Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26284 del 04/05/2018

Penale Sent. Sez. 6 Num. 26284 Anno 2018
Presidente: MOGINI STEFANO
Relatore: CORBO ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
1. A.A.
2. S.S.

avverso la sentenza in data 15/03/2017 della Corte d’appello di Catania

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Corbo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Roberto
Aniello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi, per i ricorrenti, l’avvocato Giovanni Aricò, difensore di fiducia di A.A., e l’avvocato Marco Tringali, difensore di fiducia di A.A. e
di S.S., che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 15 marzo 2017, la Corte d’appello di
Catania, riformando solo in punto di pena la sentenza pronunciata in primo
grado, all’esito di giudizio abbreviato, dal Giudice dell’udienza preliminare del 9)

Data Udienza: 04/05/2018

t
Tribunale di Catania, ha confermato la dichiarazione di penale responsabilità di
A.A. e S.S. per i reati di favoreggiamento personale,
aggravato a norma dell’art. 378, secondo comma, e dell’art. 61, n. 9, cod. pen.,
nonché di rivelazione di segreti di ufficio, di cui all’art. 326, primo comma, cod.
pen., aggravato a norma dell’art. 61, n. 2, cod. pen., commessi dal 12 novembre
all’i dicembre 2012, ed ha rideterminato la pena nei confronti di entrambi,
riducendola, in due anni e quattro mesi di reclusione per ciascuno, con diniego
delle circostanze attenuanti generiche ed applicazione della diminuente per il

Secondo la ricostruzione effettuata nella sentenza impugnata, A.A., funzionario di cancelleria in servizio presso l’ufficio G.i.p. del Tribunale
di Catania, avendo appreso che Giovanni Cassarino era sottoposto dalla Procura
di Catania ad indagini per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. ed era inoltre
destinatario di provvedimenti di intercettazioni di comunicazioni, informava di tali
circostanze quest’ultimo, con più azioni esecutive dl medesimo disegno
criminoso, anche avvalendosi della collaborazione di S.S..

2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in
epigrafe per A.A. gli avvocati Giovanni Aricò e Marco Tringali, con
due distinti atti di impugnazione, nonché per S.S., l’avvocato Marco
Tringali.

3. Il ricorso presentato nell’interesse di A.A. dall’avvocato
Giovanni Aricò è articolato in tre motivi.
3.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli
artt. 266, 270 e 271 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma
dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e) cod. proc. pen., avendo riguardo
all’utilizzabilità delle conversazioni intercettate.
Si deduce che illegittimamente la sentenza di condanna utilizza le
conversazioni richiamate in motivazione, perché intercettate nell’ambito di
diversi procedimenti penali.
Si premette che le captazioni sono avvenute nel procedimento R.G.N.R. n.
14062/10, relativo a vari soggetti tra cui Giovanni Cassarino, ma non anche agli
attuali imputati, per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., e nel procedimento
R.G.N.R. n. 2139/11, a carico anche di A.A., oltre che del
precisato Cassarino, per i reati di cui agli artt. 110, 416-bis e 326 cod. pen., e
che quest’ultimo procedimento è stato definito con provvedimento di
archiviazione del G.i.p. per difetto di elementi di prova sufficienti ad esercitare
l’azione penale. Si aggiunge che i reati oggetto del presente processo non
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rito.

avrebbero consentito alcuna attività di intercettazione, a norma dell’art. 266 cod.
proc. pen., e che, secondo la giurisprudenza, i risultati delle intercettazioni
disposte per l’accertamento di un reato, poi definito con archiviazione, non sono
utilizzabili a fini di prova in riferimento ad altro reato per il quale non sussistano
le condizioni di legge per l’autorizzazione delle intercettazioni (si cita Sez. 3, n.
12562 del 25/02/2010, Preziosi, Rv. 246594).
Si osserva, quindi, che, anche alla luce della giurisprudenza delle Sezioni
Unite, la nozione di “diverso procedimento”, pur se determinabile sulla base di

tra il contenuto dell’originaria notizia di reato, per la quale sono state disposte le
intercettazioni, ed i reati per i quali si procede, rilevante sotto il profilo oggettivo,
probatorio o finalistico (si cita Sez. U, n. 32697 del 26/06/2014, Floris, Rv.
259776), e che, però, secondo quanto afferma la stessa sentenza impugnata in
motivazione, «il fatto per il quale le intercettazioni sono state disposte ed il fatto
in ordine al quale esse sono state utilizzate [risulta], all’evidenza, storicamente
diverso». Si rappresenta, ulteriormente, ed in linea con questa affermazione,
che: -) il procedimento R.G.N.R. n. 14062/10 riguardava i rapporti tra Giovanni
Cassarino ed il pregiudicato Michele De Luca vicino al clan di Michele Crapula,
mentre il procedimento R.G.N.R. n. 2139/11 concerneva un’attività continuativa
di rivelazione di segreti di ufficio a vantaggio dell’associazione capeggiata da
Antonino Trigila; -) gli episodi oggetto dell’uno e dell’altro procedimento erano
tra loro nettamente distinti; -) la differenza tra l’oggetto delle due indagini
emerge anche dalla mancata unificazione delle stesse, nonostante in entrambe
fosse indagato Giovanni Cassarino.
Si segnala, infine, che, per la dottrina, la nozione di “altro procedimento”, in
termini ancor più garantistici, deve identificarsi in relazione alla notizia di reato
iscritta nel registro previsto dall’art. 335 cod. proc. pen., in omaggio al principio
della riserva di giurisdizione, per l’assenza di un provvedimento autorizzativo
concernente i reati diversi, ed al principio di eguaglianza.
3.2. Con il secondo motivo di ricorso, si denuncia violazione di legge, in
riferimento agli artt. 192 cod. proc. pen., 378 cod. pen. e 533 cod. proc. pen.,
nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, connnna 1, lett. b), c) ed e)
cod. proc. pen., avendo riguardo alla configurabilità dei reati ascritti ed in
particolare di quello di favoreggiamento personale.
Si deduce che la sentenza impugnata omette di motivare in ordine a profili
decisivi per ritenere la sussistenza del reato. Si segnala, in particolare, che è del
tutto trascurata la circostanza del tempo trascorso tra la conoscenza da parte
dell’imputato della notizia delle indagini relative a Cassarino e l’incontro con
quest’ultimo, periodo pari a ben tredici giorni. Si rappresenta che tale
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un criterio sostanzialistico, richiede in ogni caso l’esistenza di una connessione

