Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26243 del 11/06/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 26243 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 11/06/2015

SENTENZA
Sui ricorsi proposti rispettivamente da
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia
e nell’interesse di
Signifredi Paolo, n. a Parma il 14.05.1992, rappresentato e assistito
dall’avv. Marco Malavolta, di fiducia
Silipo Danilo, n. a Catanzaro il 27.11.1961, rappresentato e assistito
dall’avv. Gregorio Viscomi, di fiducia
Silipo Ennio, n. a Catanzaro il 11.01.1960, rappresentato e assistito
dall’avv. Gianfranco Marcello e dall’avv. Gregorio Viscomi, di fiducia
avverso l’ordinanza del Tribunale di Brescia, terza sezione penale, n.
55/2015, in data 03.03.2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
letta la memoria presentata nell’interesse di Muto Antonio in data
28.05.2015;

1

letta la memoria presentata nell’interesse di Silipo Ennio e di Silipo
Danilo in data 08.06.2015;
letta la memoria datata 04.06.2015 a firma dell’avv. Gregorio Viscomi
nell’interesse di Grande Aracri Rosario e di Grande Aracri Salvatore;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott.ssa Maria

ricorso del Pubblico Ministero chiedendo l’annullamento con rinvio del
provvedimento impugnato con riferimento ai capi A), B), C) e D), con
esclusione del fatto estorsivo della somma di euro 40.000,00 ed il
rigetto di tutti gli altri ricorsi;
sentita la discussione dei difensori:
avv. Gregorio Viscomi, nell’interesse di Silipo Danilo, Silipo Ennio,
Grande Aracri Rosario e Grande Aracri Salvatore che ha concluso
chiedendo l’accoglimento dei ricorsi di Silipo Danilo e di Silipo Ennio,
dichiarando l’inammissibilità del ricorso del Pubblico Ministero;
avv. Salvatore Iannone, nell’interesse di Loprete Giuseppe che ha
concluso chiedendo di dichiararsi l’inammissibilità del ricorso del
Pubblico Ministero;
avv. Vanni Barzellotti, nell’interesse di Muto Antonio che ha concluso
chiedendo di dichiararsi l’inammissibilità del ricorso del Pubblico
Ministero;
avv. Marco Malavolta, nell’interesse di Signifredi Paolo che ha
concluso per l’accoglimento del ricorso;
avv. Giancarlo Pittelli, nell’interesse di Belfiore Gaetano che ha
concluso chiedendo di dichiararsi l’inammissibilità del ricorso del
Pubblico Ministero.

RITENUTO IN FATTO

1. Sulle (riunite) richieste di riesame presentate nell’interesse di
Silipo Ennio, Loprete Giuseppe, Nicolis Moreno, Grande Aracri
Rosario, Grande Aracri Salvatore, Belfiore Gaetano e Signifredi Paolo
avverso l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Brescia in data 18.02.2015 con la quale era stata
applicata a tutti gli indagati la misura infraniuraria e sul ricorso

Giuseppina Fodaroni che ha concluso chiedendo l’accoglimento del

(anch’esso riunito) presentato nell’interesse di Silipo Danilo nei
confronti dell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Brescia in data 20.02.2015 che sottoponeva il prevenuto
alla restrizione massima, il Tribunale di Brescia, con ordinanza in data
03.03.2015 disponeva:
– l’annullamento della misura cautelare della custodia in carcere
applicata a Loprete Giuseppe, Nicolis Moreno, Muto Antonio, Grande

ordinanza del giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
Brescia in data 18.02.2015 per difetto della gravità indiziaria in
relazione a tutti i capi d’incolpazione loro rispettivamente contestati;
– la conferma della misura cautelare della custodia in carcere applicata
a Silipo Ennio e a Signifredi Paolo con ordinanza del giudice per le
indagini preliminari presso il Tribunale di Brescia in data 18.02.2015
limitatamente ai reati contestati rispettivamente ai capi F) e D);
– la conferma della misura cautelare della custodia in carcere applicata
a Silipo Danilo con ordinanza del giudice per le indagini preliminari
presso il Tribunale di Brescia in data 20.02.2015 limitatamente al
reato al medesimo contestato al capo F).
1.1. Avverso detto provvedimento, propongono ricorso per
cassazione:
– il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia con
riferimento alle statuizioni rese nei confronti degli indagati Muto
Antonio, Loprete Giuseppe, Grande Aracri Rosario, Grande Aracri
Salvatore, Belfiore Gaetano, Signifredi Paolo, Silipo Danilo e Silipo
Ennio;
– le difese di Signifredi Paolo, Silipo Danilo e Silipo Ennio.

2. Ricorso del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Brescia

Il ricorso denuncia:
-travisamento della prova, violazione della legge penale, mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (formale
motivo unico).
2.1. Evidenzia il ricorrente come l’affermazione del Tribunale secondo
cui difetterebbe una ricostruzione precisa e coerente delle dinamiche
associative sottese ai singoli reati-fine risulta smentita in fatto, poiché

I

Aracri Rosario, Grande Aracri Salvatore e Belfiore Gaetano con

alla pag. 6 dell’ordinanza 18.02.2015 e alla pag. 5 dell’ordinanza
20.02.2015, si opera integrale richiamo

per relationem

alla

“premessa svolta dal pubblico ministero … relativa all’inquadramento
dei fatti nel contesto della cosca Grande Aracri (v. anche paragrafo
dell’informativa finale relativo all’associazione per delinquere di
stampo mafioso)”. Si è così in presenza di un sorprendente
travisamento della prova, in quanto non viene espressamente preso

dagli atti di indagine richiamati nell’informativa finale alle pagine da
21 a 189 sia dalla loro valutazione compiuta dal pubblico ministero
alle pagine da 7 a 48 del decreto di fermo. Tale travisamento si
appalesa essenziale, essendo in grado di disarticolare l’intero
ragionamento probatorio rendendo illogica la motivazione, trattandosi
di dati di essenziale e decisiva forza dimostrativa: del resto, lo stesso
Tribunale fa discendere dall’asserita mancanza di motivazione in
ordine alla “cornice associativa”, la necessità di applicare un diverso
parametro valutativo, che non si fonda sulla considerazione del
contesto mafioso e della intimidazione che ne deriva ma fa
applicazione, errando, “degli ordinari criteri valutativi del concorso di
persone nel reato”. Inoltre, si evidenzia come tale compendio
indiziario era stato utilizzato dal giudice per le indagini preliminari per
motivare in ordine alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7 I. n.
203/1991 per tutti i reati contestati, di tal che la sua totale
pretermissione si appalesa ancora più infondata.
Con riferimento ai capi A) e B), il Tribunale opera una parcellizzazione
degli indizi che contrasta con il canone di necessaria valutazione
globale e unitaria dei portati probatori e che finisce per palesare una
motivazione del tutto illogica e contraddittoria in presenza di evidenti
e numerosi travisamenti della prova.
Medesime argomentazioni e valutazioni vanno tratte con riferimento
ai capi C) e D).

