Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2628 del 21/11/2012


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 2628 Anno 2013
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: SANTALUCIA GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) DELLA VENTURA ANTONIO N. IL 27/10/1964
avverso l’ordinanza n. 4169/2007 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
06/06/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIU EPP%
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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 21/11/2012

RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Napoli ha confermato l’ordinanza del 13 febbraio 2012 con la
quale il giudice per le indagini preliminari di quella città ha applicato a Antonio Della Ventura la
misura cautelare della custodia in carcere per i reati: di concorso, con il figlio Fulvio,
nell’illegale detenzione e porto in luogo pubblico di quattro mini kalashnikov e tre pistole cal.
9×21, aggravato dall’art. 7 I. n. 203 del 1991; e di partecipazione, in funzione direttiva, ad
un’associazione per delinquere finalizzata all’illecito commercio di sostanze stupefacenti,

l’associazione camorristica Belforte di Marcianise ed avvalendosi delle condizioni di cui all’art.
416-bis c.p.
Il Tribunale del riesame ha fatto innanzitutto richiamo, per semplificazione della
motivazione, al provvedimento applicativo della misura cautelare, e ciò per quel che concerne
l’illustrazione del materiale indiziario in ordine al fatto associativo finalizzato allo spaccio di
stupefacenti e all’esistenza del clan Belforte.
In riguardo ai rapporti tra il clan Belforte e l’associazione per delinquere capeggiata da
Fulvio Della Ventura, il Tribunale ha precisato che non solo vi è coincidenza soggettiva,
seppure parziale, ma ha aggiunto che il clan Belofrte assicurava all’altra associazione di potere
liberamente spacciare in determinati territori della provincia di Caserta, in cambio di un
canone, una sorta di contributo di vassallaggio. In un solo caso, come emerge
dall’intercettazione ambientale del 10 ottobre 2007 – n. 276 -, si è avuta una compensazione
tra il debito contratto da Fulvio Della Ventura nei confronti del clan Belforte e il credito vantato
da Antonio della Ventura a titolo di mantenimento della famiglia in costanza della sua
detenzione carceraria, e ciò proprio per il fatto che Antonio Della Ventura era partecipe di
spicco di entrambi i sodalizi.
Il fatto poi di esercitare l’illecito commercio di sostanze stupefacenti nella
consapevolezza dell’accordo intercorso con il clan Belforte in ordine alle zone riservate a quella
attività ad opera del sodalizio capeggiato da Della Ventura è indice della consapevolezza in
capo agli agenti di favorire il clan Belforte, che assicurava la spartizione delle zone di spaccio.
Il Tribunale ha poi precisato che il materiale indiziario si compone essenzialmente delle
numerosissime ed esaurienti intercettazioni ambientali e telefoniche e dalle dichiarazioni del
collaboratore di giustizia Massimo Belgiorno, il cui apporto dichiarativo è stato valutato alla
luce dei criteri giurisprudenziali in materia di chiamata in correità, secondo i parametri della
verifica di attendibilità e di riscontro esterno di natura oggettiva.
In ordine ai singoli addebiti, il Tribunale ha fatto richiamo, in riferimento ai reati
concernenti le armi, al contenuto della conversazione ambientale n. 977 del 24 ottobre 2007,
citata nell’ordinanza, che è tanto eloquente ed esplicito da non fornire possibilità di altra
ragionevole interpretazione. In ordine al reato associativo, ha indicato ai numerosi risultati
intercettativi dai quali emerge come il ricorrente desse istruzioni alla moglie Concetta
Buonocore e al figlio Fulvio nella gestione dell’attività di traffico di cocaina.
2

anch’esso aggravato dall’art. 7 I. n. 203 del 1991, reati entrambi commessi al fine di agevolare

C

i.
Ha quindi escluso che detto fatto, limitato come da deduzione difensiva al maggio 2004,
quando il ricorrente fu arrestato, possa dirsi identico rispetto a quello imputato nel
procedimento n. 8247/04 R.G.N.R. del Tribunale di Napoli, conclusosi con sentenza di
assoluzione divenuta irrevocabile per assenza di coincidenza con riguardo all’ambito territoriale
e ai componenti del sodalizio criminoso.
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso, per mezzo del difensore avv.to A. Abet,
Antonio Della Ventura, deducendo:

regola del divieto del

bis in idem

in riguardo all’addebito di partecipazione

all’associazione di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990. In maniera illogica e
intrinsecamente contraddittoria è stata affermata la non sovrapponibilità
dell’addebito cautelare e dell’imputazione di associazione per delinquere finalizzata
allo spaccio di sostanze stupefacenti, rispetto a cui è intervenuta sentenza
irrevocabile di assoluzione nel procedimento n. 8247/04 N.R. dello stesso Tribunale
di Napoli. Il Tribunale, nonostante l’identità soggettiva, temporale e territoriale ha
escluso l’identità del fatto, e a quel fine non può valere il rilievo che la contestazione
cautelare abbia riguardo anche a un periodo successivo a quello a cui fa riferimento
l’imputazione per la quale è stata pronunciata assoluzione. Si tratta, infatti, di una
conseguenza che deriva dal periodo di accertamento dei delitti e, quindi, da fattori
casuali e da scelte investigative, elementi che non intaccano la materialità del reato.
Violazione di legge e difetto di motivazione in ordine al giudizio di sussistenza di
gravi indizi di colpevolezza per il fatto associativo. Gli indizi in atti, in particolare
quelli desunti dal materiale intercettativo, attestano, al più, i contatti tra il ricorrente
ed i familiari, ma nulla dicono sulla condotta di partecipazione associativa. Non è poi
ravvisabile qual tipo di contributo il ricorrente abbia offerto all’associazione e, ancor
prima, l’esistenza stessa di un’associazione e di una sua struttura organizzativa.
L’ordinanza ha fatto riferimento a specifici e limitati episodi che escludono l’esistenza
di qualsivoglia programma criminoso. L’esistenza di una struttura associativa è
stata, per il vero, ipotizzata soltanto sulla base di una soggettiva interpretazione del
contenuto dei colloqui intercettati.
– Violazione di legge e difetto di motivazione in ordine al giudizio di sussistenza di
gravi indizi di colpevolezza per i reati di illegale detenzione e porto in luogo pubblico
di armi. Pur a voler ipotizzare che la conversazione intercettata il 24 ottobre 2007 n.977 – abbia ad oggetto armi, deve prendersi atto che il ricorrente non ha fatto
nulla. Il Tribunale, illogicamente, ha dato certezza probatoria a circostanze che sono
qualificate dalla stessa polizia giudiziaria in modo probabilistico per l’assenza di
riscontri probatori.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso sono manifestamente infondati, per le ragioni di seguito esposte.
3

violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alla mancata applicazione della

Trasmessa copia ex art. 23
n. i ter L. 8-8-95 n. 332
Roma, li 44 Quanto al primo motivo, l’ordinanza ha messo in evidenza la diversità, per ambito
territoriale e composizione soggettiva, delle due associazioni criminali per le quali è stato
genericamente invocato il divieto del bis in idem, avendo l’interessato, già in sede di merito
cautelare, prodotto soltanto il dispositivo della sentenza divenuta irrevocabile. Con questi rilievi
il ricorrente non si è misurato, proponendo così la questione in termini, oltre che generici,
anche manifestamente infondati. A ciò si aggiunga che i periodi temporali di commissione dei
fatti non sono coincidenti, dato che l’addebito cautelare copre un arco più ampio, il che

Il secondo motivo è manifestamente infondato, perché non evidenza alcuna manifesta
illogicità o carenza motivazionale, ma propone una diversa, e riduttiva, valutazione del
materiale indiziario, che non può essere oggetto di considerazione nella sede di legittimità.
Circa, poi, il ruolo associativo addebitabile al ricorrente, è qui sufficiente richiamare quanto
affermato dall’ordinanza impugnata (fl 7), e cioè che dal risultati delle operazioni di
intercettazione è emerso che Antonio Della Ventura, tramite la moglie, impartiva al figlio
istruzioni e direttive nella gestione dell’attività di traffico di cocaina.
Il terzo motivo è parimenti manifestamente infondato, oltre che generico nella misura in
cui si compone di giudizi circa l’erroneità del ragionamento indiziarlo, ma non illustra le
specifiche ragioni che sostengono siffatti giudizi. Ancora una volta il ricorrente tenta di
introdurre una diversa lettura del materiale indiziarlo, che si sostituisca a quella fatta propria
dal giudice del merito cautelare, e conseguentemente non delinea vizi censurabili in sede di
legittimità.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna alle spese e
a una somma, che si reputa equa nella misura di C 1000,00, in favore della Cassa delle
ammende, non sussistendo alcuna ipotesi di carenza di colpa del ricorrente nella
determinazione della causa d’inammissibilità, secondo l’orientamento espresso dalla Corte
Costituzionale con la sentenza n. 186 del 2000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del procedimento e
al pagamento della somma di C 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al direttore
dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. c.p.p.
Così deciso il 21 novembre 2012.

impedisce di apprezzare l’identità richiesta ai fini dell’applicazione del divieto del bis in idem.

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