Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26228 del 26/05/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 26228 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ZAGARIA GUIDO N. IL 14/02/1965
avverso il decreto n. 160/2012 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
04/03/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FABRIZIO DI MARZIO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
eé■ ,/___,3

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 26/05/2015

RITENUTO IN FATTO
Con il decreto in epigrafe la Corte di appello di Napoli, decidendo l’impugnativa
promossa da Zagaria Guido avverso il decreto emesso dal Tribunale di Santa
Maria Capua Vetere il 15.7.2011 – con il quale è stata applicata al proposto la
misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per anni
due e mesi sei con obbligo di soggiorno nel comune di residenza e confisca di
quote di due società commerciali (Lido Nettuno s.r.I.; Frine s.n.c.) e di un
complesso di beni adibiti a stabilimento balneare – ha confermato la decisione.

Avverso la pronunzia ricorre il proposto lamentando violazione di legge (in
relazione all’art. 4 d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159) per averne la Corte
affermato la persistenza della pericolosità sociale senza sottoporre ad adeguata
verifica di credibilità le numerose dichiarazioni dei diversi collaboratori di
giustizia in ordine al ruolo partecipativo del proposto al cosiddetto “clan dei
Casalesi” ; per non aver valorizzato la risalenza nel tempo delle condotte così
riferite; e in sostanza per aver reso una motivazione illogica su tali aspetti.
Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge in relazione all’art. 24 del
decreto legislativo n. 159 del 2011 contestando l’adozione della misura ablativa
e criticando la corte di appello per aver reso una motivazione illogica ed
apparente.
Il Procuratore generale ha presentato memoria sulla inammissibilità del ricorso
siccome motivato su ragioni di fatto e articolato sul vizio di motivazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
Ai sensi dell’art. 4, comma 11, L. 27 dicembre 1956, n. 1423, il decreto con il
quale la Corte di Appello decide in ordine al gravame proposto dalle parti
avverso il provvedimento del Tribunale in materia di misura di prevenzione della
sorveglianza speciale di pubblica sicurezza (art. 3 della legge citata) è ricorribile
per cassazione esclusivamente per violazione di legge, vizio, quest’ultimo, nel
quale è compreso, per consolidata lezione interpretativa di questa Corte, quello
della motivazione nella ipotesi in cui essa sia del tutto omessa ovvero apparente
(cfr., da ultimo, Cass., sez. 5, 8.4.2010, n. 19598).
Il proposto dichiara di censurare violazioni di legge, ma contesta in effetti
l’illogicità della motivazione, ritenendo contraddittoria l’affermazione della
persistente pericolosità sociale.
Tale vizio non è lannentabile in questa sede; inoltre la Corte territoriale espone
ampiamente le ragioni dell’accertamento in concreto della sussistente
pericolosità sociale, legittimante la misura di prevenzione, alle p. 6-8 del
provvedimento impugnato, segnalando in particolare come nei confronti del
proposto è stata pronunciata condanna per il reato di dell’art. 416 bis cod. pen.
per fatti commessi fino al 22 marzo 2004 nonché condanna da parte del
tribunale di Santa Maria Capua Vetere per il reato di estorsione aggravata dal

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metodo mafioso; e inoltre ponendo in evidenza come il ricorrente risulti gravato
di ulteriori carichi pendenti; come lo stesso sia stato attinto da plurime chiamate
di reità da parte di numerosi collaboratori di giustizia in tempi diversi; e come
infine lo stesso risulti stabilmente inserito in una famiglia che rappresenta una
espressione del vertice della camorra di Casal di Principe.
Le doglianze esposte nel ricorso si mostrano del tutto scollegate da tali rilievi e
volte ad una alternativa ricostruzione del fatto di cui si chiede inammissibilmente

Considerazioni dello stesso tenore devono essere avanzate con riguardo al
secondo motivo di ricorso, in cui si critica la conferma della misura ablativa.
Infatti nel decreto impugnato sono ampiamente motivate, alle p. 8-13, le ragioni
della decisione, fondata sulla rigorosa verifica della sproporzione tra beni
posseduti e redditi leciti dichiarati, l’assenza di qualsivoglia documentazione in
ordine alle alternative prospettazioni dei fatti fornita dal ricorrente (quali asseriti
aiuti economici ricevuti dal di lui padre), la piena ed assoluta disponibilità di tutti
i beni sottoposti a confisca da parte del proposto.
Nel ricorso si lamenta la carenza di una motivazione che è invece sussistente,
logica ed articolata. Dal che la manifesta infondatezza anche di tale motivo di
doglianza.
L’impugnazione, siccome manifestamente infondata, va dichiarata inammissibile.
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa
delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dai
ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1000,00 ir favore della
Cassa delle ammende.
Roma, li 26.5.2015
Il Consigliere estensore
Fabrizio Di Marzio

il sindacato a questa corte di legittimità.

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