Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26263 del 10/04/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 26263 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: D’ISA CLAUDIO

\

SENTENZA

I
..
SuA ricorsi propos4 da:

1. BOLDETTI PIETRO ANTONIO

n. il 01.06.1939

2. SIMBULA ADRIANO

n. il 23.11.1968

3. DETTORI MARIO LEONARDO

n. il 18.05.1956

avverso la sentenza n. 1231/2010 della Corte d’appello di Cagliari del 22.10.2010
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
Udita all’udienza pubblica del 10 aprile 2015 la relazione fatta dal Consigliere dott.
Claudio D’Isa.
Udite le richieste del Procuratore Generale, nella persona del dott.ssa Maria
Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

L’avv. Endrich Enrica Anedda chiede l’accoglimento dei ricorsi.

Data Udienza: 10/04/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Cagliari, con sentenza del 21.12.2007, dichiarava la penale
responsabilità di

Boldetti Pietro Antonio, Simbula Adriano e Dettori Mario

Leonardo, in ordine al reato di cui all’art. 589, co. 3 cod. pen., relativo alla morte
dell’operaio Enrico Pinna, cagionata da folgorazione provocata da una scarica di
corrente elettrica che lo aveva attraversato mentre, la mattina del 5 agosto 2003, in
località Genna Retza in agro di Fluminimaggiore, stava operando su di una linea
elettrica aerea, in quanto dipendente della società MBM Costruzioni S.p.a., di cui gli

responsabile tecnico di cantiere e preposto a caposquadra, in esecuzione di un
contratto di appalto stipulato tra la predetta MBM con la società ENEL.
Si precisava in sentenza che il procedimento era stato iniziato anche a carico di
Mulas Marco e Luciano Diano, operatori dell’ENEL, definito con il rito ex art. 444 c.p.p.,
ed, in particolare, la condotta colposa contestata a costoro, presenti sul cantiere il
giorno dell’infortunio mortale, era consistita nell’avere eseguito un non corretto ed
incompleto sezionamento (eliminazione della tensione elettrica) della linea elettrica su
cui doveva operare il Pinna, con conseguente persistenza di tensione in almeno uno
dei conduttori costituenti la linea, nell’aver omesso di accertare l’effettiva messa fuori
tensione della linea elettrica aerea, e nel non avere adeguatamente valutato la
situazione di rischio evidenziata da fenomeni di scintillio tra i morsetti del dispositivo di
messa in corto circuito ed i conduttori nudi della linea elettrica, fenomeni verificatisi e
segnalati dai dipendenti della MBM sin dall’inizio dell’attività lavorativa che avrebbero
dovuto imporre l’immediata sospensione delle lavorazioni sino all’accertamento ed
eliminazione degli scintillii.

I profili di colpa riconosciuti a carico dei responsabili della MBM, come contestati,
sono stati ravvisati: per il BOLDETTI, in quanto (in violazione degli artt. 3 e 4 D.Ivo
626/94, ed in relazione all’art. 8 stesso Divo) nella sua qualità di datore di lavoro,
ometteva, nella redazione del Piano operativo di Sicurezza, la individuazione delle
specifiche procedure di sicurezza imposte dalle norme CEI, con particolare riferimento
alla parte in cui le stesse prevedono che, prima di dare inizio alla esecuzione di lavori
su linee elettriche, si debba verificare con idonea strumentazione che tutte le parti
attive o quelle che, comunque, possano interferire con la zona di lavoro, siano state
messe fuori tensione ed in sicurezza, ed ometteva altresì di indicare nell’elenco delle
attrezzature, previste per le lavorazioni a contatto con linee elettriche aeree, la
adozione di idoneo strumento atto alla verifica di assenza di tensione. Nonché,
unitamente al SIMBULA e DETTORI, nelle loro qualità, – in violazione degli artt. 34 e
35 del medesimo Divo, in relazione all’art. 348 d.p.R. 547/55 – non mettevano a
disposizione dei lavoratori dipendenti attrezzature idonee alla verifica strumentale

imputati erano rispettivamente Presidente del Consiglio di amministrazione,

della eventuale presenza di tensione sulla linea aerea, ed omettevano, altresì, di
fornirli di indumenti adeguati ed idonei alla effettuazione dei lavori a contatto con
conduttori nudi sotto tensione.
La Corte d’appello di Cagliari, adita dagli imputati, con la sentenza indicata in
epigrafe, nel fare proprio l’impianto motivazionale della sentenza di primo grado,
rigettava

ritenendo infondati i relativi motivi.

