Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26218 del 03/06/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 26218 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: GALLO DOMENICO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
1. MUSUMECI GIOVANNI nato il 05/03/1972;
2. SANTAPAOLA GRAZIA nata il 26/01/1957;
avverso la sentenza del 15/07/2014 della Corte di Appello di Catania;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Giulio Romano che ha
concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi;
uditi i difensori avv.ti Rapisarda Giuseppe (per Musumeci), Guaitoli
Fabio Massimo e Pino Ernesto (per Santapaola) che hanno concluso per
l’accoglimento dei rispettivi ricorsi;
FATTO
1. Con sentenza del 15/07/2014, la Corte di Appello di Catania
confermava la sentenza pronunciata in data 15/07/2013 dal tribunale
della medesima città nella parte in cui aveva ritenuto MUSUMECI
Giovanni e SANTAPAOLA Grazia colpevoli del reato di estorsione
aggravata continuata in danno di Antronaco Gaetano.

Data Udienza: 03/06/2015

2. Avverso la suddetta sentenza, entrambi gli imputati, hanno
proposto separati ricorsi per cassazione.

3.

MUSUMECI Giovanni, a mezzo del proprio difensore, ha

3.1. VIOLAZIONE DELL’ART. 178 LETT. C) COD. PROC. PEN. per essere la
contestazione generica ed indeterminata sia sotto il profilo fattuale che
sotto quello della collocazione temporale degli episodi contestati;
3.2. VIOLAZIONE DELL’ART. 438/5 COD. PROC. PEN. per non avere la
Corte riconosciuto la diminuente del rito abbreviato essendo stata
erroneamente rigettata la richiesta di abbreviato condizionato all’esame
della persona offesa;
3.3. VIOLAZIONE DELL’ART. 629 COD. PEN. per avere la Corte fondato il
giudizio di responsabilità sulle sole dichiarazioni della parte offesa
rivelatesi «incerte tanto in punto di identificazione della persona autore

del reato quanto in ordine all’esatta collocazione temporale di tale
condotta»;
3.4. VIOLAZIONE DELL’ART. 7 L. 203/1991 per avere la Corte ritenuto
la sussistenza della suddetta aggravante in assenza di adeguata
motivazione «malgrado la visibile incertezza della parte offesa già in

sede di indagini preliminari e poi in sede dibattimentale»;
3.5. VIOLAZIONE DELL’ART. 629/2 COD. PEN. per avere la Corte ritenuto
la sussistenza dell’aggravante posta in essere da persona che fa parte di
associazione mafiosa nonostante non ne sussistessero i presupposti
giuridici e fattuali ossia che di essa la parte offesa ne avesse avuto
consapevolezza.
3.6.

TRATTAMENTO SANZIONATORIO: il

ricorrente lamenta: a) la

mancata concessione delle attenuanti generiche; b) la carenza di
motivazione in ordine alle statuizioni civili; c) l’eccessività della pena.

4. SANTAPAOLA Grazia, a mezzo dei propri difensori, con due
separati ricorsi – peraltro sovrapponibili quanto ai motivi dedotti – ha
dedotto:

2

dedotto:

4.1. VIOLAZIONE DELL’ART. 178 LETT. C) COD. PROC. PEN.: si tratta della
stessa doglianza dedotta dal Musunneci;
4.2. VIOLAZIONE DELL’ART. 438/5 COD. PROC. PEN.: si tratta della stessa
doglianza dedotta dal Musumeci;
4.3. VIOLAZIONE DELL’ART. 629 COD. PEN.: la difesa sostiene che il

congetture, in quanto, per stessa ammissione della parte offesa, le
somme erano versate spontaneamente;
4.4.

VIOLAZIONE DELL’ART.

7 L. 203/1991 per la

«mancanza di

elementi minimi da cui desumere che il fatto reato addebitato alla
sign.ra Santapaola fosse caratterizzato dall’utilizzo del cd. metodo
mafioso e commesso al fine di agevolare l’attività dell’organizzazione
criminale “Santapaola”»;
4.5. VIOLAZIONE DELL’ART. 629/2 COD. PENI, non sussistendo alcuna
prova della configurabilità della suddetta aggravante essendo stata
l’imputata assolta dal reato associativo;
4.6.

TRATTAMENTO SANZIONATORIO

per essere

la

pena inflitta

eccessiva e sproporzionata rispetto alle concrete circostanze di fatto,
così come ingiustificato era l’aumento ex art. 81/4 cod. pen. nonostante
non sussistesse nessuno dei tre casi di cui all’art. 99/2 cod. pen. in
quanto le precedenti condanne non erano della stessa indole. La
ricorrente, infine, ha lamentato anche la mancata concessione delle
attenuanti generiche.
DIRITTO
1. VIOLAZIONE DELL’ART.

