendo così in essere
una condotta abnorme, imprevedibile ed eccentrica.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.

Come è noto, in presenza di una (già avvenuta) declaratoria di improcedibilità per
intervenuta prescrizione del reato, in assenza di statuizioni civili, come nel caso in esame,
è precluso alla Corte di cassazione un riesame dei fatti finalizzato ad un eventuale
annullamento della decisione per vizi attinenti alla sua motivazione.

Il sindacato di legittimità circa la prospettata mancata applicazione del comma 2
dell’articolo 129 c.p.p. deve essere invece circoscritto all’accertamento della ricorrenza
delle condizioni per addivenire ad una pronuncia di proscioglimento nel merito con una
delle formule ivi prescritte: la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la
prova dell’insussistenza del fatto o dell’estraneità ad esso dell’imputato risulti evidente
sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della
sentenza impugnata, senza possibilità di nuove indagini ed ulteriori accertamenti che
sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l’operatività della causa estintiva,
determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui
è intervenuta, non può essere ritardata. Pertanto, qualora il contenuto complessivo della
sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri richiesti dall’articolo 129 c.p.p.,
l’esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all’imputato, deve prevalere
l’esigenza della definizione immediata del processo.

Detto altrimenti,

in presenza della causa estintiva del reato non sarebbe quindi

applicabile la regola probatoria prevista dall’articolo 530, comma 2, c.p.p., da adottare
quando il giudizio sfoci nel suo esito ordinario, ma è invece necessario che emerga
“positivamente” dagli atti, e senza necessità di ulteriori accertamenti, la prova
dell’innocenza dell’imputato. Da ciò consegue che non è consentito al giudice di applicare
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condotta abnorme del lavoratore, che, violando il divieto di accesso al ponteggio, si era

l’articolo 129, comma 2, c.p.p. in casi di incertezza probatoria o di contraddittorietà degli
elementi di prova acquisiti al processo, anche se, in tali casi, ben potrebbe pervenirsi
all’assoluzione dell’imputato per avere il quadro probatorio caratteristiche di “ambivalenza
probatoria”. E consegue, altresì, con riguardo al giudizio di Cassazione, che il giudice di
legittimità, a fronte dell’obbligo di immediata declaratoria della causa di non punibilità,
non può rilevare il vizio di motivazione della sentenza impugnata, che dovrebbe
ordinariamente condurre all’annullamento con rinvio (Sezione IV, 28 maggio 2008, Rago

Ciò premesso, il ricorso si palesa infondato.

Infondato è il primo motivo.

Il giudicante, richiamando gli esiti della consulenza disposta dal PM, ha evidenziato che la
denuncia di anomalia del ponteggio presentata dall’imputato al direttore dei lavori due
giorni prima dell’infortunio non aveva riguardato l’improprio montaggio del giunto
ortagonale, causa determinante dell’infortunio ed ha individuato il profilo di colpa
dell’imputato nella inadeguata verifica del piano di sicurezza del cantiere e
nell’inadeguato coordinamento con i datori di lavoro operanti nel cantiere.

Infondato è il secondo motivo, incentrato sulla interpretazione dell’art. 5 d.Lgs 494/1996,
a seguito delle modifiche intervenute con il d.Lgs 528/1999.

Si sostiene, in particolare, che la sentenza aveva confuso la funzione di “alta vigilanza”
demandata dalla normativa di settore al coordinatore per l’esecuzione dei lavori- al quale
competerebbe esclusivamente l’obbligo di segnalare al committente le irregolarità
riscontrate e non il dovere di prevenire prevedibili imprudenze dei lavoratori- con quella
“operativa” spettante al datore di lavoro.

La suddetta interpretazione non tiene conto della lettera della legge e dello spirito della
riforma, indirizzata a rimarcare ancora più incisamente la posizione di garanzia del
coordinatore per l’esecuzione dei lavori ( ora prevista dall’art.92 d.Lvo 9 aprile 2008, n.
81).

Questa figura professionale, per la prima volta organicamente disciplinata dal D.Lgs. 14
agosto 1996, n. 494 (attuazione della direttiva 92/51 Cee concernente le prescrizioni
minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili), è definita
dall’ art. 2, del d.Lvo 494/1996, come “soggetto incaricato, dal committente o dal
responsabile dei lavori, dell’esecuzione dei compiti di cui all’art. 5”.

ed altri).

In base all’originaria formulazione del D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, art. 5, al
coordinatore per l’esecuzione dei lavori (nominato dal committente o dal responsabile dei
lavori: art. 3, comma 4) era attribuito l’obbligo di “assicurare, tramite opportune azioni di
coordinamento, l’applicazione delle disposizioni contenute nei piani di cui agli articoli 12 e
13 e delle relative procedure di lavoro” (lett. a) e quello di “adeguare i piani di cui agli
articoli 12 e 13 in relazione all’evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche

I compiti di questa figura professionale sono stati ridefiniti dal d. Lvo 19 novembre 1999,
n. 528, applicabile ratione temporis al caso in esame, il cui art. 5 ha modificato la riferita
disciplina contenuta nell’art. 5 originario, attribuendo al coordinatore per l’esecuzione dei
lavori i compiti di “verificare” (e non più “assicurare”) l’applicazione da parte delle
imprese esecutrici delle disposizioni contenute nei piani di sicurezza e di coordinamento di
cui all’art. 12 (lett. a) e quello di “adeguare il piano di sicurezza e coordinamento in
relazione all’evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute”.

Il coordinatore per la sicurezza è, pertanto, titolare di una posizione di garanzia nei limiti
degli obblighi specificamente individuati dal citato art. 5 d.Lvo 1999/528.