2. Ricorrono per cassazione, con un unico atto, il BOLDETTI, il SIMBULA ed il
DETTORI .

e 182, 228, 191, 453, 500, 511, 514 cod. proc. pen., nonché manifesta
contraddittorietà della motivazione.
Si rileva che il Tribunale ha acquisito tutti i verbali di sommarie informazioni
assunte dai consulenti del P.M. in sede di espletamento della consulenza / con
provvedimento emesso all’udienza del 27.10.2006, ciò in violazione dell’art. 500 c.p.p.
che dispone il divieto di lettura delle allegazioni delle dichiarazioni rese dai testimoni
durante le indagini; la sentenza impugnata, pur richiamando la disposizione di cui
all’art. 228 c.p.p., giustifica il provvedimento del Tribunale sulla base di un vago
giudizio, riferito allo scarso rilievo che, comunque, le dichiarazioni assunte dai
consulenti avrebbe avuto nella decisione di primo grado, ma ciò non toglie, per la
Difesa, che il giudice è obbligato a decidere solo servendosi degli atti legittimamente
acquisiti. Per altro, erronea è l’affermazione della Corte d’appello, che, nel rilevare che
trattasi comunque di nullità relativa, essa sarebbe stata sanata per non essere stata
eccepita nei termini previsti dal codice di rito; invero, si evidenzia che l’eccezione fu
sollevata dalla Difesa e trascritta a verbale proprio all’udienza del 27.10.2006 subito
dopo l’ordinanza dibattimentale del Tribunale.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 468 e 495 c.p.p.. La
Difesa, al termine dell’udienza del 23.01.2007, aveva chiesto di poter sentire un
consulente di parte proprio in riferimento alla decisione del Tribunale di acquisire i
verbali di sommarie informazioni redatti dai consulenti. Inopinatamente il giudice di
primo grado ha rigettato la richiesta non disponendo una perizia basando
esclusivamente la sua decisione sulle valutazioni dei consulenti del P.M..
Con il terzo motivo la denunciata violazione riguarda gli artt. 40, 41 e 43 cod.
pen..
La sentenza ha del tutto ignorato le norme che impongono precisi obblighi a
carico del lavoratore e del preposto ed ha trascurato l’abnorme comportamento di
quest’ultimo. Ha inoltre fatto carico al BOLDETTI, presidente del consiglio di
amministrazione, non presente sul luogo, del comportamento della vittima, benché
egli avesse provveduto a formare adeguatamente tutta la squadra delle MBM con
preposti e tecnici qualificati ed avesse predisposto un POS in conformità delle norme

Con il primo motivo denunciano violazione di legge, nella specie degli att. 185

CEI e con la certificazione di qualità ed avesse messo a disposizione dei lavoratori gli
indumenti adeguati e le attrezzature necessarie ad eseguire i lavori.
Il quarto motivo ha ad oggetto la violazione delle norme CEI, dell’art. 43 cod.
pen. e vizio di motivazione con riferimento al contratto di appalto tra ENEL e MBM.
Si premette che l’incarico e gli obblighi della MBM e dell’ENEL erano precisati dal
contratto di appalto intercorso tra le stesse società. In particolare, il contratto
d’appalto – formato dalla lettera d’ordine, dalla lettere( d’accettazione (firmata dal
BOLDETTI), dall’elenco compensi, dalla scheda delle norme integrative CEI, con le
prescrizioni concernenti i rapporti tra l’ENEL e le imprese appaltatrici per lavori fuori

e l’appaltatrice dovevano lavorare, fuori tensione.
Il

quinto motivo

denuncia vizio di motivazione

per contraddittorietà e

manifesta illogicità con riferimento ai documenti acquisiti. Da un lato la Corte
d’appello, nell’affermare che le procedure di controllo sulla linea elettrica per verificare
l’avvenuta operazione di sezionamento erano di competenza esclusiva dell’ENEL,
censura la sentenza di primo grado, secondo la quale le procedure di sicurezza
dovevano essere attuate dalla MBM con la conseguenza che il Pinna sarebbe dovuto
essere messo nelle condizioni di eseguire tali controlli. Dall’altro lato la sentenza
d’appello cade in contraddizione con se stessa laddove afferma che l’ultima fase di
procedura era di competenza della MBM, ciò in contrasto con quanto prescritto dalla
lettera di accettazione sottoscritta dal BOLDETTI.
Con il sesto motivo si eccepisce la violazione delle norme CEI e di quelle
integrative e vizio di motivazione. Si argomenta che la Corte d’appello, nel sostenere
la responsabilità degli imputati, indica una norma CEI – n. 50110/1 del 1998 – e ne dà
un’applicazione totalmente erronea; la norma enuncia un principio generale secondo il
quale per qualsiasi operazione in prossimità di un impianto elettrico si deve fare
riferimento alla valutazione dei rischi specificando come l’operazione o l’attività
lavorativa devono essere eseguite in sicurezza, e non indica il soggetto, che deve
eseguire le procedure di sicurezza, soggetto che viene, invece, individuato dalla
scheda integrativa CEI nel preposto conduzione impianto e cioè nel caso MULAS
Marco, operaio dell’ENEL.
Il settimo motivo ha ad oggetto la censura di violazione di legge nella specie
dell’art. 348 d.P.R. 547/55 e degli artt. 3-4 , 34-35 del D,Ivo 626/94 e 78 del D.Igs
81/2008, nonché vizio di motivazione.
Premesso che, trattandosi di lavori su linea elettrica non in tensione che non
richiedono obblighi di attrezzature specifiche, è, in ogni caso, emerso dalla
documentazione acquisita che i vertici dell’azienda avevano messo a disposizione degli
operai tutti gli indumenti elencati nella norma e gli indumenti adeguati ai lavori da
svolgere e prescritti dalle norme del settore, come emerge dalle ricevute di sottoscritte
dal Pinna, totalmente ignorate in sentenza.

