Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26260 del 12/03/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 26260 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: DOVERE SALVATORE

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SENTENZA

ENA MASSIMILIANO N. IL 03/09/1988
CORADDU PAOLO N. IL 06/10/1989
avverso la sentenza n. 792/2010 CORTE APPELLO di CAGLIARI, del
30/09/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/03/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SALVATORE DOVERE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. it 40(20-3 Se
che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv, 4-14fruz PtÀkÌe ,- et.

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Data Udienza: 12/03/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Cagliari ha
parzialmente riformato la condanna pronunciata dal Giudice dell’udienza
preliminare presso il Tribunale di Cagliari nei confronti di Ena Massimiliano e di
Coraddu Paolo, giudicati responsabili di plurimi reati continuati di riciclaggio e di
ricettazione, di falso, di tentato furto aggravato e, il solo Ena ancora di
ricettazione. La Corte di appello, infatti, ha riqualificato i fatti di riciclaggio e di
ricettazione contestati ad entrambi gli imputati ritenendoli furti pluriaggravati ai

generiche prevalenti ad entrambi gli imputati, é pervenuta ad infliggere ad
entrambi gli imputati una pena più lieve di quella definita dal primo giudice: anni
due mesi sette giorni dieci di reclusione ed euro 3000 di multa per l’Ena ed anni
due mesi uno giorni dieci di reclusione ed euro 300 di multa per il Coraddu.
Per la Corte di Appello, le emergenze processuali (rappresentate dalla
scoperta nella flagranza del tentativo di furto di un’autovettura parcheggiata
sulla pubblica via, dal possesso di attrezzi e macchinari in uso ai ladri di
autovetture, dalla detenzione di una considerevole quantità di pezzi di autoveicoli
da assemblare e la confessione resa dagli imputati) deponevano per una
ricostruzione dei fatti che vedeva l’Ena ed il Coraddu soggetti dediti ad attività
seriale di furto di automobili per ricavarne pezzi di ricambio, alcuni dei quali
inseriti in altre auto attraverso opere di assemblaggio.

2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l’imputato Ena a mezzo del
difensore di fiducia, avv. Ferruccio Melis, deducendo vizio motivazionale perché
la Corte di appello non ha indicato gli elementi ritenuti rilevanti ai fini della
commisurazione della pena, operando un mero richiamo ai criteri dell’articolo
133 cod. pen., senza evidenziare elementi giustificativi, con riguardo particolare
all’elemento psicologico e alla condotta tenuta durante e dopo la commissione
del reato, la cui valutazione é essenziale per l’equa commisurazione della pena al
caso concreto. D’altro canto, aggiunge l’esponente, non si può sostenere che
soddisfi l’obbligo motivazionale la mera affermazione per la quale la pena è
proporzionata alla gravità dei fatti e alla personalità delinquenziale, posto che
non sono stati indicati quali siano i fatti gravi e da dove si desuma la personalità
delinquenziale dell’imputato.

3. Anche il Coraddu propone ricorso per cassazione a mezzo del difensore,
avvocato Mauro Massa, svolgendo una prima censura coincidente con quella
avanzata dal coimputato; aggiunge che la sentenza è illogica e contraddittoria
laddove non riconosce il beneficio della sospensione condizionale della pena,

sensi degli articoli 624 e 625, nn. 2 e 7 cod. pen., e concesse le attenuanti

avendo da un canto affermato l’incensuratezza dell’imputato e dall’altro
individuato quale causa ostativa alla concessione del beneficio la condotta di vita
intrapresa dal ricorrente. La Corte distrettuale, inoltre, ha fatto riferimento ad
uno stato detentivo dell’imputato per il reato di omicidio sicuramente frutto di
errore, posto che il Coraddu era detenuto agli arresti domiciliari per fatti di
lesione personale, per i quali pende ancora il giudizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. I ricorso sono infondati.