circostanza era estremamente significativa, perché A.A. ha sempre detto di
aver contattato Cassarino per tutelare l’onorabilità sua e della sua famiglia, in
quanto assiduo frequentatore del medesimo. Si sottolinea che tali rilievi
dovevano essere apprezzati anche nella prospettiva della colpevolezza al di là di
ogni ragionevole dubbio.
3.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge e vizio di
motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett b) ed e), avendo riguardo al
trattamento sanzionatorio.

concessione delle circostanze attenuanti generiche, richieste con prevalenza
rispetto alle aggravanti. Si censura che la Corte d’appello ha negato il beneficio
perché la condotta era diretta a favorire un indagato per il reato di cui all’art.
416-bis cod. pen., ed è stata commessa in violazione dei doveri inerenti una
pubblica funzione: invero, il favoreggiamento diretto a favorire un indagato per il
reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. è già autonomamente considerato dall’art.
378, secondo comrna, cod. pen., mentre la violazione dei doveri inerenti ad una
pubblica funzione non è di per sé incompatibile con le circostanze attenuanti
generiche, a meno di non ritenere queste ultime sempre inapplicabili al reato di
cui all’art. 326 cod. pen.

4. Il ricorso presentato nell’interesse di A.A. dall’avvocato
Marco Tringali è articolato in quattro motivi.
4.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli
artt. 266, 270 e 271 cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c)
cod. proc. pen., avendo riguardo all’utilizzabilità delle conversazioni intercettate.
Si deduce che le intercettazioni sono state disposte con riferimento ad un
reato diverso da quelli oggetto del presente procedimento, per i quali non
sarebbe mai stata consentita l’attività di captazione.
Si rappresenta, precisamente, che le intercettazioni sull’utenza fissa
installata all’interno dell’ufficio G.i.p. del Tribunale di Catania, in uso a Maria
Pulvirenti, dirigente di quella cancelleria e compagna di A.A., sull’utenza fissa
installata nell’abitazione intestata a Maria Pulvirenti ed in uso a A.A.,
sull’utenza fissa installata nell’ufficio G.i.p. del Tribunale di Catania e in uso a
quest’ultimo, sulle utenze mobili intestate ed in uso a A.A., a
Maria Pulvirenti e a Giovanni Cassarino, nonché all’interno dell’autovettura in uso
a A.A. venivano disposte nell’ambito del proc. R.G.N.R. n. 2139/11,
pendente anche a carico di A.A., ma per il reato di cui agli artt. 110 e 416bis cod. pen., ipotizzato dapprima in relazione ai rapporti tra lo stesso, da un
lato, e Antonino Trigila e Concetto Di Rosolini, dall’altro, e, poi, anche, con
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Si deduce che illegittimamente la sentenza impugnata ha negato la

Giovanni Cassarino. Si aggiunge che ulteriori intercettazioni venivano disposte su
un’autovettura in uso a Giovanni Cassarino nell’ambito del proc. R.G.N.R. n.
14062/10, pendente per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. nei confronti del
medesimo Cassarino, di Corrado De Luca e di Michele Crapula. Si osserva, poi,
che il procedimento n. 2139/11 è stato archiviato, con provvedimento del G.i.p,
del 17 settembre 2013, nei confronti di A.A. e di Maria Pulvirenti
sia per i reati di favoreggiamento e di rivelazione del segreto di ufficio, ipotizzati
a carico di entrambi, sia del reato di cui agli artt. 110 e 416-bis cod. pen.,

acquisiti.
Si contesta, sulla base di queste premesse in fatto, che il procedimento nel
quale è stata pronunciata condanna possa essere ritenuto identico o connesso a
quelli contraddistinti dai nn. R.G.N.R. 2139/11 e R.G.N.R. 14062/10 solo perché
questi ultimi due hanno origine dalle medesime comunicazioni di notizia di reato
e perché il primo ha tratto origine dalle notizie acquisite all’esito delle
intercettazioni disposte negli altri.
Si rileva, a conferma delle esposte conclusioni, che Maria Pulvirenti non è
mai stata indagata per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen, che l’aggravante di
cui all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991 è stata esclusa, per tutti i reati, dal G.i.p. in
sede di emissione di ordinanza di custodia cautelare, e che le posizioni di
Pulvirenti, A.A. e S.S. sono state separate da quelle degli altri indagati
nell’ambito del proc. n. R.G.N.R. 14062/10, perché ritenute «indipendenti».
4.2. Con il secondo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma
dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., avendo riguardo alla
configurabilità dei reati ascritti.
Si deduce che la sentenza impugnata si limita a sintetizzare le valutazioni
della sentenza di primo grado, senza confrontarsi con gli argomenti esposti
nell’atto di appello. Si segnala, in particolare, che, secondo quanto evidenziato
nell’atto di gravame: -) A.A., nelle conversazioni intercettate, risulta aver
discusso con S.S. di Cassarino solo il 22 novembre 2012, ossia ben undici
giorni dopo aver avuto conoscenza delle intercettazioni sull’autovettura dello
stesso; -) A.A., nell’occasione, risulta aver chiesto a S.S. di riferire a
Cassarino di non cercarlo in quel periodo anche accampando scuse; -) A.A. e
Pulvirenti, nell’interrogatorio di garanzia, hanno dichiarato di avere come unica
preoccupazione di non essere coinvolti in alcunché, nonostante il personale
convincimento del ricorrente dell’estraneità di Cassarino ad ambienti criminali; -)
A.A., nella conversazione del 25 novembre 2012, se parla a S.S. di un
possibile incontro con Cassarino, non solo non riferisce nulla di rilevante e non
manifesta alcuna esigenza di addivenire ad un contatto con quest’ultimo, ma
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iscritto a carico solo dell’odierno ricorrente, per l’insufficienza degli elementi