Li

tensione, attribuiva all’ENEL l’onere di consegnare l’impianto, sul quale la committente

Con motivi ottavo, nono e decimo si denuncia violazione di legge di tutte le
norme che impongono obblighi al lavoratore e del preposto nonché vizio di
motivazione, e conseguente insussistenza del nesso causale tra la condotta contestata
agli imputati e l’evento morte determinato esclusivamente dal comportamento
abnorme della persona offesa, e, comunque, per omessa valutazione del concorso di
colpa della vittima.
Le sentenze di merito omettono di motivare circa il comportamento del
lavoratore assunto in totale violazione delle numerose norme di legge tese a porre
precisi obblighi a carico del lavoratore: art. 6 del d.p.R. 547/1955, art. 5 del D.Lgs

ancora più rigorosi tenendo conto del fatto che egli era preposto alla conduzione
lavoro. Una posizione che lo poneva gerarchicamente superiore agli altri collaboratori
presenti, lo rendeva responsabile della sicurezza del lavoro e gli imponeva di essere
ancora maggiormente prudente anche nell’interesse dell’azienda. E’ assolutamente
arbitraria e contrastante con le risultanze probatorie l’affermazione della sentenza di
secondo grado che il Pinna fosse stato mandato allo sbaraglio. Il Pinna liberamente
aveva accettato quel ruolo e se ne era assunto le responsabilità: lo aveva assunto
dopo un lungo apprendistato, come dimostrato dalla documentazione allegata.
Ne consegue per i ricorrenti che i fatti che hanno determinato la morte del Pinna
furono abnormi ed imprevedibili e nello stesso modo deve essere considerato
l’esorbitante ed inopinabile comportamento della p.o., questa ha contravvenuto ad un
ordine dell’azienda, ha assunto un comportamento non connesso con l’attività
lavorativa che prevedeva solo lavori fuori tensione e dunque esorbitante rispetto alle
consegne ben chiare ricevute, consapevolmente ha violato le norme di cautela
suggerite dalla prudenza e dalla stessa ditta e ha ignorato consapevolmente ed
aggravato una situazione di pericolo chiaramente ravvisabile nella situazione dallo
scintillio sprigionato dai cavi elettrici sintomo che la tensione elettrica non era stata
eliminata. Circa poi la inevitabilità dell’evento si rileva che i dispositivi di sicurezza,
come accertato, erano stati portati sul luogo dall’ENEL, dunque nulla sarebbe mutato
qualora li avessero avuti con se i lavoratori della MBM. Inoltre, è stato anche accertato
che il Pinna venne fulminato perché fu così negligente che, pur indossando i guanti,
toccò i fili con le parti nude e, dunque, indumenti differenti a nulla sarebbero serviti.
Nonostante la chiara incidenza della condotta della persona offesa nella
causazione dell’evento i giudici del merito non fanno alcun accenno al concorso, non
considerando che il comportamento imprudente del lavoratore può rilevare come
concausa dell’infortunio e la responsabilità del datore di lavoro deve essere
proporzionalmente ridotta.
La sentenza, inoltre, si evidenzia, ha omesso di valutare la colpa dei ricorrenti,
anche ai fini della richiesta prevalenza delle attenuanti generiche. Il fatto che gli stessi
furono ingannati dall’ENEL e dalle Norme CEI, e furono ingannati dagli esperti

5

626/1994, ed art. 20 del D.Igs 81/2008. Si argomenta che gli obblighi del Pinna erano

qualificati che predisposero insieme al BOLDETTI il piano di sicurezza e dagli esperti
che tennero i corsi di formazione ai quali partecipò il Pinna.
Con l’undicesimo motivo si censura la sentenza, sotto il profilo di violazione di
legge e vizio di motivazione, per avere omesso di individuare l’incidenza causale di
coloro che la stessa sentenza considera i principali responsabili dell’infortunio: gli
operai dell’ENEL.
Con memoria depositata nei termini i ricorrenti si deposita la sentenza del GIP
del Tribunale di Cagliari di applicazione della pena concordata nei confronti degli operai
dell’ENEL Mulas e Diana, a conforto di quanto già argomentato sulla responsabilità

responsabile della sicurezza e sul quale gravava l’obbligo di sospendere i lavori.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. I motivi esposti sono infondati e determinano il rigetto dei ricorsi.
Questa Corte, chiamata ad esaminare le denunciate violazioni di legge nonché la
contraddittorietà e la carenza motivazionale, non può fare a meno di valutare le
diverse questioni proposte, atteso che la verifica della coerenza logica di tutto il
percorso argomentativo della impugnata sentenza è emerso in maniera del tutto
chiara, anche laddove ha fatto proprio le motivazioni, in fatto ed in diritto, del giudice
di primo grado.
3.1 Condivisibile pienamente è l’argomentazione posta a base della valutazione
che la Corte d’appello ha fatto della censura oggetto del primo motivo del ricorso, in
quanto aderente al dato normativo ed alla giurisprudenza di questa Corte.
E’ indubbio, infatti, che debba trovare applicazione, come ritenuto dalla Corte del
merito, l’art. 228 c.p.p., comma 3, secondo cui “qualora ai fini dello svolgimento
dell’incarico, il perito richieda notizie all’imputato, alla persona offesa o ad altre
persone, gli elementi in tal modo acquisiti possono essere utilizzati solo ai fini
dell’accertamento peritale”. Pur facendo la norma in questione riferimento al perito, è
pacifico che essa debba “valere” anche nei confronti del consulente per identità di ratio
legis. Il consulente, così come il perito, hanno la facoltà di chiedere notizie alla
persona offesa, all’indagato/imputato, alle persone informate sui fatti in quanto egli, in
tal modo, viene a svolgere non solo una funzione critica e scientifica, ma anche
un’attività di percezione e ricezione di notizie (c.d. Potere istruttorie del perito).
Orbene l’art. 228 c.p.p., comma 3, consente l’utilizzazione degli elementi acquisiti
nell’ambito della funzione percettiva e recettiva solo ai fini dell’esercizio della funzione
critico – scientifica (“solo ai fini dell’accertamento peritale” dice la norma). I risultati
istruttori acquisiti dal perito, insomma, possono essere utilizzati solo dal medesimo per
rispondere ai quesiti, e non dal giudice per l’accertamento della verità processuale (cfr.
Cass. pen. sez. 3 13.11.2007 n.2001).