3. Ricorso nell’interesse di Signifredi Paolo.

Il ricorso denuncia:
-erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 110
e 629 cod. pen. (primo motivo);

I

in considerazione un compendio indiziario imponente, costituito sia

-mancanza di motivazione con riferimento agli artt. 274 lett. c), 275 e
292 cod. proc. pen. (secondo motivo).
3.1. In relazione al primo motivo, evidenzia il ricorrente come il
Tribunale di Brescia, con riferimento al solo capo D), ha ritenuto la
sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico del Signifredi, nella
forma del concorso alla condotta estorsiva di Muto Salvatore ai danni
di Boschiroli Giordano, equiparando, erroneamente, la connivenza

Dagli atti si evince infatti come il Signifredi, non solo non abbia mai
costretto il Boschiroli a fare o ad omettere qualcosa, mai lo abbia
minacciato e mai abbia ricevuto dallo stesso o per suo tramite una
qualche forma di ingiusto profitto ma come, al contrario, abbia
sempre agito al fine di contrastare le pretese estorsive del Muto,
tanto che è la stessa persona offesa ad avvertire il Signifredi
dell’eventualità di azioni ritorsive a danno di entrambi. Invero, ferma
la possibilità che, per costante insegnamento della giurisprudenza di
legittimità, il contributo del compartecipe, morale o materiale, si
estrinsechi nelle forme più varie e differenziate, sono tuttavia
necessari l’addebito, in concreto, di una specifica e determinata
condotta di compartecipazione che sia, seppur sommariamente,
descritta ed il concorso di indizi gravi, precisi e concordanti che
suffraghino il succitato addebito (cfr., Sez. 1, sent. n. 14684 del
28.02.2014): nella fattispecie, non solo la contestazione è generica
ed indefinita, ma è anche totalmente assente il riferimento ai gravi e
precisi indizi che sono, al contrario, concordanti nell’evidenziare la
totale estraneità del Signifredi ai fatti contestatigli. Difettano dunque
entrambi gli elementi costitutivi del concorso di persone: da un lato,
sul piano oggettivo, è assente la connessione causale tra gli atti posti
in essere dal Signifredi e l’evento estorsivo, dall’altro, sul piano
soggettivo, manca la consapevolezza da parte dell’indagato circa il
contributo dato (perche appunto non fornito) al Muto.
3.2. In relazione al secondo motivo, posto che il requisito della
concretezza delle esigenze cautelari si desume dall’esistenza di
elementi concreti sulla base dei quali sia possibile affermare che
l’indagato possa commettere delitti della stessa specie di quello per
cui si procede, evidenzia il ricorrente come il Tribunale avrebbe
dovuto argomentare più dettagliatamente sul punto e non limitarsi al

I

penalmente non punibile al contributo partecipativo al reato.

solo dato dell’esistenza di precedenti penali, senza specificarne il
disvalore in rapporto alla loro risalenza nel tempo. Anche per quanto
attiene al profilo dell’attualità dell’esigenza nonché a quella
dell’adeguatezza, la motivazione risulta completamente mancante.

4. Ricorso nell’interesse di Silipo Danilo.
Il ricorso denuncia:

192 cod. proc. pen., 110, 112 e 575 cod. pen. (rectius, 110, 629,
commi 1 e 2 in relazione all’art. 628, comma 3 n. 1 e 3 cod. pen. e 7
I. n. 203/1991); vizio della motivazione con riguardo alle molteplici
osservazioni, confortate da altrettante allegazioni documentali
formulate dalla difesa con i motivi a sostegno della richiesta ex art.
309 cod. proc. pen.; contraddittorietà della motivazione rispetto ad
alcuni passaggi di intercettazioni specificamente richiamati dalla
difesa ed affatto considerati dal Tribunale; contraddittorietà della
motivazione rispetto alla valutazione operata dal Tribunale con
riguardo ad analoga contestazione (capo E) nella quale figura la
medesima persona offesa (Marchio Giacomo) e, quale soggetto
attivo, uno dei concorrenti nel reato di cui al capo F; travisamento
della prova con riguardo all’intercettazione n. 4635 riportata a pag.
47 dell’ordinanza impugnata (primo motivo);
-violazione dell’art. 7 I. n. 203/1991 (secondo motivo);
– violazione degli artt. 273, 274 e 275 cod. proc. pen. (terzo motivo);
-violazione di legge in relazione all’art. 592 cod. proc. pen. (quarto
motivo).