programma

un colloquio all’interno di

un’automobile sottoposta ad

intercettazione; -) A.A. si è preoccupato di evitare di far emergere i suoi
contatti con Cassarino solo perché ha saputo di frequentazioni tra quest’ultimo e
persone “non raccomandabili”; -) la conversazione in cui la convivente di
Cassarino parla con un’amica delle informazioni ricevute non è chiara, e dimostra
l’assenza di accorgimenti volti ad eludere le intercettazioni.
4.3. Con il terzo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art.
606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., avendo riguardo al mancato

Si deduce che la sentenza impugnata non ha offerto alcuna reale
motivazione in proposito, limitandosi a segnalare, in termini del tutto generici, la
gravità dell’offesa e le modalità della condotta.
4.4. Con il quarto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art.
606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., avendo riguardo al mancato
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Si deduce che la sentenza impugnata non fornisce alcuna reale motivazione
neppure sotto questo profilo e trascura il leale servizio prestato per tanti anni dal
ricorrente all’Amministrazione della Giustizia.

5. Il ricorso presentato nell’interesse di S.S. dall’avvocato Marco
Tringali è articolato in sei motivi.
5.1. Il primo motivo è identico al primo motivo del ricorso redatto
dall’avvocato Marco Tringali nell’interesse di A.A..
5.2. Con il secondo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma
dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., avendo riguardo alla
configurabilità dei reati ascritti.
Si deduce che la sentenza impugnata si limita a sintetizzare le valutazioni
della sentenza di primo grado, senza confrontarsi con gli argomenti esposti
nell’atto di appello. Si richiamano, in particolare, le circostanze indicate nel
secondo motivo del ricorso redatto dall’avvocato Marco Tringali nell’interesse di
A.A., e si sottolinea che nulla consente di ritenere S.S. a
conoscenza di possibili rivelazioni di segreti di ufficio. Si aggiunge che,
significativamente, nella conversazione n. 439 del 27 novembre 2012, S.S. dice
a A.A. di aver ricevuto richieste di delucidazioni da Cassarino, e di avergli
risposto: «ma proprio, gli ho detto, manco lo immagino».
5.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento
all’art. 326 cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma
1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., avendo riguardo alla configurabilità del reato /()/
di / /
rivelazione di segreto di ufficio.
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riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.

Si deduce che S.S. è soggetto estraneo all’Amministrazione, che le
rivelazioni del segreto provengono da Maria Pulvirenti, persona con la quale il
ricorrente non ha avuto alcun rapporto, e che quest’ultimo non è stato mai
destinatario di notizie rivelategli come segrete.
5.4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento
all’art. 378 cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comnna
1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., avendo riguardo alla configurabilità del reato di
favoreggiamento personale.

dell’innocente quando sia accertata l’insussistenza obiettiva del reato
presupposto, e che le indagini nei confronti di Cassarino sono state definite con
provvedimento di archiviazione, o comunque non sono sfociate in una richiesta di
rinvio a giudizio.
5.5. Il quinto motivo è identico al terzo motivo del ricorso redatto
dall’avvocato Marco Tringali nell’interesse di A.A..
5.6. Con il sesto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art.
606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., avendo riguardo al mancato
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Si deduce che la sentenza impugnata non fornisce alcune reale indicazione
in proposito, e trascura l’assenza di qualifica soggettiva pubblicistica in capo al
ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

I ricorsi di A.A. e S.S. sono entrambi

complessivamente infondati per le ragioni di seguito precisate.

2.

Logicamente preliminare è l’esame delle questioni concernenti

l’inutilizzabilità delle intercettazioni indicate a fondamento della sentenza
impugnata, perché tale mezzo di prova fornisce, dalla lettura della motivazione
esposta dalla Corte d’appello, gli elementi più significativi per l’affermazione della
responsabilità penale di entrambi i ricorrenti.
Le questioni, sollevate in termini sostanzialmente omogenei, nel primo
motivo del ricorso per A.A. a firma dell’avvocato Aricò, nel primo motivo del
ricorso per A.A. a firma dell’avvocato Tringali, e nel primo motivo del ricorso
per S.S., sono dedotte argomentando che le intercettazioni sono state disposte
nell’ambito di un procedimento diverso da quello per cui si procede e per reati
diversi da quelli per i quali è consentita l’attività di captazione.