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esclusiva di costoro e dello steso Pinna che era il preposto alla conduzione dei lavori,

Ciò precisato, la questione sottoposta dai ricorrenti non riguarda la violazione dei
principi enunciati. Invero, la Corte, dopo aver premesso che all’udienza (in Tribunale)
del 27.10.2006, il P.M., stante l’opposizione della Difesa alla acquisizione degli allegati
alla consulenza, ha fatto una lunga precisazione sulla natura ed il contenuto degli
allegati di cui chiedeva la produzione, senza menzionare le sommarie informazioni,
specifico oggetto della censura, rileva che la decisione del Tribunale di acquisire “tutti”
gli allegati risponde alla mera esigenza di documentare la corrispondenza fra le
valutazioni dei due consulenti e le informazioni che le hanno determinate o
condizionate. In buona sostanza, vuol dire che il Tribunale ha effettuato l’esame

dibattimentale, per verificarne la validità tecnica con riferimento agli atti “istruttori” da
essi compiuti. Ma ciò che più rileva, in ordine alla ritenuta infondatezza della censura,
è che il Tribunale, come rimarcato dai giudici dell’appello, non ha affatto ricostruito i
fatti sulla base dei verbali delle sommarie informazioni acquisite dagli ausiliari, bensì
soprattutto sulle deposizioni dibattimentali dei testi Casu e Cocco ( anch’essi sentiti dai
consulenti), e non di altri.
Sicché, si è fuori dal divieto di utilizzazione delle informazioni assunte dai
consulenti, nel senso che, ancorché si voglia considerare non consentita l’acquisizione
agli atti di dette informazioni, non avendo esse inciso sul convincimento del giudice
(prova di resistenza) sono da ritenersi tam quam non essent.
Del resto, il motivo si palesa anche generico, in quanto, proprio in ragione di tale
specifico rilievo contenuto in sentenza, i ricorrenti avrebbero dovuto indicare
specificamente i punti delle dette informazioni utilizzate dal Tribunale per basare la
propria decisione circa la responsabilità degli imputati. Vi è ancora da dire, ciò a
riprova della non influenza nel processo di tali acquisizioni, che, sostanzialmente, circa
la ricostruzione del fatto, non vi è contestazione, ed oggetto delle dichiarazioni
testimoniali del Casu e del Cocco, nonché delle informazioni acquisite dai consulenti, è
proprio la ricostruzione del fatto; altre, come esposto nella parte narrativa, sono le
censure che colpiscono la sentenza, con specifico riferimento alla insussistenza, in
capo ai ricorrenti, della posizione di garanzia per ognuno di essi, e del nesso causale
essendo stato addotto che l’evento è stato determinato da esclusivo comportamento
negligente ed imprudente della vittima.
Ritenuta, pertanto, non violativa di alcuna regola processuale, e, comunque,
non influente ai fini della decisione, l’ordinanza dibattimentale di acquisire agli atti gli
allegati alla relazione dei consulenti del P.M., resta del tutto irrilevante la questione
circa la tempestività o meno della eccezione da parte della Difesa.
3.2 Alla stregua di quanto sino ad ora esposto risulta parimenti del tutto
infondato il secondo motivo dovendosi ritenere, al di là della tempestività o meno della
richiesta istruttoria, questione su cui si è intrattenuta la Corte del merito, superflua
l’audizione in dibattimento di un consulente di parte (richiesta con riferimento alle

II,

dell’attività, svolta dai consulenti del P.M., per altro all’esito della loro audizione

informazioni acquisite con l’ordinanza del 27.10.2006) atteso che di quelle
informazioni il Tribunale non ne poteva tener conto come in effetti è stato.
3.3. il terzo motivo verrà esaminato contestualmente ai motivi ottavo, nono e
decimo riguardando esso il denunciato comportamento negligente della persona
offesa.
Logicamente preliminare è la trattazione della contestata posizione di garanzia
in capo ai ricorrenti sotto il duplice profilo dell’erronea interpretazione del contratto
d’appalto intercorso tra l’ENEL e la MBM (quarto motivo), e della dedotta violazione di
legge con riferimento alle norme CEI e di quelle integrative (motivi quinto e sesto).