5. Ricorso nell’interesse di Silipo Ennio.
Il ricorso denuncia:
– violazione degli artt. 273 e 274 cod. proc. pen. in relazione agli artt.
192 cod. proc. pen., 110, 112 e 575 cod. pen. (rectius, 110, 629,
commi 1 e 2 in relazione all’art. 628, comma 3 n. 1 e 3 cod. pen. e 7
I. n. 203/1991); vizio della motivazione con riguardo alle molteplici
osservazioni, confortate da altrettante allegazioni documentali
formulate dalla difesa con i motivi a sostegno della richiesta ex art.
309 cod. proc. pen.; contraddittorietà della motivazione rispetto ad
alcuni passaggi di intercettazioni specificamente richiamati dalla

I

-violazione degli artt. 273 e 274 cod. proc. pen. in relazione agli artt.

difesa ed affatto considerati dal Tribunale; contraddittorietà della
motivazione rispetto alla valutazione operata dal Tribunale con
riguardo ad analoga contestazione (capo E) nella quale figura la
medesima persona offesa (Marchio Giacomo) e, quale soggetto
attivo, uno dei concorrenti nel reato di cui al capo F; travisamento
della prova con riguardo all’intercettazione n. 4635 riportata a pag.
47 dell’ordinanza impugnata (primo motivo);

-violazione dell’art. 7 I. n. 203/1991 (secondo motivo);
-violazione degli artt. 273, 274 e 275 cod. proc. pen. (terzo motivo);
-violazione di legge in relazione all’art. 592 cod. proc. pen. (quarto
motivo).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Sia il ricorso del Procuratore della Repubblica di Brescia che quello
proposto nell’interesse di Signifredi Paolo sono infondati. I ricorsi di
Silipo Danilo e di Silipo Ennio sono fondati esclusivamente con
riferimento al quarto motivo mentre sono infondati nel resto.
1.1. È anzitutto necessario chiarire, sia pur in sintesi, i limiti di
sindacabilità da parte di questa Corte Suprema dei provvedimenti
adottati dal giudice del riesame sulla libertà personale.
1.2. Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide
e reputa attuale anche all’esito delle modifiche normative che hanno
interessato l’art. 606 cod. proc. pen. (cui l’art. 311 cod. proc. pen.
implicitamente rinvia), in tema di misure cautelari personali, allorché
sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del
provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla
consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta
il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio
di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito
abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad
affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato,
controllando la congruenza della motivazione riguardante la
valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai
principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze
probatorie. Si è anche precisato che la richiesta di riesame – mezzo di
impugnazione, sia pure atipico – ha la specifica funzione di sottoporre

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a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti
formali indicati nell’art. 292 cod. proc. pen., ed ai presupposti ai quali
è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo: ciò
premesso, si è evidenziato che la motivazione della decisione del
Tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere
conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo
di cui all’art. 546 cod. proc. pen., con gli adattamenti resi necessari

prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della
responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza
(Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828; conforme, dopo
la novella dell’art. 606 cod. proc. pen., Sez. 4, n. 22500 del
03/05/2007, Terranova, Rv. 237012).
1.3. Si è successivamente osservato, sempre in tema di
impugnazione delle misure cautelari personali, che il ricorso per
cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di
specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della
motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i
principi di diritto, ma non anche quando propone censure che
riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa
valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 5,
n. 46124 del 08/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997; Sez. 6, n. 11194 del
08/03/2012, Lupo, Rv. 252178).
1.4. L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (art. 273 cod.
proc. pen.) e delle esigenze cautelari (art. 274 cod. proc. pen.) è,
quindi, rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione
di specifiche norme di legge o nella manifesta illogicità della
motivazione secondo la logica ed i principi di diritto, rimanendo
“all’interno” del provvedimento impugnato; il controllo di legittimità
non può, infatti, riguardare la ricostruzione dei fatti e sono
inammissibili le censure che, pur formalmente investendo la
motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa
valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito,
dovendosi in sede di legittimità accertare unicamente se gli elementi
di fatto sono corrispondenti alla previsione della norma incriminatrice
e le statuizioni sono assistite da motivazione non manifestamente
illogica.

dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su

2. Ricorso del Procuratore della Repubblica di Brescia
Il ricorso, afferente le statuizioni in merito ai capi A), B), C) e D), è
infondato.
2.1. Sia con riferimento all’incolpazione sub A (tentata estorsione
aggravata in concorso ai danni di Franzoni Matteo e Stradiotto
Giampaolo, soci di maggioranza della Ecologia e Sviluppo s.r.I.) che a
quella sub B (più fatti estorsivi aggravati ai danni dei sunnominati

di legge penale, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione.
Segnatamente, con riferimento al dedotto travisamento della prova,
va ricordato come, secondo costante insegnamento della
giurisprudenza di legittimità (cfr., ex multis, Sez. 4, n. 2618 del
07/11/2006, Liprino, Rv. 235782), in tema di sindacato sulla
motivazione, qualora con il ricorso per cassazione si prospetti in modo
specifico che il giudice di merito abbia travisato una prova decisiva
acquisita al processo ovvero abbia omesso di considerare circostanze
decisive risultanti da atti specificamente indicati, il giudice di
legittimità può, nei limiti della censura dedotta, verificare l’eventuale
esistenza o della palese e incontrovertibile difformità tra i risultati
obiettivamente derivanti dall’assunzione della prova e quelli che il
giudice di merito ne abbia inopinatamente tratto, ovvero della
decisiva circostanza trascurata, fermo restando che gli è interdetta
una diversa ricostruzione del fatto quando si tratti di elementi privi di
significato univoco: in tale prospettiva, il vizio dedotto appare nella
fattispecie del tutto inesistente.
2.1.1. Con riferimento al primo profilo di doglianza comune ad
entrambe le contestazioni, con il quale la pubblica accusa censura
l’omessa valutazione dell’imponente compendio indiziario che darebbe
conto dell’esistenza e dell’operatività dell’associazione di stampo
mafioso capeggiata da Grande Aracri Nicolino, il provvedimento
impugnato appare del tutto incensurabile avuto riguardo all’oggetto
dell’accusa che non comprende il reato di cui all’art. 416 bis cod.
pen., mentre con riferimento all’aggravante di cui all’art. 7 I. n.
203/1991, la contestazione rimane del tutto impalpabile non essendo
stato indicato se l’attribuzione fosse da ascrivere al metodo mafioso
ovvero al fine agevolativo delle attività illecite dell’associazione di