Si deduce che non può ritenersi configurabile il reato di favoreggiamento

2.1. La sentenza impugnata, all’esito di un’articolata ricostruzione dei fatti
rilevanti ai fini in esame, ha affermato che le intercettazioni sono state effettuate
nell’ambito di procedimenti non diversi, ma connessi sotto il profilo oggettivo,
probatorio e finalistico.
A tal proposito, la decisione ha premesso che, dopo l’apertura del
procedimento n. 2139/11 R.G.N.R., ed una prima informativa di polizia
giudiziaria a carico di altri soggetti, vennero redatte: a) una nuova informativa,
in data 1 novembre 2012, espressamente relativa ai «procedimenti penali n.

sussistenza di indizi a carico di A.A. e della sua convivente Maria
Pulvirenti avendo riguardo al procedimento n. 14062/11 RGNR, e si chiedeva
l’attivazione di intercettazioni telefoniche; b) una ulteriore informativa, in data
15 dicembre 2012, che conteneva comunicazione di notizia di reato a carico di
A.A., Maria Pulvirenti, Giovanni Cassarino, Salvatore Fumò e
Waldker Albergo, per i reati di favoreggiamento personale e rivelazione di
segreto d’ufficio, aggravati ex art. 7 d.l. n. 152 del 1991, commessi «dal luglio
2011 ad oggi», era fondata sulle risultanze delle intercettazioni autorizzate a
partire dal 2 novembre 2012 nel procedimento n. 2139/11 RGNR sulla base della
precedente informativa, ed aveva anch’essa riferimento ai procedimenti penali n.
14062/10 RGNR e proc. pen. n. 2139/11 RGNR. Ha poi rilevato che il Pubblico
ministero: a) in data 2 settembre 2013, ha disposto lo “stralcio parziale” delle
posizioni di A.A. e Maria Pulvirenti in ordine ai reati di cui agli
artt. 326 e 378 cod. pen., commessi dal 12 novembre 2011 all’I. dicembre 2011,
e per i quali al primo era stata applicata misura cautelare; b) in data 6 settembre
2013, ha chiesto l’archiviazione del procedimento n. 2139/11 RGNR nei confronti
di A.A. e Maria Pulvirenti in ordine ai reati di cui agli artt. 416bis, 326 e 378 cod. pen., questi ultimi due aggravati ex art. 7 d.l. n. 152 del
1991, e commessi fino al 16 luglio 2011 (la richiesta è stata accolta dal G.i.p. in
data 17 settembre 2013).
La Corte d’appello ha concluso che i procedimenti nei quali A.A. e S.S.
sono stati indagati, e quelli nei quali sono state disposte le intercettazioni
utilizzate ai fini della condanna «erano tutti connessi (conclusione rafforzata
dall’iniziale contestazione dell’aggravante di cui all’art. 7 legge n. 203/91) in
quanto il procedimento sostanzialmente ha un’unica origine come si evince dal
costante riferimento nelle CNR [informative] del 1.11.12 e del 15.12.12 sia al
proc. n. 14062/10 R.G.N.R. sia al proc. n. 2139/11 R.G.N.R.». Inoltre, si precisa
che i due procedimenti appena indicati possono definirsi «identici» per la stretta
connessione oggettiva, probatoria e finalistica: il proc. n. 2139/11 R.G.N.R., nel
quale sono state disposte le intercettazioni utilizzate, aveva come indagati anche
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14062/10 RGNR e proc. pen. n. 2139/11 RGNR», e nella quale si segnalava la

A.A., Cassarino e Pulvirenti per i reati di cui agli artt. 416-bis, 326 e 378 cod.
pen., e per i quali è intervenuta l’archiviazione nei confronti di A.A. e
Pulvirenti, ma non di Cassarino; il proc. n. 14062/10 R.G.N.R., pendente anche
nei confronti di Trigila e Cassarino, è poi sfociato nel presente processo a carico
di A.A. e S.S.,
2.2. La questione da esaminare, quindi, attiene alla estensione delle nozioni
di procedimento “identico” e procedimento «diverso».
Come evidenziato anche dalle Sezioni Unite, «la, prevalente e più recente,

un criterio di valutazione sostanzialistico, che prescinde da elementi formali,
quale il numero di iscrizione del procedimento nel registro delle notizie di reato,
in quanto considera decisiva, ai fini della individuazione della identità dei
procedimenti, l’esistenza di una connessione tra il contenuto della originaria
notizia di reato, per la quale sono state disposte le intercettazioni, ed i reati per i
quali si procede sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico (Sez. 6, n.
11472 del 02/12/2009, Paviglianiti, Rv. 246524; Sez. 6, n. 46244 del
15/11/2012, Filippi, Rv. 254285; Sez. 2, n. 43434 del 05/07/2013, Bianco, Rv.
257834; Sez. 2, n. 3253 del 10/10/2013, dep. 2014, Costa, Rv. 258591).» (così
Sez. U, n. 32697 del 26/06/2014, Floris, in motivazione § 7.1.; cfr., nello stesso
senso, tra le successive pronunce, Sez. 5, n. 45535 del 16/03/2016, Damiani De
Paula, Rv. 268453). Del resto, non può non rilevarsi come il riferito orientamento
trovi una conferma normativa nella disciplina della riunione di processi pendenti
nello stesso stato e grado davanti al medesimo giudice, che è consentita in
presenza del rapporto di connessione a norma dell’art. 12 cod. proc. pen. ovvero
di collegamento, nella specifica ipotesi di cui all’art. 371, comma 1, lett. b), cod.
proc. pen.
Nella vicenda in esame, risulta significativamente che: a) le indagini
nell’ambito dei due procedimenti nel cui ambito sono state eseguite le
intercettazioni, il proc. n. 2139/11 R.G.N.R. e il proc. n. 14062/10 R.G.N.R.,
sono state effettuate unitariamente, in particolare dando luogo alle due
informative “unitarie” di polizia giudiziaria dell’i novembre 2012 e del 15
dicembre 2012; b) sia nel procedimento n. 2139/11 R.G.N.R., sia nel
procedimento n. 14062/10 R.G.N.R. erano indagati tanto l’odierno ricorrente
A.A., quanto Cassarino, ossia la persona che nel presente processo si
assume essere destinataria delle condotte di favoreggiamento e di rivelazione di
segreto d’ufficio aventi ad oggetto indagini a suo carico per il reato di
partecipazione ad associazione mafiosa; c) sia nel procedimento n. 2139/11
R.G.N.R., sia nel procedimento n. 14062/10 R.G.N.R., A.A. era indagato