178 LETT. C) COD. PROC. PEN.: la censura,

dedotta da entrambi i ricorrenti, è infondata.
Entrambi i ricorrenti sono stati ritenuti responsabili del delitto di
estorsione di cui agli artt. 81, 110, 112 n. 1, 629 c. I e 2 in relazione
all’art. 628 c. 3 n. 1 e 3 c. p.:

«[..] perché, in concorso tra loro, in

numero di cinque persone, con più azioni esecutive di un medesimo
disegno criminoso anche in tempi diversi, mediante minaccia implicita
nei confronti di Antronaco Gaetano, titolare della tabaccheria sita in via

3

giudizio di responsabilità era stato effettuato sulla base di presunzioni e

della Concordia, di subire atti di violenza sulle cose e sulle persone in
mancanza della “protezione” garantita dagli esponenti del gruppo Amato
affiliato al clan Santa paola, costringendo il predetto a consegnare loro la
somma di lire 250.000 poi convertita in euro 130,00 mensili, si
procuravano un ingiusto profitto con pari danno per la persona offesa.

indagati appartenenti all’associazione mafiosa “Santapaola”. Con
l’aggravante di cui all’art. 7 D. L. 152/91 per aver agito avvalendosi
delle condizioni di assoggettamento e di omertà derivanti dalla appartenenza alla associazione mafiosa “Santapaola” ed al fine di agevolare
l’attività della predetta organizzazione. In Catania, dal 1987 fino al mese
di gennaio 2011. Con l’aggravante della recidiva reiterata, specifica ed
infraquinquennale per Musumeci Giovanni e Musumeci Luciano [.4».
Entrambi i ricorrenti sostengono che l’imputazione sarebbe
indeterminata: ma, come ha già rilevato la Corte territoriale (pag. 12
della sentenza)

«la contestazione riferita all’intero periodo di

commissione del reato, con individuazione specifica del fatto delittuoso,
soddisfa i requisiti minimi di chiarezza e precisione consentendo
agevolmente l’esercizio del diritto di difesa».
Questa Corte concorda con il suddetto giudizio, non
comprendendosi, anche in considerazione dell’estrema genericità ed
specificità delle doglianze, in cosa consisterebbe l’indeterminatezza, una
volta che la condotta criminosa sia stata compiutamente indicata in tutti
i suoi estremi e per tutto il periodo della consumazione.
Peraltro, risulta dalla sentenza impugnata che la somma di denaro
venne riscossa dal Musumeci negli anni 1993/1994 e, successivamente
dalla Santapaola.
Correttamente, infine, ad abundantiam, la Corte ha rilevato che, a
tutto concedere, la generica enunciazione del fatto integra una ipotesi di
nullità relativa del decreto di citazione a giudizio, che resta sanata
qualora non venga eccepita prima dell’apertura del dibattimento, come
si era verificato nel caso di specie: ex plurimis Cass. 28512/2014 Rv.
262508.

4

Con l’aggravante di avere posto in essere la minaccia essendo gli

2. VIOLAZIONE DELL’ART. 438/5 COD. PROC. PEN.: anche la suddetta

doglianza – dedotta da entrambi i ricorrenti – è infondata.
La Corte territoriale (pag. 9 della sentenza), ha respinto la
medesima doglianza, rilevando, in punto di fatto, che

«Nel presente

giudizio la persona offesa é stata esaminata nella fase delle indagini

completo, interamente utilizzabile nel giudizio abbreviato sicché
l’ulteriore audizione in sede di rito alternativo si palesava come non
necessaria e addirittura superflua e inutilmente gravosa rispetto alle
esigenze del rito (irrilevante essendo il fatto “a posteriori” del tutto
imprevedibile che in dibattimento l’esame dell’Antronico abbia
comportate una sola udienza istruttoria). Quanto alle dichiarazioni rese
in dibattimento, le stesse sono sostanzialmente confermative delle
precedenti, senza che sia dato registrare rilevano mutamenti. né
contraddizioni o discrasie. Nessuno degli appellanti ha peraltro indicato,
avendone l’onere, elementi specifici, circostanze, carenze probatorie,
aspetti peculiari in ordine ai quali si sarebbe resa necessaria l’audizione
della persona offesa, di tal che non appare ravvisabile la necessità di
esperire il mezzo di prova nel giudizio abbreviato, né, di conseguenza,
può essere operata nel presente giudizio di appello la riduzione di pena
connessa al rito alterativo».
Ora, poiché nel presente giudizio, nessuno dei ricorrenti ha
contestato, in punto di fatto, le circostanze fattuali indicate dalla Corte
territoriale se non in modo assolutamente generico ed aspecifico (cfr
pag. 4 ricorso Musuneci; pag. 6 ss ricorso avv.to Pino e pag. 1 ss avv.to
Guaitoli per Santapaola), la conclusione della Corte territoriale deve
ritenersi ineccepibile alla stregua della pacifica giurisprudenza di
legittimità formatasi sia in ordine al giudizio ex ante (Cass. 51817/2013
riv 258116) sia alla necessità che l’attività istruttoria richiesta abbia
natura integrativa e non meramente rinnovativa (Cass. 50891/2013 riv
257879) ampiamente richiamata dalla Corte territoriale.