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Franzoni e Stradiotto), si deduce travisamento della prova, violazione

riferimento, con conseguente impossibilità di valutare l’incidenza in
concreto sia degli ambiti che dei profili di configurabilità.
Ciò premesso, con riferimento al capo A), l’ordinanza impugnata, che
ha escluso la gravità indiziaria sia a carico di Muto Antonio che di
Rocca Antonio, appare congruamente motivata e del tutto priva di vizi
logico-giuridici, riconoscendosi come del tutto fumoso ed indistinto
fosse il contegno minaccioso e violento asseritamente ascrivibile agli

indagati, volto a costringere il Franzoni alla sottoscrizione di un
accordo con la ditta proposta Eurocostruzioni 2000 soc. coop..
Detta conclusione viene argomentata tenendo conto di diversi aspetti
di carattere oggettivo emersi. Evidenzia il Tribunale come “… non si
possono trarre elementi di un qualche rilievo dallo scambio di battute
tra Cozza e Muto Antonio, cui il denunciante per caso presenziava,
circa l’avvenuta liberazione di Nicola e le conseguenze oscure che ne
sarebbero discese, da un lato in quanto non si trattava … di
comunicazione a lui rivolta in prima battuta, ma veicolatagli in via del
tutto fortuita, senza intenzioni di sia pur larvata intimidazione;
dall’altra lato, in quanto né Muto né Rocca vi facevano in seguito
riferimento, dal momento che il tema rimaneva estraneo alle
discussioni con Franzoni sui lavori a San Silvestro di Curtatone.
Pertanto, è da escludere che gli indagati Muto Antonio e Rocca si
siano avvalsi del relativo dato conoscitivo quale improprio argomento
di pressione sulla parte lesa: è acquisizione certa che la parte lesa
decideva di ritirarsi dall’affare una volta appresi aliunde i presunti
contatti dì Muto con Nicola, presentato da Cozza Salvatore come capo
di una non meglio precisata cosca calabrese. In secondo luogo, si
evidenzia che Muto Antonio prospettava al denunciante che l’appalto
poteva essere affidato a una ditta a lui candidata, che sponsorizzava
come forte; però, non coltivava la proposta in alcun modo. Invero,
non presenziava al primo e unico abboccamento, tenutosi presso lo
studio di Franzoni il 14 settembre 2011; non risulta che caldeggiasse
la ditta Eurocostruzioni 2000 soc. coop. in altra forma, rispetto alla
generica presentazione della sua solidità …; allorquando la persona
offesa, preoccupata per le rivelazioni di Cozza, affermava di non voler
proseguire nell’iniziativa edificatoria a San Silvestro, Muto non
insisteva, … cambiava in fretta discorso e subito si proclamava pronto
a operare da solo. Si accontentava delle spiegazioni della parte lesa …

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/

senza chiedere delucidazioni, di talchè è appurato che non era edotto
dei motivi che avevano persuaso Franzoni a ritirarsi … Muto dunque
non svolgeva un ruolo incombente su Franzoni e si asteneva da
qualsivoglia minaccia, che non era proferita nemmeno in modo
indiretto e allusivo …”.
2.1.2. Medesime conclusioni – anche in questo caso assistite da
congruità di giudizio ed assenza di vizi logico-giuridici – vengono

tratte con riferimento al capo B), addebito alquanto composito in
quanto congegnato con una pluralità eterogenea di condotte estorsive
(consumate e tentate) ai danni di Franzoni e Stradiotto commesse da
più indagati in concorso in relazione al contratto di appalto per la
realizzazione di una villetta bifamiliare Marcaria (illeciti succedutisi in
un arco temporale compreso tra l’agosto 2011 ed il luglio 2014, in
parallelo alle varie fasi in cui si svolgevano i lavori).
Secondo l’accusa, il coinvolgimento di Grande Aracri Nicolino e di
Lamanna Francesco promanava dalle dinamiche associative
‘ndranghetistiche sullo sfondo delle quali maturava l’affidamento dei
lavori all’impresa Magisa s.r.l. di Muto Salvatore. Come già
accennato trattando il precedente capo A), in tesi d’accusa, un
personaggio di spicco della ‘ndrangheta appena scarcerato ed indicato
con il solo nominativo di battesimo,

Nicola, era intenzionato a

riprendere le fila delle sue iniziative illecite al Nord e, allo scopo,
avrebbe organizzato un incontro con il Muto in Calabria, nel corso del
quale gli avrebbe illustrato i suoi programmi spartitori con
l’infiltrazione nel tessuto imprenditoriale di aziende “amiche”.
Ritiene il Tribunale che, alla stregua degli elementi disponibili, non
risultano provate né la convocazione del summit mafioso né la
partecipazione del Muto. Peraltro, il Tribunale riconosce che,
quand’anche si fosse ritenuto effettivamente avvenuto l’incontro in
Calabra tra Muto Antonio e Grande Aracri Nicolino, rimaneva
indimostrato che il primo soggiacesse alla direttiva di quest’ultimo di
assegnare l’esecuzione delle opere a Muto Salvatore per il cantiere di
Campitello, non potendosi trarre elementi univoci dalle due
intercettazioni telefoniche con qualche attinenza alla materia, perché
non limpide né individualizzanti. Queste le significative valutazioni
compiute dal Tribunale: “… reputa il Collegio che dalle propalazioni
del denunciante (ndr. Franzoni) non si possa trarre la convinzione che

i

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egli sia stato bersaglio di messaggi minatori da parte di Rocca e Muto
Antonio. Per un verso, non si può pretermettere che l’offeso
relazionava l’occorso con estrema puntigliosità, a più riprese,
coltivando nel tempo una collaborazione con le forze dell’ordine; si
esprimeva in termini espliciti e trasparenti, di talchè non è
sospettabile di reticenza. E allora, proprio la completezza della sua
esposizione conduce ad escludere la valenza intimidatoria