Boldetti, egli non ha prospettato in ricorso censure circa la mancata previsione nel POS
di specifiche procedure in linea con la normativa CEI e della predisposizione di
adeguati strumenti di rilevazione e con la messa a terra e con la cortocircuitazione
quali ulteriori misure di prevenzione atte a ridurre l’esposizione al rischio da
elettrolocuzione, avendo egli ritenuto assorbente la non titolarità della posizione di
garanzia in ragione dei due profili prima evidenziati. A loro volta il Simbula ed il
Dettori, relativamente alla contestazione della violazione della disposizione di cui
all’art. 34 D.Lvo 626/94 ed all’art. 348 d:p.R. 547/55, comune anche al Boldetti, solo
dopo aver contestato la titolarità della posizione di garanzia, hanno opposto in fatto di
avere messo a disposizione le attrezzature e gli indumenti idonei a prevenire infortuni
sul lavoro del tipo di quello oggetto del procedimento.
Quanto al primo profilo i ricorrenti, più in particolare, hanno evidenziato che il
contratto stabiliva inequivocabilmente, come prescrivono le norme CEI richiamate, che
gli operai dell’ENEL dovevano disattivare la linea e consegnarla fuori tensione dopo
aver posto in essere anche tutte le operazioni di verifica di assenza di tensione.
Dunque, si afferma, la sentenza impugnata, nel sostenere che la MBM avesse l’obbligo
di impedire che si verificasse la morte del Pinna, trascura la netta posizione di garanzia
assunta dall’ENEL, che, in qualità di committente dei lavori, pone le regole e le
condizioni dei contratti d’appalto, con conseguente affidamento da parte della MBM
sull’operato dell’ENEL ed esclusione, ai sensi dell’art. 43 cod. pen., di ogni addebito di
colpa ai tre imputati.
L’argomentazione non è condivisibile poiché, se accettata, farebbe venire meno
gli obblighi, legislativamente previsti dagli artt. 3 e 4 D.Lvo 626/1994 [ovviamente
non trova applicazione il d.lgs. n. 81/2008, entrato in vigore successivamente
all’accadimento

de quo,

ancorché vi è corrispondenza contenutistica con le

disposizioni di cui all’abrogato d.Lvo 426/94 (cfr. Sez. 4, n. 42018 del 12/10/2011 dep. 15/11/2011, Marsiletti, Rv. 251932 per la quale sussiste continuità normativa tra
l’art. 4 D.Lgs. n. 626 del 1994 concernente gli obblighi del datore di lavoro, del
dirigente e del preposto – ancorché formalmente abrogato dall’art. 304 D.Lgs. n. 81
del 2008 )] ed, in particolare, dall’art. 348 d.P.R. 547/1955 ed art. 34 DI.vo 626/1994,

8

E’ da precisare, in ordine alle specifiche contestazioni, che, per quanto riguarda il

in capo al datore di lavorgédi prevenzione degli infortuni con riferimento ai rischi da
elettrolocuzione, indipendentemente dalle norme CEI, richiamate dal contratto di
appalto de quo (scheda integrativa), che, secondo i ricorrenti, porrebbero l’osservanza
delle procedure per la consegna “fuori tensione” della linea elettrica solo a carico
dell’appaltante, con esclusione di ogni responsabilità da parte della ditta appaltatrice
nel caso di mancata osservanza di esse.
In buona sostanza, come già ha puntualmente evidenziato ~a Corte
distrettuale (V. pag. 28), è pur vero che non era previsto, contrattualmente, che la
ditta appaltatrice accertasse l’effettiva messa in sicurezza dell’impianto in

competenza, ma restava, comunque, l’obbligo del datore di lavoro, quale titolare della
ditta appaltatrice, di garantire che il personale alle sue dipendenze svolgesse le proprie
mansioni in condizioni di completa assenza di rischi da elettrolocuzione. Quanto mai
appropriata ed assorbente sul punto è la considerazione dei giudici del gravame di
merito secondo cui la non tassatività del contraddittorio, nella fase della messa in
sicurezza, non poteva lasciare gli operai del MBM nella condizione di dover accettare
fideisticamente una situazione che poteva esporli a gravissimi rischi, essendo possibile
il verificarsi di errori e manchevolezze nell’operato di chi doveva consegnare loro
l’impianto.
Vale ricordare che l’applicazione delle misure di prevenzione degli infortuni sul
lavoro sottendono proprio allo scopo di evitare che l’errore umano, possibile e, quindi,
prevedibile, influente su di una condotta lavorativa diversa da quella corretta, ma pur
sempre posta in essere nel contesto lavorativo, possa determinare il verificarsi di un
infortunio. Se tutti i dipendenti fossero sempre diligenti, esperti e periti non sarebbe
necessario dotare i luoghi di lavoro e le macchine di sistemi di protezione.
Correttamente, pertanto, è stata interpretata, nella sentenza impugnata, la
lettera di accettazione della MBM e la notifica di consegna di lavoro, sez. A, sottoscritta
dal Pinna, prima di iniziare il lavoro, nel senso della mancata previsione di un
contraddittorio, tra gli addetti della ditta appaltante e di quelli della ditta appaltatrice,
nell’operazione di “sezionamento” della linea elettrica con riferimento alla terza fase
(la prima, il sezionamento, e la seconda, verifica della richiusura, erano certamente
rimesse agli operai dell’ENEL) prevista dalla normativa CEI, vale a dire quella della
verifica della messa fuori tensione dell’impianto; per quanto riguarda, invece, la quarta
fase, cioè l’ esecuzione della messa a terra e in cortocircuito, questa fu rimessa agli
operai della MBM, come dal punto IV. 1.3 del contratto di appalto secondo il quale il
committente (ENEL) si riservava di demandare all’appaltatore l’esecuzione della
messa a terra.
Il denunciato vizio di contraddizione (quinto motivo) non sussiste: l’avere,
infatti, escluso (diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo grado) che non
era previsto il contraddittorio tra l’appaltante e l’appaltatrice per le detta terza fase