Tale posizione di garanzia gli impone, nell’ambito dei cantieri temporanei o mobili
contrassegnati da lavori appaltati, di assicurare il collegamento tra impresa appaltatrice e
committente al fine della migliore organizzazione del lavoro sotto il profilo della tutela
antinfortunistica: in particolare sono a suo carico i compiti di adeguare il piano di
sicurezza in relazione allo stato di avanzamento dei lavori, di vigilare sul rispetto dello
stesso e di sospendere le singole lavorazioni in caso di pericolo grave ed imminente.

In altre parole, va detto che le funzioni del coordinatore non si limitano a compiti
organizzativi e di raccordo o di collegamento tra le eventuali varie imprese che
collaborano nella realizzazione dell’opera, ma, in conformità al dettato normativo sopra
citato, si estendono anche al compito di vigilare sulla corretta osservanza da parte delle
imprese o della singola impresa delle prescrizioni del piano di sicurezza e ciò a maggior
garanzia dell’incolumità dei lavoratori ( v. in tal senso Sezione IV, 14 giugno 2011, n.
32142, Goggi, rv. 251177).

Va, pertanto, chiarito che la presenza in cantiere del coordinatore per la sicurezza non va
intesa come stabile presenza in cantiere, ma secondo il significato che consegue dalla
posizione di garanzia di cui lo stesso è titolare nei limiti degli obblighi specificamente
individuati dal citato art. 5 d.Lvo n. del 1999 ( ora art. 92 del citato d.lvo 81/2008), che
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intervenute” (lett. b).

comprendono anche poteri a contenuto impedivo in situazioni di pericolo grave ed
imminente.

Le circostanze di fatto indicate dai giudici di merito, afferenti la situazione di rischio
presente nel cantiere, che non riguardava soltanto quello specifico dell’attività della
impresa subappaltatrice e le modalità dell’infortunio, la cui causa principale è stata
individuata nella rottura del giunto ortagonale, non consentono dubbi sulla palese

sicurezza.

Ciò emerge con evidenza dalla sentenza impugnata laddove il giudicante sottolinea che il
giunto ortagonale era stato montato in maniera impropria e che se il tubo fosse stato
montato correttamente con almeno due giunti sicuramente avrebbe resistito anche ad
una sollecitazione anomala

In questo quadro probatorio,neanche il fatto che il Bersani sia subentrato ad altro
coordinatore per l’esecuzione dei lavori assume rilievo scriminante, essendo evidente, in
ogni caso, che il compito di vigilare sul rispetto del piano di sicurezza da parte dei
lavoratori, gravante sul coordinatore per la sicurezza, non può e non deve limitarsi ad
una verifica superficiale, che non tenga conto delle molteplici ed indefinite situazioni di
pericolo grave derivanti nei cantieri dalla violazione sistematica della normativa
antinfortunistica.

Né l’adempimento di tale obbligo poteva ritenersi assolto con il divieto impartito ai
lavoratori di salire sul ponteggio, ove si consideri il principio pacifico secondo cui
l’eventuale colpa del lavoratore concorrente con l’addebito colposo di cui si è detto,
contestato all’imputato non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi
l’obbligo di sicurezza, come nel caso in esame, il coordinatore per la sicurezza, che si
siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia
antinfortunistica, potendosi escludere l’esistenza del rapporto di causalità unicamente nei
casi in cui sia provata l'”abnormità” del comportamento del lavoratore infortunato e sia
provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento: dovendosi, al
riguardo, considerare abnorme il comportamento che, per la sua stranezza ed
imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone
preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro; con la
precisazione, però, che non può avere queste caratteristiche il comportamento del
lavoratore che abbia compiuto un’operazione comunque rientrante pienamente, oltre che
nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli come nel caso di specie non

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violazione dell’obbligo da parte dell’imputato di verificare l’applicazione del piano di

può essere messo in discussione (cfr. da ultimo, Sezione IV, 28 aprile 2011, n. 23292,
Millo ed altri, rv. 250710).

Sotto tale ultimo profilo, va evidenziato che i giudici di merito hanno accertato l’esistenza
nel cantiere della consuetudine di gettare i materiali di scarto dall’alto, in particolare
quelli di più piccole dimensioni, con ciò dovendosi escludere ogni profilo di imprevedibilità

In coerenza a tale principio ed alla luce della ricostruzione del fatto sopra indicata, la
Corte di merito ha correttamente escluso la sussistenza di una condotta anomala del
dipendente tale da rendere inesigibile la vigilanza del coordinatore per l’esecuzione.

A fronte di un apparato argomentativo esente da violazioni di legge e logicamente
sviluppato, il dissenso “di merito” , espresso in ricorso, fondato su una ricostruzione della
condotta del lavoratore al di fuori della di rischio definito dalla lavorazione in corso.

Basta ricordare- così fornendo risposta alla censura formulata con il terzo motivo- che, in
caso di infortunio sul lavoro, non è consentito al titolare della posizione di garanzia
invocare a propria discolpa, per farne discendere l’interruzione del nesso causale
(articolo 41, comma 2, c.p.), la legittima aspettativa della diligenza del lavoratore,
allorquando lo stesso titolare della posizione di garanzia versi

in re illicita

per non

avere, per propria colpa, impedito l’evento lesivo cagionato dallo stesso infortunato,
consentendogli di operare sul luogo di lavoro in condizioni di pericolo, ciò che qui è
indiscutibile (cfr. Sezione IV, 25 marzo 2011, D’Acquisto).

Le censure sull’affermata esclusione dell’abnormità della condotta del lavoratore sono,
pertanto, infondate.

Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 21 maggio 2015

Il Presidente

alla condotta del lavoratore infortunatosi.

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