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giurisprudenza di legittimità ha ancorato la nozione di procedimento diverso ad

(anche) per i reati di cui agli artt. 326 e 378 cod. pen., e Cassarino era indagato
(anche) per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen.
Può perciò concludersi che le diverse condotte ipotizzate a carico di A.A.,
nella fase investigativa in cui furono disposte le intercettazioni, erano
riconducibili ad un medesimo disegno criminoso di tale ricorrente, erano tutte
commesse in occasione del reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. ascritto a
Cassarino nonché al fine di far conseguire a questi l’impunità, ed erano oggetto
di un’unitaria attività di accertamento. Di conseguenza, le operazioni di

procedimento, nei termini sopra precisati, e, quindi utilizzabili ai fini della prova
delle condotte oggetto del presente processo.
2.3. D’altro canto, non assume rilievo ostativo che le intercettazioni siano
state effettuate (in gran parte) nell’ambito di un procedimento poi archiviato e
che i reati per i quali si procede non siano compresi tra quelli per i quali è
consentito il ricorso all’indicato mezzo di ricerca della prova.
Ciò che conta, infatti, è la “identità” del procedimento nei termini sopra
precisati, posto che il provvedimento di archiviazione non esplica alcun effetto
preclusivo (cfr., in questo senso, Sez. 3, n. 42733 del 06/07/2016, Cannizzaro,
Rv. 267975, ma anche, in motivazione, Sez. 3, n. 12562 del 25/02/2010,
Preziosi, Rv 246594, citata dalla difesa, la quale ha escluso l’utilizzabilità delle
conversazioni intercettate per l’insussistenza del requisito della “identità” del
procedimento e non per l’intervenuta archiviazione).
Una volta accertata la “identità” del procedimento, pertanto, deve trovare
applicazione l’insegnamento della ormai di gran lunga prevalente giurisprudenza
di legittimità, secondo il quale i risultati delle intercettazioni telefoniche disposte
per uno dei reati rientranti tra quelli indicati nell’art. 266 cod. proc. pen. sono
utilizzabili pure relativamente ad altri reati che emergano dall’attività di
captazione, ancorché per essi le intercettazioni non sarebbero state consentite
(cfr., tra le tante: Sez. 6, n. 31984 del 26/04/2017, P., Rv. 270431; Sez. 5, n.
45535 del 16/03/2016, Danniani De Paula, Rv. 268453; Sez. 2, n. 9500 del
23/02/2016, De Angelis, Rv. 267784; Sez. F, n. 35536 del 23/08/2016, Rv.
267598).

3. Le questioni poste nel secondo motivo del ricorso per A.A. a firma
dell’avvocato Aricò, e nel secondo motivo del ricorso per A.A. a firma
dell’avvocato Tringali attengono alla correttezza della ricostruzione dei fatti
ascritti al medesimo A.A. e sussunti nelle fattispecie di favoreggiamento
personale aggravato a norma degli artt. 61, n. 9, e 378, secondo comma, cod.

10

intercettazione debbono ritenersi effettuate nell’ambito di un “identico”

pen. e di rivelazione di segreto d’ufficio, aggravata a norma dell’art. 61, n. 2,
cod. pen.
3.1. La sentenza impugnata ricostruisce le condotte attribuite a A.A.
sulla base delle conversazioni intercettate e dei collegati accertamenti di polizia
giudiziaria.
In particolare, vengono richiamate le conversazioni nei giorni 14, 21, 22, 23,
25, 26, 27 novembre 2012 e 1 dicembre 2012. Alla luce di esse, si rappresenta
che: -) in data 14 novembre 2012 A.A., funzionario addetto alla cancelleria