3.

VIOLAZIONE DELL’ART. 629 COD. PEN.: le doglianze dedotte, nel

merito, da entrambi gli imputati, sono manifestamente infondate.

5

preliminari per ben tre volte, fornendo un quadro probatorio vasto e

La tesi difensiva della Santapaola, può essere così riassunta:
l’imputata non aveva effettuato alla parte offesa mai alcuna richiesta di
versamento di somme, in quanto era lo stesso Antronaco che, quando
l’imputata andava a ritirare le vincite al lotto, spontaneamente le
versava una determinata somma di denaro.

estraneità ai fatti contestati sostenendo l’inattendibilità delle
dichiarazioni dell’Antronaco.
La vicenda per cui è processo, si trova descritta a pag. 3 ss della
sentenza impugnata, dove la Corte chiarisce che l’estorsione che, da
anni, veniva perpetrata ai danni dell’Antronico, dal gruppo mafioso
Santapaola – Amato, venne a conoscenza degli inquirenti a seguito delle
dichiarazioni del collaboratore Desi Enrico che trovarono, poi, una
conferma nelle dichiarazioni della stessa vittima, prima reticente, poi
completamente confermative del fatto che da anni subiva un’estorsione
e che il pagamento della somma mensile pattuita (prima di £. 250.000,
poi di C 130,00), venne riscossa, negli anni 1993/1994 dal Musumeci, e,
da ultimo, dalla Santapaola moglie di Turi Amatoe cioè il responsabile
del gruppo al quale dava il denaro.
La Corte, poi, dopo avere chiarito le ragioni per cui l’Antronaco era
da ritenersi un teste attendibile (anche perché le sue dichiarazioni erano
state riscontrate da quelle dei collaboratori Desi e Viola riscontratesi fra
loro reciprocamente: pag. 5), non erano state coartate dagli
investigatori (pag. 13), e si erano rivelate chiare e lineari (pag. 14), ha
preso in esame le suddette tesi difensive ma le ha ampiamente
confutate alla stregua di puntuali elementi fattuali (pag. 14 ss quanto
alla Santapaola; pag. 26 ss quanto al Musunneci).
In questa sede, entrambi i ricorrenti, si sono limitati, in pratica, a
reiterare, in modo tralaticio, le rispettive tesi difensive, senza
evidenziare alcuno dei vizi motivazionali che, ex art. 606 lett. e) cod.
proc. pen. sono unicamente deducibili in questa sede di legittimità.
Va, quindi, replicato che le suddette censure vanno ritenute
null’altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede di
legittimità, una nuova valutazione di quegli elementi fattuali già

La tesi difensiva del Musumeci, si basa, invece, sulla completa

ampiamente presi in esame dalla Corte di merito la quale, con
motivazione logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati
elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi difensiva.
Pertanto, non essendo evidenziabile alcuna delle pretese
incongruità, carenze o contraddittorietà motivazionali dedotte da

rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, va dichiarata
inammissibile.
In altri termini, le censure devono ritenersi manifestamente
infondate in quanto la ricostruzione effettuata dalla Corte e la decisione
alla quale è pervenuta deve ritenersi compatibile con il senso comune e
con «i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento»: infatti, nel
momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve
stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore
possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione,
ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile
con il senso comune Cass. n. 47891/2004 rv 230568; Cass. 1004/1999
rv 215745; Cass. 2436/1993 rv 196955.
Sul punto va, infatti ribadito che l’illogicità della motivazione, come
vizio denunciabile, dev’essere percepibile ictu ocu/i, dovendo il sindacato
di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando
ininfluenti le minime incongruenze: ex plurimis SSUU 24/1999.
Né, infine sono ipotizzabili violazioni di legge in ordine ai criteri di
valutazione delle dichiarazioni e dei collaboratori di giustizia e della
parte offesa, perché la Corte territoriale, prima di ritenerle attendibili,
ha mostrato di adeguarsi ai consolidati e notori criteri enunciati
reiteratamente da questa Corte di legittimità.