3

contraddittorio con i tecnici dell’ENEL, mentre questi eseguivano le operazioni di loro

dell’operazione di “sezionamento”, non esimeva certamente il datore di lavoro,
innanzitutto, dall’obbligo di prevedere e disciplinare il rischio da elettrolocuzione nel
piano operativo di sicurezza, ma anche di mettere in condizione i suoi dipendenti di
verificare, mediante la dotazione di idoneo strumento, l’effettiva assenza di tensione
sulla linea oggetto dei lavori, e, in subordine, quanto meno, di dotare degli opportuni
strumenti di protezione che li potesse proteggere anche nel caso in cui, per
negligenza, imperizia ed imprudenza ed anche in violazione delle specifiche procedure
previste dalla normativa citata CEI, la verifica sull’assenza di tensione non fosse stata
effettuata.

dell’affidamento, nel senso che, essendo previsto contrattualmente l’obbligo della
appaltante di eseguire le operazioni di sezionamento e di consegnare alla ditta
appaltatrice la linea elettrica fuori tensione, alcuna verifica doveva essere effettuata
dalla MBM dovendosi fondatamente ritenere che l’operazione di sezionamento sarebbe
stata effettuata secondo le prescrizioni tecniche in materia, pienamente conosciute dai
tecnici dell’ENEL in quanto a tanto deputati.
Orbene, il principio di affidamento costituisce applicazione del principio del
rischio consentito: dover continuamente tener conto delle altrui possibili violazioni
della diligenza imposta avrebbe come risultato di paralizzare ogni azione, i cui effetti
dipendano anche dal comportamento altrui. Il principio, d’altra parte, si connette
pure al carattere personale e rimproverabile della responsabilità colposa,
circoscrivendo entro limiti plausibili ed umanamente esigibili l’obbligo di rapportarsi
alle altrui condotte: esso è stato efficacemente definito come una vera e propria
pietra angolare della tipicità colposa. Pacificamente, la possibilità di fare affidamento
sull’altrui diligenza viene, però, meno quando l’agente è gravato da un obbligo di
controllo o sorveglianza nei confronti di terzi; o, quando, in relazione a particolari
contingenze concrete, sia possibile prevedere che altri non si atterrà alle regole
cautelari che disciplinano la sua attività o che, comunque, possa incorrere, per
imprudenza o negligenza, in errore.
La tendenza della giurisprudenza di legittimità è quella di escludere o limitare al
massimo la possibilità di fare affidamento sull’altrui correttezza.
Nel caso di specie, l’obbligo di controllo da parte dei ricorrenti, in relazione alle
rispettive specifiche posizioni, della corretta operazione di sezionamento da parte dei
tecnici dell’ENEL è imposta dalle norme indicate nel capo d’imputazione e, comunque,
a carico del datore di lavoro, ai sensi della normativa di cui al d.P.R. 547/1955
(art.391-392-6 ) e di quella generale in materia di sicurezza aziendale (art.4
D.L.G.S. 626/1994) ed anche in riferimento alla norma c.d. “di chiusura del
sistema” ex art. 2087 C.C., sussiste un obbligo di controllo dell’osservanza da parte
dei singoli lavoratori delle norme vigenti e delle disposizioni e procedure aziendali
di sicurezza. In altre parole, il datore di lavoro è costituito garante dell’incolumità

±

0

I ricorrenti, anche se implicitamente, hanno fatto riferimento al principio

fisica dei prestatori di lavoro, con l’ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi
agli obblighi di tutela, l’evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del
meccanismo reattivo previsto dall’art. 40 C.P.P. comma 2.
E’ da aggiungere che, nel caso di specie, si è al di fuori del c.d. “rischio
interferenziale”, poiché le attività lavorative dei tecnici dell’ENEL e di quelli della MBM
non erano contestuali, cosicché l’operato dell’uno non interferiva nell’operato dell’altro,
tanto da richiedere la redazione di un piano di coordinamento; infatti quelli della MBM
sono intervenuti, per svolgere il loro lavoro, solo dopo essere stati assicurati dai tecnici
dell’ENEL che era stata effettuata l’operazione di sezionamento e la linea era fuori