Pulvirenti, dirigente della cancelleria dell’ufficio G.i.p. del Tribunale di Catania,
delle motivazioni del decreto autorizzativo di intercettazioni di Giovanni
Cassarino; -) in data 21 novembre 2012, dopo aver ricevuto sulla propria utenza
telefonica uno squillo proveniente da quella in uso a Cassarino, A.A. chiedeva
alla convivente, con la quale era in auto, di controllare se fosse prevenuta
richiesta di proroga delle intercettazioni; -) in data 22 novembre 2012, A.A.
contattava S.S. per discutere di Cassarino, indicando quest’ultimo come
«l’amico mio, senza fare nomi»; -) in data 25 novembre 2012, nell’ordine: (a)
A.A., il quale il giorno precedente aveva ricevuto sula sua utenza uno squillo
proveniente da quella in uso a Cassarino, discuteva con S.S. su come
organizzare un incontro con Cassarino, indicato da lui come «l’amico nostro» e
da S.S. con l’esatto nome di battesimo, (b) S.S. contattava Cassarino e
fissava l’incontro per il pomeriggio, (c) S.S., alle ore 12,36, informava A.A.
di quanto concordato e riceveva suggerimenti per evitare di essere intercettato,
(d) S.S., alle ore 17,51, ricontattava A.A. e lo informava dell’incontro
avvenuto tra suo figlio e Cassarino, (e) Cassarino, alle ore 18,52, parlava con la
convivente e le diceva di essersi procurato un nuovo cellulare con nuova scheda
SIM, nonché una nuova autovettura; -) in data 26 novembre 2012, Cassarino
contattava A.A. e i due concordavano un appuntamento che effettivamente
si verificava quel pomeriggio, come constatato da un servizio di appostamento
della polizia giudiziaria; -) in data 27 novembre 2012, dapprima A.A.
chiamava S.S. e gli raccontava dell’incontro con Cassarino, manifestando dubbi
su confidenti di polizia dai quali sarebbero sorte le indagini a carico di
quest’ultinno, e poi la convivente di Cassarino raccontava ad un’amica di come
essi erano stati informati delle investigazioni, riferendole dell’appuntamento con
A.A. tramite S.S., delle intercettazioni disposte sul cellulare e sull’auto in
uso al compagno, e delle modalità attraverso le quali erano stati messi al
corrente della situazione; -) in data 1 dicembre 2012, A.A. e S.S.
commentavano la vicenda e concordavano sull’estraneità di Cassarino a contesti
mafiosi.
11

dell’ufficio G.i.p. del Tribunale di Catania, fu informato dalla convivente Maria

Sulla base di questi elementi, la Corte d’appello rappresenta, in particolare,
che: -) le “accortezze” e gli “accorgimenti” impiegati da A.A. nel corso delle
conversazioni intercettate sono spiegabili proprio come effetto del timore di
essere intercettato; -) il “ritardo” di A.A. nell’informare Cassarino,
individuabile nel decorso di nove giorni tra l’acquisizione della notizia dalla
compagna, avvenuto il 14 novembre 2012, e l’avvio dei contatti con quest’ultimo
tramite S.S., avvenuto in data 22 novembre 2011, non è irragionevole o
incompatibile con la tesi accusatoria, perché solo il giorno precedente, ossia il 21

delle intercettazioni a carico di Cassarino; -) Cassarino cambiò utenza cellulare,
scheda SIM ed autovettura, proprio dopo aver parlato con il figlio di S.S., nel
corso di un incontro precedentemente organizzato da A.A. e S.S., e dopo
che, alcune ore prima, A.A. aveva dato a S.S. suggerimenti per evitare di
essere intercettato; -) la “loquacità” della convivente di Cassarino con l’amica in
ordine alle notizie ricevute sulle intercettazioni in corso non esclude, per
incompatibilità logica, la sussistenza delle condotte di favoreggiamento e di
violazione del segreto d’ufficio in contestazione, tanto più in quanto la donna dice
all’interlocutrice di non poter riferire i nomi dei soggetti coinvolti nella vicenda se
non fuori dell’automobile, per il rischio di intercettazioni all’interno di questa.
3.2. Il discorso giustificativo della Corte d’appello si presenta immune da vizi
logici e giuridici, e fornisce puntuale risposta a tutte le critiche riproposte dal
ricorrente in questa sede. In particolare, anche le deduzioni sulle quali più hanno
insistito i difensori, e che spiegano il “ritardo” di A.A. nell’informare
Cassarino come la conseguenza della scelta di avviare contatti al solo fine di
tutelare l’onorabilità del primo quale “amico di una vita”, o che sottolineano la
richiesta di A.A. a S.S. di far comprendere a Cassarino di non voler essere
contattato in quel periodo, non evidenziano mancanza, contraddittorietà o
manifesta illogicità della motivazione, neppure in una prospettiva di
accertamento della colpevolezza al di là del ragionevole dubbio, ma
costituiscono, piuttosto, prospettazioni finalizzate ad un’alternativa ricostruzione
dei fatti oggetto del processo.

4. Le questioni poste nel terzo motivo del ricorso per A.A. a firma
dell’avvocato Tringali riguardano la mancata applicazione della causa di punibilità
della particolare tenuità del fatto.
La Corte d’appello ha escluso l’applicabilità dell’istituto di cui all’art. 131-bis
cod. pen. sottolineando «l’accentuata gravità dell’offesa e le gravi modalità della
condotta delittuosa».

12

novembre, A.A. aveva ricevuto dalla convivente elementi relativi alla proroga

Le conclusioni sono corrette. Invero, la condotta si è connotata per la
contestuale commissione di due reati, quello di rivelazione di segreto di ufficio e
quello di favoreggiamento personale, entrambi aggravati, il primo per la scopo di
assicurare al beneficiario della condotta illecita l’impunità, l’altro perché
commesso con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione ed al fine
di favorire una persona indagata per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen.
Inoltre, il riferimento alle «gravi modalità della condotta delittuosa» implica un
significativo richiamo alla pluralità di atti compiuti dal ricorrente per contattare,

apprezzabile arco di tempo, ed alla specificità e rilevanza delle notizie
illecitamente fornite.

