Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26229 del 26/05/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 26229 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: DIOTALLEVI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

Cava Patrizia, nata a Cosenza (CS) 1’8/12/1967;

Cava Debora, nata a Cosenza (CS) il 27/10/1971;

Cava July, nata a Cosenza (CS) il 26/04/1966;
Mazzucca Annamaria, nata a Cosenza (CS) il 16/10/1939;

avverso l’ordinanza del G.i.p. presso il Tribunale di Cosenza, n. 1128/14 R.G.I.P., del 29
maggio 2014, notificata il 10 giugno 2014;
Sentita la relazione del consigliere relatore, dott. Giovanni Diotallevi;

RITENUTO IN FATTO
1. Cava Patrizia, Cava Debora, Cava .luly e Mazzucca Annamaria propongono congiuntamente
un unico ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del G.i.p. presso il Tribunale di Cosenza, n.
1128/14 R.G.I.P., pronunciata in data 29 maggio 2014 e notificata il 10 giugno 2014.
Il provvedimento impugnato ha disposto l’archiviazione del procedimento aperto contro
persone da identificare, per i delitti di cui agli artt. 640 e 629 c.p., in relazione alla transazione,
stipulata in data 27 maggio 1999, intercorsa tra il “Gruppo Cava” e la banca Ca.ri.me. S.p.A.,
transazione relativa ad un credito vantato

alla quale è subentrata la Ca.ri.sal. S.p.A.;

dall’istituto bancario anzidetto nei confronti del suindicato operatore economico, il cui
ammontare, secondo la tesi prospettata dalle parti offese, sarebbe stato rappresentato dalla
banca stessa in misura superiore alla sua reale entità (18.669.187.994 Lire in luogo di
14.331.382.396 Lire), a causa di un illecito calcolo degli interessi anatocistici.
2. Il ricorso presenta un unico motivo, con cui si lamenta la violazione e falsa applicazione
dell’art. 640 c.p. e dell’art. 125, comma 3, c.p.p.

1

Data Udienza: 26/05/2015

In apertura, viene riprodotto il contenuto dell’opposizione all’archiviazione presentata dinanzi
al G.i.p. e che ha dato luogo all’ordinanza censurata.
In particolare, in quella sede, le parti offese hanno evidenziato che la data di conclusione della
transazione oggetto di contestazione era di pochi mesi successiva alle sentenze delle sezioni
civili di questa Suprema Corte con cui era stata dichiarata la nullità delle clausole
anatocistiche, inserite nei contratti bancari, che prevedevano la capitalizzazione trimestrale
degli interessi dovuti dai clienti degli istituti di credito. Si sottolineava altresì che l’accordo
transattivo era intervenuto anteriormente alla pubblicazione, risalente al 4 ottobre 1999, del D.

di capitalizzazione trimestrale inserite nei contratti conclusi prima della sua entrata in vigore.
Su queste basi, si affermava dunque che il comportamento tenuto dalla banca, consistito
nell’includere gli interessi anatocistici capitalizzati su base trimestrale nel computo del credito
vantato nei confronti della medesima controparte, tacendo sul sopravvenuto mutamento di
giurisprudenza in merito, avrebbe integrato gli artifici e raggiri di cui parla l’art. 640 c.p.
Inoltre, si segnalava che il reato di truffa così ipotizzato non poteva ritenersi prescritto,
venendo in considerazione un illecito a consumazione prolungata, il cui momento commissivo
avrebbe dovuto farsi coincidere con l’ultimo esborso di denaro, da parte del “Gruppo Cave”, in
applicazione del prefato accordo transattivo.
Muovendo da queste premesse, veniva chiesto un supplemento di indagini, anche attraverso
l’audizione degli opponenti, l’identificazione delle persone che, per conto della banca coinvolta,
avevano condotto le trattative e stipulato la transazione, onde assumere da essi sommarie
informazioni, e lo svolgimento di una perizia tecnico-contabile.
Il G.i.p., secondo la prospettazione difensiva formulata in questa sede, avrebbe superato i
suddetti rilievi con una motivazione meramente apparente, che si sarebbe esaurita in un
richiamo alla richiesta di archiviazione del P.M. e in argomentazioni apodittiche, tese ad
attribuire alla vicenda un rilievo meramente civilistico, richiamando peraltro le precedenti
archiviazioni di procedimenti piuttosto remoti nel tempo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 606, comma 3, c.p.p.,

Lgs. n. 342 del 1999 che, prima di essere dichiarato incostituzionale, aveva salvato le clausole

perché proposto per motivi diversi da quelli consentiti dalla legge processuale.
1.1. A tal proposito, deve osservarsi che l’art. 409, comma 6, c.p.p. ammette il ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza con cui venga disposta l’archiviazione unicamente nei casi
richiamati dall’art. 127, comma 5, del medesimo codice di rito, che individua una serie di vizi
incidenti sull’integrazione del contraddittorio nei confronti della parte pubblica e del soggetto o
dei soggetti che abbiano fatto opposizione alla detta richiesta. Da ciò discende che non può
ammettersi un ricorso con il quale si contesti un errore di diritto (cfr., ad es., Cass. pen., Sez,
VI, 24 febbraio 2015, dep. 24 marzo 2015, n. 12522, rv. 262953) ovvero un vizio di.4
motivazione o un travisamento di circostanze di fatto (cfr., ex plurimis, Cass. pen., Sez. VI, 14