degli agenti proprie e rispettive responsabilità in relazione ai rispettivi campi di
lavorazione.
3.4 Quanto alla erronea interpretazione delle richiamate norme CEI (sesto
motivo), ed in particolare la n. 50110/1 del 1998, si osserva che i ricorrenti cadono in
un equivoco di fondo laddove sostengono che trovano applicazione le norme CEI con
riferimento ai “lavori fuori tensione”, nel senso che oggetto dei lavori appaltati
dovessero essere linee mai prima attraversate da corrente elettrica e non, invece,
come nel caso di specie, linee già portanti su cui si doveva operare previa, appunto, la
messa fuori tensione. Ed è, quindi, condivisibile l’affermazione della Corte cagliaritana
secondo cui, quando vi sia soltanto il dubbio che l’impianto su cui si opera possa
risultare in tensione, le procedure di sicurezza e le misure di protezione sono quelle
proprie dell’impianto in tensione, cioè quelle previste dalla normativa CEI n. 51010/1.
3. 5 Parimenti infondata è l’altra denunciata violazione di legge con riferimento
agli artt. 348 del d.P.R. 547/55 e 3-4 del D.Lvo 626/94e 78 del D.Igs 81/2008
(settimo motivo).
Quanto a quest’ultima norma, come già sottolineato, essa non può trovare
applicazione e né risulta che ad essa abbiano fatto riferimento i giudici del merito che
hanno, invece, richiamato le norme di cui all’art. 348 d.P.R. 547/55, all’art. 34 D.Lvo
626/94, quanto al contestato profilo di colpa a carico di tutte e tre gli imputati in
relazione alla specifica rispettiva posizione di garanzia di non aver messo a
disposizione della persona offesa attrezzature adeguate al lavoro da svolgere ovvero
adatte a tali scopi ed idonee ai fini della sicurezza e della salute.
In fatto è rimasto accertato (V. pag. 29 sentenza) che la squadra della MBM si
recò ad eseguire il lavoro senza alcuno dei presidi antinfortunistici ed addirittura senza
i fioretti, strumenti indispensabili per l’operazione da svolgere di messa a terra ed in
cortocircuito, tanto da chiederli in prestito ai tecnici dell’ENEL. Non erano dotati del
rilevatore di tensione, erano sprovvisti degli speciali indumenti protettivi (l’adozione di
tali indumenti avrebbe evitato che il Pinna toccasse gli elementi in tensioni con le parti
nude del corpo), tali circostanze non sono oggetto di contestazione, ma si è dedotto da
parte dei ricorrenti che, trattandosi di lavori su linea elettrica non in tensione, non

i

tensione. Ciò assume una significativa rilevanza giuridica incombendo su di ognuno

richiedono obblighi di attrezzature specifiche e che, in ogni caso, dalla documentazione
acquisita è rimasto accertato che i vertici dell’azienda avevano messo a disposizione
degli operai tutti gli indumenti elencati nella norma e gli indumenti adeguati ai lavori
da svolgere.
La deduzione difensiva non coglie nel segno: l’obbligo di dotare gli operatori
dipendenti di idonee attrezzature (specificamente previste per “i lavoratori addetti
all’esercizio di installazioni elettriche dal richiamato art. 348 d.P.R. 547/55 nonché dal
paragrafo 4.1 norme CEI N50110/1), si estende, come puntualmente evidenziato dalla
Corte di merito, anche a tutte quelle situazioni in cui possa essere ragionevolmente

Come già rilevato la circostanza che il Pinna ed i suoi compagni di lavoro dovessero
operare su di una linea “messa fuori tensione” dai dipendenti dell’ENEL non eliminava
il rischio da elettrolocuzione in ragione di una non regolare manovra di “sezionamento”
della linea.
La deduzione difensiva secondo cui le attrezzature (ivi compreso il rilevatore di
tensione) e gli indumenti erano stati messi a disposizione degli operai, tra cui lo stesso
Pinna che aveva sottoscritto delle ricevute attestanti l’avvenuta consegna di tali
indumenti, è stata, con congrua motivazione, disattesa prima dal Tribunale e poi dalla
Corte distrettuale, ponendosi in rilievo come, in materia di sicurezza, ciò che occorre
considerare non sono le dotazioni di cantiere o di magazzino del datore di lavoro, ma
da un lato la valutazione del rischio e la programmazione della sicurezza, dall’altro la
sua concreta attuazione.

3. 6 Con i motivi terzo, ottavo, nono e decimo i ricorrenti essenzialmente
disancorano il nesso causale dal loro comportamento omissivo, facendo ricadere la
causazione dell’evento unicamente sul comportamento della persona offesa,
dimenticando che anche essa, nonostante il suo ruolo attivo nella esecuzione dei lavori,
era la destinataria delle garanzie antinfortunistiche.
E’ bene fare alcune puntualizzazioni in diritto in ragione del richiamo alla
normativa di cui al Divo 81/2008 da parte dei ricorrenti.
L’infortunio sul

lavoro è occorso il 5.08.2003, momento successivo alla

promulgazione del D.Lvo 626/1994, ma antecedente alla radicale modifica del sistema
di prevenzione pervenuta per mezzo del nuovo Testo Unico della sicurezza: D.Lgs
9.04.2008 n. 81.
Il sistema della normativa antinfortunistica si è lentamente trasformato da un
modello “iperprotettivo”, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro che,
in quanto soggetto garante era investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui
lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche
controllando che di questi i lavoratori facessero un corretto uso, anche imponendosi
contro la loro volontà), ad un modello “collaborativo” in cui gli obblighi sono ripartiti
tra più soggetti, compresi i lavoratori.

prevedibile un rischio di esposizione del lavoratore al contatto di energia elettrica.