Corte di appello ha fatto riferimento ai criteri di cui all’articolo 133 cod. pen.
ritenendo la pena inflitta congrua e proporzionata alla gravità dei fatti nonché
alla personalità delinquenziale dei medesimi. Va rammentato che la costante
giurisprudenza di questa Corte ritiene assolto l’onere motivazionale in ordine al
trattamento sanzionatorio quando si faccia riferimento alla congruità, alla
proporzionatezza, alla equità della medesima, in specie quando la pena
individuata dal giudice sia più prossima al minimo edittaie che alla misura
mediana. Si afferma, infatti, che deve ritenersi adempiuto l’obbligo di
motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura
della pena, allorchè siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o
determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri
di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013 – dep. 23/01/2014,
Waychey e altri, Rv. 258410) e che la determinazione della pena tra il minimo ed
il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è
insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se
prossima al minimo, anche nel caso il cui il giudicante si sia limitato a richiamare
criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui
all’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013 – dep. 17/05/2013,
Serratore, Rv. 256197).
Nel caso di specie non solo ricorre l’enunciazione sintetica sopra riproposta,
che manifesta l’esercizio ponderato del potere discrezionale di commisurazione
della pena, ma da un canto essa segue ad una analitica descrizione dei fatti
commessi dagli imputati, dall’altro ai accompagna ad una quantificazione della
pena a partire da una pena base di anni tre di reclusione ed euro 4500 di multa
per il reato di ricettazione, certamente più prossima al minimo edittale che alla
misura mediana (corrispondente ad anni quattro di reclusione, per quel che
concerne la pena detentiva).
Va aggiunto che avendo la Corte distrettuale esaminato i fatti attribuiti agli
imputati è davvero pretendere una ridondanza argomentativa chiedere che il
giudice, richiamando la gravità dei fatti, debba nuovamente spiegare di quali si

4.1. Quanto al motivo comune ad entrambi gli imputati, va rilevato che la

tratti e perché siano gravi. Allo stesso modo é palese che quando la Corte di
appello ha fatto riferimento alla personalità delinquenziale degli imputati ha
inteso riferirsi a quella che i fatti accertati permettevano di ritenere.

4.2. In merito alla concessione del beneficio della sospensione condizionale
della pena, la Corte d’appello ha esplicitato di non ritenere ricorrenti i relativi
presupposti in ragione della condotta di vita del Coraddu. Non vi è alcuna
contraddizione negli enunciati della Corte territoriale, posto che essa parla di

dell’imputato per omicidio. Invero che questo riferimento sia errato, perché il
Coraddu era in realtà ristretto per il reato di lesioni personali, è affermazione
fatta dall’esponente priva di corredo documentale. Il motivo si appalesa quindi
non autosufficiente. In ogni caso, la Corte di Appello non si é limitata a
richiamare tale dato, ma ha soprattutto valutato ostativa alla concessione del
beneficio ‘la condotta di vita’ evidenziata dal Coraddu; espressione che rimanda,
con tutta evidenza, a quella serialità dell’attività furtiva che la Corte distrettuale
ha ritenuto essere emersa dagli accertamenti processuali.

5. In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati ed i ricorrenti condannati
al pagamento delle spese processuali.
In merito alla richiesta avanzata dalla parte civile Graziano Putzu, di
condanna degli imputati alla rifusione delle spese del presente giudizio, essa va
respinta poichè deve ribadirsi il principio per cui in tema di impugnazioni, qualora
dall’eventuale accoglimento del ricorso per cassazione proposto dall’imputato
non possa derivare alcun pregiudizio alla parte civile, quest’ultima, non avendo
interesse a formulare proprie conclusioni, non ha diritto alla rifusione delle spese
processuali, in caso di rigetto o declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione.
Nel caso che occupa i ricorsi hanno avuto ad oggetto unicamente la definizione
del trattamento sanzionatorio; questione che in alcun modo anche solo lambisce
gli interessi della parte civile.
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12/3/2015.

formale incensuratezza in associazione al riferimento ad uno stato detentivo

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