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.,

novembre 2014, dep. 16 dicembre 2014, n. 52119, rv. 261681) da parte del suindicato
provvedimento.
La giurisprudenza di questa Suprema Corte reputa invece ammissibile il ricorso con il quale si
lamenti un’omissione totale, da parte del G.i.p., di qualsivoglia esame dell’opposizione
proposta, dal momento che una simile omissione equivale, nella sostanza, ad un diniego del
necessario contraddittorio tra le parti (si vedano, ex permultis, Cass. pen., Sez. III, 27 marzo
2014, dep. 9 maggio 2014, n. 19132, rv. 260109, Cass. pen., Sez. V, 20 giugno 2013, dep. 26
agosto 2013, n. 35504, rv. 256526 e Cass. pen., Sez. V, 6 novembre 2008, dep. 21 novembre

1.2. Fissate queste coordinate generali, è ora possibile esporre le ragioni che giustificano
l’esito decisorio sopra accennato.
1.2.1. Per quanto riguarda la prima parte del ricorso, essa appare ripetitiva del contenuto
dell’atto di opposizione alla richiesta di archiviazione del procedimento penale che qui viene in
rilievo. Pertanto, le argomentazioni ivi sviluppate sono insuscettibili di essere prese in
considerazione in questa sede, essendo, come si è visto in precedenza, il merito dei
provvedimenti di archiviazione sottratto, per espressa previsione legislativa, allo scrutinio del
giudice di legittimità.
1.2.2. Nella seconda parte del ricorso in esame si lamenta, invece, il carattere meramente
apparente della motivazione su cui il G.i.p. ha fondato la propria decisione di disporre
comunque l’archiviazione, nonostante l’opposizione degli odierni ricorrenti. Tuttavia, le
doglianze ivi formulate risultano inidonee a delineare quella omissione totale di qualsiasi
valutazione in merito all’atto di opposizione richiesta dalla succitata giurisprudenza affinché
possa configurarsi un vizio assimilabile alla mancata integrazione del contraddittorio, come tale
deducibile in sede di legittimità.
Innanzitutto, lo stesso ricorso dà atto di come il G.i.p. abbia rinviato alle argomentazioni
sviluppate dal P.M. nella richiesta di archiviazione, le quali, per espressa statuizione del
medesimo giudice, sono da considerarsi come parte integrante dell’ordinanza oggetto di
impugnazione. Ciò significa che l’autorità giudiziaria procedente, dopo aver ascoltato, in
camera di consiglio, le due opposte prospettazioni del pubblico ministero e degli opponenti, ha
fatto propria la prima, recependola sul piano sostanziale; così facendo, il giudice

a quo ha

implicitamente escluso l’attendibilità dei rilievi della controparte processuale, sulla scorta delle
ragioni esposte nella richiesta anzidetta, sebbene queste non siano state graficamente
riprodotte.
A ciò deve poi aggiungersi che la medesima autorità giudiziaria ha operato un ulteriore rinvio
esterno, nei confronti, questa volta, di precedenti provvedimenti di archiviazione, dalla stessa
emessi, concernenti accuse in tutto analoghe a quelle sollevate dall’atto di opposizione su cui
essa era chiamata a pronunciarsi.
Stanti questi innegabili rilievi, non può allora parlarsi di motivazione assolutamente mancante,
ma, tutt’al più, di motivazione imprecisa o incompleta, che però, in quanto tale, non equivale
3

2008, n. 43755, rv. 241803).

ad una violazione delle regole sul contraddittorio, che, sola, può giustificare la proposizione di
un ricorso per cassazione avverso un’ordinanza di archiviazione; di conseguenza, tutti gli
argomenti dedotti dalle parti ricorrenti si traducono, in realtà, in una contestazione dei motivi
sulla base dei quali il G.i.p. ha ritenuto di non dover disporre una prosecuzione delle attività
d’indagine, contestazione inammissibile in questa sede.
Il discorso vale, in primis, per le deduzioni con cui si contestano la tecnica del mero rinvio ad
un altro atto (la richiesta del P.M.) e la lontananza nel tempo dei provvedimenti di
archiviazione richiamati, ma vale altresì per l’argomento con cui si sostiene che l’attribuzione

giudiziale da ultimo menzionata, che di per sé potrebbe anche risultare apodittica, trova infatti
il proprio fondamento giuridico e logico-razionale nelle argomentazioni, oggetto di rinvio
esterno, esposte nella richiesta di archiviazione e nei precedenti provvedimenti di archiviazione
relativi a situazioni assimilabili.
2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore
della Cassa delle ammende, di una somma da quantificarsi in Euro 1.000 per ciascuno dei detti
ricorrenti, visti i rilevanti profili di colpa emergenti dall’analisi del ricorso qui trattato
(sull’idoneità delle persone offese che abbiano proposto un ricorso per cassazione a vedersi
comminata la condanna di cui al citato art. 616, si rimanda a Cass. pen., Sez. VI, 16 aprile
2003, dep. 4 giugno 2003, Di Girolamo e altri, n. 24260, rv. 226990).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle‘
di Euro 1.000 ciascuno/O-2R 09.21,1-6L, ALQ-0-1z 25,0-A-R-LA-QcticIt_

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2015.

pese processuali e

alla vicenda di una rilevanza esclusivamente civilistica sarebbe apodittica; la statuizione

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