5. Le questioni poste nel terzo motivo del ricorso per A.A. a firma
dell’avvocato Aricò, e nel quarto motivo del ricorso per A.A. a firma
dell’avvocato Tringali si riferiscono alla mancata concessione delle circostanze
attenuanti generiche.
La sentenza impugnata ha escluso il riconoscimento del beneficio in
questione osservando che agli atti non è emerso alcun elemento valutabile in
favore del ricorrente, tale non potendo essere la sola incensuratezza del
medesimo, ed è inoltre da rilevare la «qualificata gravità» dei fatti.
Anche queste conclusioni sono immuni da vizi.
Se, infatti, il favoreggiamento in favore di indagati per il delitto ex art. 416-

bis cod. pen. e la violazione di doveri inerenti ad una pubblica funzione (ritenuta
correttamente dalla Corte d’appello in relazione al solo favoreggiamento), non
sono di per sé, autonomamente considerati, “fatti” incompatibili con la
concessione delle circostanze attenuanti generiche, la sentenza impugnata
evidenzia la contemporanea presenza di entrambe le situazioni “negative”. Non
possono essere trascurate, inoltre, le complessive connotazioni della vicenda,
come sopra precisate, e per come esposte dalla Corte d’appello. E’ indiscutibile,
ancora, stante l’espresso disposto dell’art. 62-bis, ultimo comma, cod. pen., che
l’incensuratezza dell’imputato «non può essere, per ciò solo, posta a fondamento
della concessione delle circostanze [attenuanti generiche]» (evidenziano questo
aspetto, tra le tantissime, Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv.
270986, e Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Papini, Rv. 260610).

6. Le questioni poste nel secondo motivo del ricorso per S.S. attengono
alla correttezza della ricostruzione dei fatti ascritti al medesimo S.S. e sussunti
nelle fattispecie di favoreggiamento personale aggravato a norma degli artt. 61,

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incontrare ed informare Cassarino, alla loro insistita protrazione in un

n. 9, e 378, secondo comma, cod. pen. e di rivelazione di segreto d’ufficio,
aggravata a norma dell’art. 61, n. 2, cod. pen.
6.1. La sentenza impugnata ricostruisce le condotte attribuite a S.S. sulla
base dei medesimi elementi indicati a carico di A.A. e sintetizzati in
precedenza al § 3.1.
Sulla base di tali elementi, la Corte d’appello rileva, in particolare, che
S.S.: -) ha svolto il ruolo di intermediario tra A.A. e Cassarino, in special
modo consentendo a quest’ultinno di apprendere nell’immediato dell’esistenza di

scheda SIM ed automobile; -) era consapevole della illiceità della condotta posta
in essere, come emerge allorché discute con A.A. degli accorgimenti da
adottare per comunicare più liberamente al telefono, ovvero quando ipotizza con
A.A. l’esistenza di un “delatore” il quale ha consentito intercettazioni a carico
di Cassarino, ovvero ancora come può inferirsi dalla strettissima conseguenzialità
temporale tra l’incontro tra Cassarino ed il figlio di S.S., inviato appositamente
dal padre, e la dismissione da parte di Cassarino di apparecchio telefonico,
scheda SIM ed automobile. Aggiunge, inoltre, che la conversazione tra A.A. e
S.S. sull’inizio delle indagini a carico di Cassarino e sull’esistenza di un
probabile “delatore” denota proprio la consapevolezza dello svolgimento di
intercettazioni nei confronti di Cassarino, e che le informazioni fornite da S.S. a
Cassarino erano precise: i dubbi prospettati nella conversazione tra A.A. e
S.S. attengono esclusivamente alla causa che aveva determinato l’attività
investigativa; le informazioni sull’attività di captazione fornite a Cassarino
avevano consentito a questi di apprendere, già prima di incontrarsi di persona
con A.A., che le intercettazioni si svolgevano anche su una specifica
automobile, come emerge dalle parole della convivente di Cassarino di non poter
fare i nomi dei loro informatori a bordo della vettura per il rischio di essere
“ascoltata”.
6.2. La motivazione sintetizzata è immune da vizi logici e giuridici, e fornisce
puntuale risposta a tutte le critiche riproposte dal ricorrente in questa sede.
In particolare, non solo sono indicati molteplici indizi da cui è desunta la
piena consapevolezza di S.S. di cooperare in un’attività illecita, ma è anche
offerta una puntuale spiegazione del significato da attribuire alle frasi
pronunciate da A.A. e S.S. nel corso della conversazione n. 439 del 27
novembre 2012. Questa spiegazione, in quanto non contraddittoria né
manifestamente illogica, nemmeno in una prospettiva di accertamento della
colpevolezza al di là del ragionevole dubbio, consente anzi di ritenere corretta la
conclusione secondo cui la conversazione indicata, diversamente da quanto
assume il ricorrente, costituisce addirittura specifico (ed ulteriore) elemento
14

intercettazioni a suo carico, tanto da indurlo a cambiare apparecchio telefonico,

indiziante della consapevolezza di S.S. di cooperare al disvelamento di indagini
relative ad un procedimento penale in favore di Cassarino.

7. Le questioni poste nel terzo motivo del ricorso per S.S. sono relative alla
configurabilità del reato di rivelazione di segreto d’ufficio a carico di S.S., in
quanto soggetto privo della qualifica pubblicistica richiesta dall’art. 326 cod. pen.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, il delitto di rivelazione di segreti di
ufficio è configurabile anche nei confronti dell’extraneus in base all’ordinaria

di questi può estrinsecarsi nei modi più vari ed indifferenziati (così Sez. U, n. 420
del 28/11/1981, dep. 1982, Emiliani, Rv. 151619). Ciò posto, secondo i principi
generali, condotta concorsuale è anche quella di colui che presta aiuto
nell’esecuzione materiale del reato. Del resto, più volte si è affermato che è
configurabile la responsabilità