dell’incedere del duo Rocca-Muto Antonio nel frangente: non solo egli
non enunciava espressi moniti, volti a prospettargli mali ingiusti, ma
anche non asseriva di aver percepito allusioni significative volte a
porlo in uno stato di sottomissione. Invero, anche quando
rammentava il collegamento tra la maggior sicurezza offerta da
Magisa s.r.l. … e la vicenda dell’incendio, si limitava al mero dato
fattuale, senza implicare sottointesi forieri di pericoli; piuttosto,
adombrava una convenienza economica. Anche le forme verbali con
cui Rocca e Muto Antonio comunicavano persuadono dell’esistenza di
un clima professionale sereno, con una discussione piana e misurata.
D’altronde, non risulta che Franzoni si opponesse, o anche solo
formulasse obiezioni, di fronte all’indicazione di Magisa s.r.l. e del suo
titolare Muto Salvatore; proprio la notevole apertura dimostrata
dall’offeso inibisce di formulare ipotesi su resistenze del denunciante,
anche solo per motivi tecnici o di opportunità, che fossero portate a
conoscenza di Muto Antonio e di Rocca. Nemmeno consta che sia
stato allontanato un concorrente con un’offerta più vantaggiosa o
quantomeno già in corso. Pertanto, la risoluzione di avvalersi di
Magisa s.r.l. non potrebbe essere considerata frutto di condotta
illecita, solo per l’insistenza usata nel promuoverla da Muto Antonio e
da Rocca …” Ed anche con riferimento al terzo aspetto estorsivo della
vicenda di cui al capo B) circa le modalità attuate dal Muto Antonio
per pretendere da Franzoni il pagamento delle spettanze di Magisa
s.r.l. lumeggiano un ruolo di presa di distanza da quello di Rocca e di
Muto Salvatore, certamente non caratterizzato da comportamenti
estorsivi diretti ovvero di complicità a favore di chi quelle condotte ha
certamente tenuto finendo per assumere il ruolo di vittima (“… questo
contegno segna un netto discrimine rispetto all’agire di Rocca e di
Muto Salvatore, in quanto denota un’originaria diversità di posizioni,
uno spazio di autodeterminazione e una presa di distanza nei

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confronti di chi aveva svolto i lavori in appalto; solo le reiterate e
incisive proteste di Rocca … vincevano le riserve del ricorrente e lo
inducevano a capitolare. Sia nell’aprile 2013, sia nel prosieguo Muto
Antonio tentava di mediare e di trovare una soluzione costruttiva, di
talchè lungi dal dare manforte a Rocca e Muto Salvatore, cercava di
arginarli …”). Consequenziali le conclusioni del Tribunale che vede in
Muto una figura succube e più vicina alle parti lese che agli autori

dell’estorsione.
Ma la gravità indiziaria, con motivazione anche in questo caso priva di
aspetti censurabili, viene esclusa anche con riferimento alle posizioni
di Silipo Ennio e di Silipo Danilo, accusati di concorso nell’estorsione
per il subingresso della loro società “Esternitalia s.r.l.” per la fornitura
e la posa in opera dei serramenti presso il cantiere della bifamiliare di
Campitello di Marcaria, non essendovi “la più labile traccia di un loro
diretto approccio con le parti lese, carico di valenza intimidatoria.
Invero, da un lato il Franzoni “… non riferiva di alcun colloquio
dell’offeso, di Muto Antonio o di Stradiotto Giampaolo con i fratelli
Silipo; il denunciante nemmeno allegava di aver appreso di specifiche
pressioni, né tantomeno di minacce rivolte da Silipo Ennio e Silipo
Danilo per l’affidamento dei lavori …; … dall’altro lato, la supposta
prevaricazione di Rocca non è stata bene circostanziata dal
denunciante, in quanto si limitava a esporre la sua percezione di aver
subìto un sopruso, senza meglio esplicitare i termini impiegati da
Rocca, le eventuali sue obiezioni e le modalità con cui alla fine aveva
contattato con i Silipo …”: da qui la conclusione, secondo cui “sfugge
al Tribunale in cosa possa consistere la condotta attiva addebitabile ai
fratelli Silipo”.
E medesima conclusione, in punto esclusione della gravità indiziaria,
veniva assunta con riferimento alla posizione di Loprete Giuseppe,
accusato di aver tenuto atteggiamenti intimidatori nei confronti di
Franzoni per il pagamento dei suoi lavori come fabbro presso il
cantiere di Marcaria. Secondo quanto asserito dal Franzoni, il Loprete
eseguiva le opere per conto di Magisa s.r.l. ed iniziava a pretenderne
il pagamento a partire dal luglio 2013, dapprima con telefonate e poi
presentandosi presso l’ufficio della parte lesa il 31.07.2013. Riconosce
il Tribunale come proprio l’ultimo incontro (quello dell’11.07.2014) tra
il Franzoni e il Loprete avesse palesato le reali intenzioni di

13

quest’ultimo (“… Mattè, sto perdendo la pazienza … adesso mi dici
dove sei che ti vengo a trovare e mi dici in faccia chi mi deve dare i
soldi”).

Riconosce il Tribunale: “… Loprete aveva un contenzioso

aperto, in primis con Magisa s.r.l. di Muto Salvatore, ma anche con
Ecologia e Sviluppo s.r.l. di Franzoni, Stradiotto e Muto Antonio, per il
saldo delle sue competenze; vantava un diritto di credito per lavori
effettivamente svolti, conferiti con regolare contratto; era controverso

chi fosse il suo debitore, almeno nella sua percezione soggettiva;
epperò, è inconfutabile che per l’esercizio del suo preteso diritto
Loprete poteva agire in giudizio …”.
Le modalità verbali poco ortodosse usate dall’incolpato, alla luce delle
succitate evidenze, non impediscono di far refluire la sua condotta nel
delitto di ragion fattasi ex art. 393 cod. pen., addebito che non
consente l’adozione di alcuna misura coercitiva.
2.2. In relazione al capo C) d’incolpazione ascritto a Rocca Antonio,
Signifredi Paolo, Grande Aracri Rosario, Grande Aracri Salvatore e
Belfiore Gaetano in relazione a reato più condotte di estorsione
aggravata, il ricorrente evidenzia come il Tribunale sia incorso in
plurimi ed imponenti travisamenti della prova avendo totalmente
omesso di considerare e valutare una serie di elementi emergenti
dalle indagini indicati dal giudice per le indagini preliminari
nell’ordinanza cautelare 18.02.2015 nelle pagine da 20 a 36.
Anche questa censura si profila infondata.
Il Tribunale, dopo aver dato atto che il compendio indiziario risulta
costituito dalle dichiarazioni di Covelli Enrico (persona offesa), dagli
esiti captativi e dalla ricostruzione dei fatti operata dalla polizia
giudiziaria (pgg. 257-407 della comunicazione di notizia di reato),
evidenzia come, dalla stessa narrazione della persona offesa, fosse
emerso che quest’ultima si era determinata a cedere la propria
società (Covelli s.r.I.) perché in forte dissesto finanziario, con
conseguente emersione di una prima contraddizione (o, quantomeno,
anomalia) dell’ipotesi accusatoria che vorrebbe la spogliazione di un
bene in dissesto che non avrebbe fatto conseguire alcun ingiusto
profitto agli agenti e non avrebbe causato alcun danno concreto alla
persona offesa. Altra particolarità è legata al fatto che, anche a
seguito della cessione societaria a Signifredi Paolo, la persona offesa
non sarebbe stata estromessa dalla società ma avrebbe continuato a