In giurisprudenza, dal principio “dell’ontologica irrilevanza della condotta colposa
del lavoratore” (che si rifà spesso all’art. 2087 c.c.), si è giunti – a seguito
dell’introduzione del D. Lgs 626/94 – al ricorso del concetto di “area di rischio” (Sez. 4,
Sentenza n. 36257 del 01/07/2014 Ud. Rv. 260294; Sez. 4, Sentenza n. 43168 del
17/06/2014 Ud. Rv. 260947; Sez. 4, Sentenza n. 21587 del 23/03/2007 Ud. Rv.
236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva. Strettamente
connessa all’area di rischio che l’imprenditore è tenuto a dichiarare (c.d. DVR), si sono
individuati i criteri che consentissero di stabilire se la condotta del lavoratore dovesse
risultare appartenente o estranea al processo produttivo o alle mansioni di sua

“esorbitante”, diverso da quello abnorme” del lavoratore.
Il primo riguarda quelle condotte che fuoriescono dall’ambito delle mansioni,
ordini, disposizioni impartiti dal datore di lavoro o di chi ne fa le veci, nell’ambito del
contesto lavorativo, il secondo, quello, abnorme, già costantemente delineato dalla
giurisprudenza di questa Corte, si riferisce a quelle condotte poste in essere in
maniera imprevedibile dal prestatore di lavoro al di fuori del contesto lavorativo, cioè,
che nulla hanno a che vedere con l’attività svolta.
La recente normativa (T.U. 2008/81) impone anche ai lavoratori di attenersi alle
specifiche disposizioni cautelari e comunque di agire con diligenza, prudenza e perizia.
Le tendenze giurisprudenziali si dirigono anch’esse verso una maggiore
considerazione della responsabilità dei lavoratori (c.d. “principio di autoresponsabilità
del lavoratore).
In buona sostanza, si abbandona il criterio esterno delle mansioni e
si sostituisce con il parametro della prevedibilità intesa come dominabilità umana del
fattore causale.
Il datore di lavoro non ha più, dunque, un obbligo di vigilanza assoluta rispetto
al lavoratore, come in passato, ma una volta che ha fornito tutti i mezzi idonei alla
prevenzione, egli non risponderà dell’evento derivante da una condona
imprevedibilmente colposa del lavoratore.
Questi principi non si attagliano al caso di specie, essendo rimasto provate non
solo la mancanza di valutazione (nel POS) del rischio da elettrolocuzione nel caso di
lavorazioni su linea elettrica messa fuori tensione, ma anche l’omessa concreta
dotazione al lavoratore, nel frangente dell’infortunio, della strumentazione (rilevatore
di tensione) e di altri presidi antinfortunistici (indumenti appropriati ed altro).
Mentre, non è affatto rimasto provato, come si sostiene in ricorso, al fine di
evidenziare la condotta gravemente colposa della persona offesa, che quest’ultima
avesse coscientemente operato su di una linea elettrica che sapeva ancora in tensione.
Dalla testimonianze acquisiste, come riportate nella sentenza impugnata, è emerso
che il Pinna, pur avendo cnnanifestato ai tecnici dell’ENEL i suoi dubbi circa la regolare
effettuazione della manovra di sezionamento (aveva rappresentato che erano visibili

specifica competenza. Si è dunque affermato il concetto di comportamento

degli scintilli sintomatici della permanenza della tensione elettrica), era stato
rassicurato (e quasi deriso) dagli stessi sulla assenza di tensione. E, dunque, sul piano
logico pienamente condivisibile è la considerazione dei giudici di merito, secondo cui
appare oltremodo inverosimile ritenere che la persona offesa abbia proceduto ad
effettuare i lavori assegnatigli, per altro non protetto da indumenti adeguati (non
forniti), nella consapevolezza di rischiare sicuramente la vita.
Correttamente, pertanto, la Corte sarda ha fatto riferimento alla giurisprudenza
di legittimità, che con / tranquillante uniformità / ha affermato che l’obbligo di
prevenzione si estende agli incidenti che derivino da negligenza, imprudenza e

generale, del destinatario dell’obbligo, solo in presenza di comportamenti che
presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al
procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute e alla comune prudenza.
Ed è significativo che in ogni caso, nell’ipotesi di infortunio sul lavoro originato
dall’assenza o dall’inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale
venga attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato
occasione all’evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o
insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio
il rischio di siffatto comportamento (confr. Cass. pen. n. 31303 del 2004 cit.).
Se il Pinna fosse stato dotato del misuratore di tensione non si sarebbe
accontentato della risposta rassicurante dei tecnici dell’ENEL, ma avrebbe verificato di
persona la messa fuori tensione della linea elettrica per fugare i dubbi avuti. Come
pure, se avesse avuto a disposizione gli indumenti adatti, isolanti, anche nel dubbio
della persistenza della tensione elettrica, avrebbe potuto riparasi dalla
elettrolocuzione o, quanto meno, riportare danni fisici meno gravi.
Posta in questi termini la questione è infondata la censura della omessa
valutazione della condotta colposa quale concausa dell’infortunio ai fini della
quantificazione della pena.
Altrettanto infondata è l’ulteriore censura di omessa valutazione della colpa dei
ricorrenti per la concessione delle attenuanti generiche, ingannati dai tecnici dell’ENEL,
e da coloro ai quali affidarono i corsi di formazione cui partecipò il Pinna, per quanto
argomentato in ordine alla titolarità della posizione di garanzia.
3.7. Manifestamente infondata è la censura posta a base dell’undicesimo motivo
e ribadita con la memoria difensiva, in quanto la responsabilità accertata a carico dei
tecnici dell’ENEL si inserisce anch’essa nel tema affrontato della responsabilità dei
ricorrenti in ragione delle accertate rispettive posizioni di garanzia.
4. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

i4

imperizia dell’infortunato, essendo esclusa, la responsabilità del datore di lavoro e, in

Così deciso in Roma all’udienza del 10 aprile 2015
nsigliere estensore

Il Pr dente

I

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