dell’extraneus per concorso nel reato proprio

quando via sia stata cooperazione materiale da parte del medesimo e lintraneo”
esecutore materiale del reato sia riconosciuto responsabile del reato proprio (così
Sez. 6, n. 40303 del 08/07/2014, Zappia, Rv. 260465, in riferimento al concorso
nel reato di abuso di ufficio, e Sez. 6, n. 36166 del 18/06/2004, Barletta, Rv.
229948, relativamente al reato di cui all’art. 151 cod. pen. militare pace).
Ciò posto, alla luce di quanto evidenziato in precedenza al § 6.1, avendo
riguardo al profilo obiettivo, la condotta di S.S. risulta essere stata essenziale
per la rivelazione delle notizie coperte da segreto d’ufficio a Cassarino, e, quindi,
ha integrato una forma di cooperazione materiale efficiente ai fini della
realizzazione del reato. Avendo riguardo, poi, al profilo dell’elemento psicologico,
la consapevolezza di S.S. di riferire a Cassarino notizie concernenti indagini
penali ed intercettazioni telefoniche ed ambientali rivelategli da un funzionario
dell’ufficio G.i.p. del Tribunale di Catania, ossia dell’ufficio istituzionalmente
competente a disporre le intercettazioni, costituisce elemento idoneo a
supportare, quanto meno in termini di non manifesta illogicità, la consapevolezza
del ricorrente di concorrere nella rivelazione di un segreto di ufficio.

8. Le questioni poste nel quarto motivo del ricorso per S.S. riguardano la
configurabilità del reato di favoreggiamento personale a carico dello stesso,
stante il mancato accertamento della commissione del reato “presupposto”.
Occorre innanzitutto premettere che il tema dell’insussistenza del reato
presupposto non risulta dedotto con i motivi di appello, e che tale omissione, di
per sé, integra l’inammissibilità della censura a norma dell’art. 606, connma 3,
cod. proc. pen., anche perché la prospettazione richiedeva, in concreto,
l’effettuazione di specifici accertamenti di fatto.

disciplina del concorso di persone nel reato, e la condotta penalmente rilevante

In ogni caso, per escludere la configurabilità del delitto di favoreggiamento
personale non è sufficiente il mancato accertamento del reato presupposto, ma
occorre che risulti positivamente accertata l’obiettiva insussistenza del fatto. A
tali conclusioni, induce, in particolare, la previsione di cui all’ultimo comnna
dell’art. 378 cod. pen., in forza della quale le disposizioni dell’intero articolo
appena citato «si applicano anche quando la persona aiutata non è innputabile o
risulta che non ha commesso il delitto». Ed infatti, in giurisprudenza, risulta
esclusa la configurabilità del reato di favoreggiamento solo quando gli imputati

19/11/2013, dep. 2014, Perreca, Rv. 258996, e Sez. 6, n. 59 del 221/11/2002,
dep. 2003, Ayachi Belgacenn, Rv. 223193); in passato, anzi, si era anche più
volte affermato che l’assoluzione per insufficienza di prove della persona aiutata
non esclude, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 378 cod. pen., il delitto
di favoreggiamento personale (cfr. Sez. 6, n. 10414 del 12/12/1989, dep. 1990,
Bettinelli, Rv. 184937, e Sez. 3, n. 5695 del 03/03/1982, Vergine, Rv. 154142).
Nella vicenda in esame, non risulta pronunciata alcuna sentenza di
assoluzione perché il fatto non sussiste con riferimento al reato di cui all’art.
416-bis cod. pen. nei confronti del soggetto “favorito”, Giovanni Cassarino, e
nemmeno un decreto di archiviazione. Del resto, lo stesso ricorso si limita a
rappresentare che «la ritenuta ipotesi di partecipazione all’associazione mafiosa
da parte del Cassarino non risulta essere stata ulteriormente sostenuta (così
evidenziandosene l’inesistenza in fatto)», dopo l’iscrizione nel registro delle
notizie di reato, ma nulla dice su formali epiloghi decisori.

9. Le questioni poste nel quinto motivo del ricorso per S.S. concernono la
mancata applicazione della causa di punibilità della particolare tenuità del fatto.
La Corte d’appello ha escluso l’applicabilità dell’istituto di cui all’art. 131-bis
cod. pen. sottolineando «la accentuata gravità dell’offesa e le gravi modalità
della condotta delittuosa».
Le conclusioni sono corrette. Invero, come si è già rilevato con riferimento
alla posizione del coimputato A.A. (v. supra § 4.), la condotta si è connotata
per la contestuale commissione di due reati, quello di rivelazione di segreto di
ufficio e quello di favoreggiamento personale, entrambi aggravati. Inoltre, il
riferimento alle «gravi modalità della condotta delittuosa» implica un significativo
richiamo alla pluralità di atti compiuti (anche) da S.S. per contattare,
incontrare ed informare Cassarino, alla loro insistita protrazione per un
apprezzabile arco di tempo, ed alla specificità e rilevanza delle notizie
illecitamente fornite.

16

sono stati assolti perché il fatto non sussiste (così Sez. 6, n. 6751 del

10. Le questioni poste nel sesto motivo del ricorso per S.S. si riferiscono
alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
La sentenza impugnata ha escluso il riconoscimento del beneficio in
questione osservando che agli atti non è emerso alcun elemento valutabile in
favore del ricorrente e che la richiesta è stata avanzata in termini generici.
Anche questa conclusione risulta corretta. Nessun vizio logico o giuridico,
infatti, è rilevabile anche in considerazione delle complessive connotazioni della
vicenda, in precedenza precisate, per come puntualmente esposte dalla sentenza

11. Alla complessiva infondatezza delle censure proposte, segue il rigetto dei
ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 4 maggio 2018

impugnata.

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