v

14

svolgere all’interno della stessa un ruolo operativo: cessione che, in
ogni caso, non sarebbe avvenuta a seguito di atti di sopraffazione o
intimidazione che lo stesso Covelli nega recisamente (minacce e
richieste di denaro che provengono solo da Martino Alfonso e non
dagli altri incolpati).
Anche in questo caso, a fronte di censure che, lungi dal contestare
profili di illogicità argomentativa, si risolvono in mere doglianze di

merito con la prospettazione di semplici conclusioni non condivise o
comunque di maggiore ritenuta persuasività, va esclusa la dedotta ed
inesistente contraddittorietà del provvedimento che, di contro, risulta
assistito da motivazione congrua e del tutto priva di vizi logicogiuridici.
2.3. Conclusioni non dissimili, ma addirittura del tutto sovrapponibili a
quelle testè esposte, si possono trarre in relazione al capo D)
d’incolpazione, in relazione al quale il Tribunale ha ritenuto la
sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico di Signifredi Paolo
in relazione al concorso nel delitto di estorsione ai danni di Boschiroli
Giordano, con esclusione dell’aggravante di cui all’art. 7 I. n.
203/1991.
2.3.1. Secondo l’accusa, Rocca Antonio, in concorso con Signifredi
Paolo, Muto Salvatore e Lamanna Francesco, avrebbero costretto
Boschiroli Giordano a consegnare loro la sua vettura Porsche
Cayenne, a conferire loro la titolarità del 90% delle quote sociali
nonché l’amministrazione della sua società Immobiliare Europa s.r.I.,
proprietaria di immobili e terreni edificabili, a consegnare a Rocca e
Signifredi assegni per l’importo complessivo di 20.000,00 euro, a
consegnare a Muto assegni per 40.000,00 euro e a tollerare
l’appropriazione, da parte di Muto, di 1.500,00 euro derivanti dalla
vendita della sua autovettura Audi Q7.
2.3.2. Censura il ricorrente come l’ordinanza impugnata, in un
documentale ed espresso travisamento della prova, consideri solo
una delle condotte estorsive riportate in incolpazione, ovvero quella
ritenuta “risolutiva” connessa alla consegna a Muto Salvatore di
40.000,00 euro, affermando la superfluità dell’analisi delle ulteriori
contestazioni; quindi, sempre limitando l’orizzonte motivazionale a
tale unico episodio, afferma che non sussistono gli estremi
dell’aggravante di cui all’art. 7 I. n. 203/1991.

15

Boschiroli, imprenditore immobiliare raggiunto dalla crisi finanziaria,
riceve pressanti richieste di pagamenti da parte di più persone di
origine calabrese che lo minacciano telefonicamente in modo assai
pressante. All’interno della pretesa economica di euro 40.000,00
vantata da Muto Salvatore nei confronti di Boschiroli (pretesa che le
captazioni telefoniche, rivelano per nulla lecita o azionabile in
giudizio, in quanto derivante dalla protezione che il Muto aveva

offerto al Boschiroli rispetto a pretese economiche altrui), si innesta,
a titolo di concorso, l’estorsione da parte di Rocca Antonio e di
Signifredi Paolo.
2.3.3. Il Tribunale, nel riconoscere (v. pag. 34 dell’ordinanza
impugnata) la gravità indiziaria in relazione alla specifica condotta di
estorsione sostanziatasi nella consegna a Muto Salvatore di assegni
per euro 40.000,00, non esclude la sussistenza delle altre plurime
condotte estorsive in contestazione, ma limita la propria attenzione a
quell’unica vicenda (ampiamente provata) ai soli fini di ritenere
sufficientemente integrata la condotta nominalistica di reato di
estorsione aggravata con conseguente giustificazione della misura
cautelare in atto (v. pag. 37 dell’ordinanza impugnata). E, d’altro
canto, l’avvenuta esclusione dell’aggravante dell’art. 7 I. n. 203/1991
trova argomentata giustificazione, come tale insindacabile in questa
sede, dall’esame del compendio delle intercettazioni in atti.
3. Ricorso nell’interesse di Signifredi Paolo
3.1. Il primo motivo di doglianza è infondato.
L’ordinanza impugnata, difformemente dalle valutazioni operate dalla
difesa, riconosce ed inquadra la condotta del Signifredi come non
limitabile ad una mera connivenza, essendosi invece la medesima
risolta in un contributo concorsuale alquanto rilevante per la
realizzazione dell’estorsione in danno di Boschiroli Giordano.
Il Signifredi, come il Rocca Antonio, ben consapevole della non
azionabilità della pretesa di Muto Salvatore e delle minacce dallo
stesso profferite, si adopera attivamente perché Boschiroli
corrisponda la somma. Riconosce il Tribunale come “… in primo luogo
… lo stesso Rocca raggiunge Boschiroli insieme a Muto Salvatore,
conoscendo la persona offesa proprio perché sollecitato da Muto ad
aiutarlo nel recupero del credito … ; … pertanto la partecipazione di
Rocca si innesta esattamente all’origine a sostegno della pretesa

16

economica di Muto Salvatore …; ma il concorso in tale azione
estorsiva prosegue oltre, posto che Rocca, alla presenza dello stesso
Signifredi che agisce in piena comunione di intenti con Rocca, afferma
che “la parola è stata detta a Salvatore, no ?!” …, confermando come
loro stessi non possano affrancare Boschiroli dalle pretese di Muto.
Signifredi, per conto suo, avverte come le pressioni esercitate da
Muto Salvatore nei confronti di Boschiroli abbiano carattere estorsivo,

tanto che in comunione di intenti con Rocca, cerca di trovare il far
pagare a Boschiroli la somma di cui sopra e risolvere la faccenda di
Muto Salvatore e ciò anche per poter gestire in totale autonomia, con
Rocca Antonio, l’impresa e le proprietà di Boschiroli …”.
La motivazione in punto configurabilità del delitto di estorsione a
carico del Signifredi, con riferimento alla fase cautelare che qui
interessa, appare argomentata correttamente sotto il profilo giuridico
e coerente dal punto di vista logico.
3.2. Il secondo motivo di doglianza è infondato.
Anche in punto valutazione delle esigenze cautelari ed ineludibilità
della misura massima, la motivazione del Tribunale appare congrua
ed esente da vizi.
Invero, il pericolo di reiterazione nei confronti di Signifredi Paolo
viene tratto dalla gravità dei fatti e dalla vicinanza con Rocca Antonio.
Evidenzia il Tribunale, come lo stesso:
– agisca in perfetta simbiosi con il Rocca e, attraverso la
collaborazione fattiva con quest’ultimo, garantisce un supporto
tecnico specialistico per le loro comuni attività criminose;
– suggerisca al Rocca e al Boschiroli stesso come far uscire i
pagamenti (tra cui quelli legati ai crediti estorsivi pretesi da Muto
Salvatore) in modo da farli apparire legati ad operazioni lecite;
-dimostri un profilo criminale tutt’altro che occasionale sollecitando
operazioni nonché l’acquisizione di società decotte attraverso le quali
realizzare condotte illecite:

profilo,

ulteriormente avvalorato

dall’esistenza di plurimi precedenti penali da cui lo stesso risulta
gravato e che non consentono di valutare favorevolmente capacità di
autocontrollo e di auto custodia su cui si fondano le misure diverse da
quella custodiale massima.
4. Ricorsi nell’interesse di Silipo Danilo e di Silipo Ennio
I ricorsi nell’interesse di Silipo Danilo e di Silipo Ennio, trattabili

i

17

congiuntamente per assoluta identità di questioni e per la loro
completa sovrapponibilità testuale, sono accoglibili solo relativamente
all’ultimo motivo proposto, essendo tutte le altre censure da
respingere attesane l’infondatezza.
4.1. Infondato è il primo motivo.
Nei confronti di Silipo Danilo e di Silipo Ennio è stata ritenuta la
gravità indiziaria in relazione al concorso nell’estorsione ai danni di

Marchio Giacomo (capo F d’incolpazione) perché quest’ultimo sarebbe
stato costretto ad effettuare il pagamento delle forniture ai due Silipo
(concorrenti nel reato con Rocca Antonio) mediante la corresponsione
di una cifra di denaro contante nell’ordine di 170/180.000,00 euro
oltre alla cessione di un immobile sito in S. Benedetto Po, così
procurandosi un ingiusto profitto con pari danno per la persona
offesa.
4.1.1.

Va

preliminarmente

evidenziato

come

lo sviluppo

argomentativo della motivazione dell’ordinanza impugnata risulta
fondato su una coerente analisi critica degli elementi di prova raccolti
e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo, alla
luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica
l’attribuzione a detti elementi del requisito della sufficienza, rispetto
al tema di indagine concernente l’esistenza di gravità indiziaria a
carico dei ricorrenti in ordine al delitto loro contestato. Invero, la
motivazione dell’ordinanza impugnata, lungi dall’incorrere nel dedotto
– ed assolutamente infondato – vizio di travisamento della prova,
supera quindi il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, alla
quale non è tuttora consentito di procedere ad una rinnovata
valutazione dei fatti magari finalizzata, nella prospettiva dei
ricorrenti, ad una ricostruzione dei medesimi in termini diversi da
quelli fatti propri dal giudice del merito.
4.1.2. Ciò premesso, evidenzia il Tribunale come l’origine lecita del
credito vantato dai due fratelli Silipo nei confronti di Marchio Giacomo
risulta incontrovertibile, alla luce delle produzioni difensive che
attestano l’affiancamento dell’impresa dei Silipo “Esternitalia s.r.l.”
alla ditta di Andali Eliseo, corrente in Mesoraca, per l’esecuzione di
una fornitura di serramenti al Marchio nell’ambito del progetto di
lottizzazione c.d. Berzamino. Altrettanto pacifico è che il pagamento
della fornitura generava un contenzioso tra le parti che la parte lesa,

18

sentita

dalla

polizia

giudiziaria,

riferiva

essersi

composto:

dichiarazioni apparse da subito reticenti se non addirittura false, se
raffrontate con gli esiti delle captazioni telefoniche e ambientali svolte
dai militari (v. contenuto delle intercettazioni a pagg. 41 e ss.
dell’ordinanza impugnata). Contrasti che hanno indotto il Tribunale a
riconoscere come trovasse smentita “… l’assunto di Marchio di aver
soddisfatto le pretese creditorie della ditta Esternitalia s.r.l. dei fratelli

Silipo in modo spontaneo e non conflittuale: infatti, le difficoltà
insorte per l’iniziale resistenza dei Silipo ad accettare un
appartamento in permuta non erano appianate, come voleva lasciar
intendere l’offeso alla polizia giudiziaria, con una bonaria trattativa tra
le parti contrattuali; le frasi profferite da Rocca Antonio e da Silipo
Ennio nelle conversazioni … implicano una pressante attività
minatoria, effettuata per parecchio tempo da più soggetti – Rocca e
Martino Alfonso – che non vantavano alcuna cointeressenza nella
specifica questione. I due ricevevano formale investitura dai fratelli
Silipo Ennio e Silipo Danilo, sotto la regìa dalla Calabria di Grande
Aracri Nicolino …; … Grande Aracri Nicolino era interpellato proprio in
coevità alla richiesta dei Silipo di essere supportati nei confronti di
Marchio e l’esito del colloquio era favorevole ai Silipo. Grande Aracri
Nicolino approvava l’iniziativa dei Silipo, cui seguivano insistenze
continuative sul debitore Marchio, in sinergia tra tutti i soggetti
coinvolti (Rocca, Martino, Silipo Ennio e Silipo Danilo), affinchè
ottemperasse …; … ne discende la matrice estorsiva di tali contegni a
carico di tutti gli indagati, in ossequio all’orientamento consolidato
della giurisprudenza di legittimità secondo cui allorquando la minaccia
o la violenza si estrinsecano in forme di tale forza intimidatoria da
andare al di là di ogni ragionevole intento di far valere un proprio
(preteso) diritto, allora la coartazione dell’altrui volontà assume

ex se

i caratteri dell’ingiustizia, con la conseguenza che, in situazioni del
genere, anche la minaccia tesa a far valere quel diritto si trasforma in
una condotta estorsiva …”.
Marchio si vedeva così costretto ad ottemperare alle condizioni
imposte pagando ai Silipo 170-180.000,00 euro in contanti per poi
cedere loro anche un appartamento in permuta di euro 140.000,00.
4.2. Infondato è il secondo motivo con il quale si censura la
ricorrenza dell’aggravante di cui all’art. 7 I. n. 203/1991 in relazione

i

19

alla quale il giudicante sarebbe incorso in motivazione apparente.
4.2.1. Parimenti ricorrente per il Tribunale l’aggravante

de qua,

rilevandosi come, se da un lato risultasse provato che il ricorso a
metodologie mafiose aveva in concreto esercitato una particolare
coartazione psicologica sull’offeso, dall’altro lato, si riscontrasse una
perfetta consonanza dell’agire dei correi con la tipologia classica di
intimidazione derivante dall’organizzazione criminale di riferimento,

che non si è limitata a rimanere sullo sfondo ma ha voluto
coinvolgersi sia a livello periferico che a livello centrale, amplificando
così la valenza criminale dell’incedere dei primi referenti territoriali
della parte lesa.
La motivazione spesa sul punto dal Tribunale è, anche in questo caso,
del tutto congrua e priva di qualsivoglia vizio logico-giuridico.
4.3. Infondato è il terzo motivo con il quale si censura la violazione di
legge relativa alla mancata concessione della misura cautelare meno
afflittiva degli arresti donniciliari, pur in presenza dei presupposti di
legge. In particolare, il Tribunale, pur riconoscendo la ricorrenza di
tali presupposti, ha tuttavia ritenuto, del tutto inopinatamente e
senza adeguata motivazione, non superata la presunzione relativa.
4.3.1. Anche sul punto, la motivazione del Tribunale è del tutto priva
di incongruenze logiche e di contraddizioni.
Invero, il Tribunale, dopo aver riconosciuto come le modalità di
commissione del fatto denotano, nei confronti di entrambi i Silipo,
proclività al crimine e mancanza di scrupoli, e ricordato come per i
delitti aggravati ex art. 7 I. n. 203/1991, la pericolosità sociale è
presunta ex lege, con operatività del meccanismo di cui al terzo
comma dell’art. 275 cod. proc. pen., ha ritenuto che detta
presunzione – superabile nel caso concreto solo in presenza di
acquisiti elementi specifici dai quali risulti che le esigenze cautelari
possano essere soddisfatte con altre misure – non potesse nella
fattispecie essere superata. Queste le ampie motivazioni a sostegno
di detta conclusione: “… l’incensuratezza di Silipo Ennio e la
sostanziale mancanza di precedenti penali di rilievo per Silipo Danilo
sono dati meramente formali, non espressivi di una reale capacità di
auto contenimento e di rispetto della legalità. In dissenso rispetto a
quanto argomentato dalla difesa, la condotta per cui si procede non
appare risalente, in quanto i fatti si collocano in periodo non remoto

I

20

(prima metà del 2012) e profilano aspetti inquietanti per
l’instaurazione di una fertile collaborazione su vasta scala avviata dai
Silipo con la cosca Grande Aracri, proiettata nel futuro su un arco
temporale notevole. L’incedere dei prevenuto non assume quindi
carattere occasionale, strumentale al superamento di una transitoria
crisi di liquidità, ma svela un assoggettamento pieno e acritico alla
logica spartitoria dei lavori edili tipica delle consorterie mafiose. Di

nessun pregio sono poi le doglianze relative al regolare inserimento
sociale, familiare e lavorativo dei ricorrenti, poiché nemmeno le
migliori condizioni di vita sono valse in passato a distoglierli dal
crimine, sicchè non possono dispiegare una valida controspinta
criminosa. Il contegno dispiegato nella vicenda in esame ha svelato
una radicale mancanza di senso di responsabilità, sicchè è impossibile
fare affidamento sulle loro doto di autocensura in caso fossero
concessi spazi di libertà”.
4.4. Fondato è invece il quarto motivo.
Invero, nonostante l’accoglimento parziale dell’impugnazione con
conseguente annullamento per insussistenza della gravità indiziaria in
relazione al capo M), il Tribunale del riesame ha condannato i
ricorrente al pagamento delle spese processuali, con palese violazione
dell’art. 592 cod. proc. pen. che prevede la condanna alle spese solo
in caso di rigetto o di inammissibilità dell’impugnazione.
Ampiamente condivisibile è al riguardo l’insegnamento della Suprema
Corte, secondo cui il parziale accoglimento dell’impugnazione esclude
la condanna alle spese di procedura (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997,
Dessimone e altri, Rv. 207947).
5. Alla pronuncia consegue:
– l’eliminazione della statuizione di condanna a carico di Silipo Danilo e
di Silipo Ennio al pagamento delle spese processuali pronunciata dal
Tribunale di Brescia con ordinanza in data 03.03.2015, operazione
consentita nella presente sede di legittimità;
– la condanna di Signifredi Paolo al pagamento delle spese
processuali;
– il compimento degli adempimenti di cancelleria di cui all’art. 94,
comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen.

PQM

21

Accoglie i ricorsi di Silipo Danilo e di Silipo Ennio limitatamente alla
condanna al pagamento delle spese processuali che elimina, con
rigetto nel resto.
Rigetta i ricorsi del pubblico ministero e di Signifredi Paolo.
Condanna Signifredi Paolo al pagamento delle spese processuali.
Manda la cancelleria agli adempimenti di cui all’art. 94, co/4ima I. ter

Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio delj 11.6.2015

Il Consigliere estensore

residente

Dott. Andrea Pellegrino

Dott. nti. sposito

disp. att. cod. proc. pen..

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