4. VIOLAZIONE DELL’ART. 7 L. 203/1991: assolutamente generiche ed
aspecifiche, a fronte dell’amplissima motivazione addotta dalla Corte in
ordine alla configurabilità dell’aggravante in esame (pag. 17 ss), devono
ritenersi le doglianze dedotte da entrambi gli imputati che si basano,
ancora una volta, contro ogni evidenza fattuale evidenziata dalla Corte
territoriale, sulla pretesa inattendibilità della parte offesa.

7

entrambi i ricorrenti, la censura, essendo incentrata tutta su una nuova

5.

VIOLAZIONE DELL’ART.

629/2 COD. PEN :

in punto di diritto, Va

ribadito il consolidato principio secondo il quale «per l’applicazione della

circostanza aggravante di cui al n. 3 del terzo comma dell’art. 628 cod.
pen. è necessario che sia accertata l’appartenenza dell’agente a
un’associazione di tipo mafioso, ma non che via sia stata una sentenza

416 bis cod. pen.»: Cass. 26542/2009 Rv. 244096; Cass. 6533/2012 riv
252080.
La motivazione addotta, sul punto, dalla Corte territoriale è
amplissima: cfr pag. 20 quanto alla Santapaola; pag. 27 quanto al
Musumeci.
A fronte della suddetta motivazione, le doglianze dedotte in questa
sede vanno ritenute generiche ed aspecifiche essendo fondate su mere
ed apodittiche affermazioni circa una pretesa mancanza di prova,
smentite dai riscontri indicati dalla Corte.

6.

TRATTAMENTO SANZIONATORIO : a nche le censure dedotte da

entrambi i ricorrenti in ordine al trattamento sanzionatorio, sono
manifestamente infondate.
In punto di diritto, va rammentato che:
la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è
giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità, che,
pertanto, è insindacabile in cassazione (Cass., Sez. 6, n. 42688
del 24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio
affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il
giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle
attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi
favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti,
ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti
decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti
gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011,
Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane,
Rv. 248244);

8

di condanna o una formale imputazione in ordine al reato di cui all’art.

la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle
diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti,
rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita,
così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi
enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è

una nuova valutazione della congruità della pena la cui
determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento
illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – 04/02/2014, Ferrario,
Rv. 259142). Invero, una specifica e dettagliata motivazione in
ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle
diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la
pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella
edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto
dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. le espressioni
del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”,
come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a
delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv.
245596);
– in particolare, quanto all’aumento di pena per la continuazione,
costituisce consolidato principio di diritto che, qui va ribadito,
quello secondo il quale

«Nel caso in cui il giudice abbia

congruamente motivato in ordine alla determinazione della pena,
facendo riferimento alla natura dei reati, alla personalità
dell’imputato e alle concesse attenuanti generiche, egli non ha
l’obbligo di autonoma e specifica motivazione in ordine alla
quantificazione dell’aumento per la continuazione, posto che i
parametri al riguardo sono identici a quelli valevoli per la pena
base»: ex plurimis

Cass. 3034/1997 Riv.

209369;

Cass.

11945/1999 Rv. 214857; Cass. 27382/2011 Rv. 250465.
Applicando i suddetti principi alla concreta fattispecie, deve allora
rilevarsi che nessuna censura può essere mossa, sul punto, alla
sentenza impugnata, in quanto la Corte ha puntualmente spiegato le
ragioni per le quali ad entrambi gli imputati non potevano essere

9

inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad

concesse le attenuanti generiche, la pena era congrua, così come la
continuazione (pag.21 quanto alla Santapaola; pag. 27 quanto al
Musumeci).
Quanto, poi, alla doglianza sulla recidiva dedotta dalla sola
Santapaola, la Corte ha respinto la medesima censura rilevando che alla

essendo gravata da due precedenti condanne per fatti antecedenti a
quello per cui è processo: trattasi, infatti, della recidiva reiterata di cui
all’art. 99/4 cod. pen. che prevede, come correttamente rilevato dalla
Corte un aumento fino alla metà della pena.
Quanto, infine, alla doglianza dedotta dal solo Musumeci in ordine
alla quantificazione del danno a favore della costituita parte civile, ne va
rilevata l’inammissibilità in quanto, secondo la costante giurisprudenza
di questa Corte, la determinazione della provvisionale, in sede penale,
ha carattere meramente delibativo e può farsi in base a giudizio
presuntivo; detta valutazione è rimessa alla discrezionalità del giudice di
merito in quanto pronuncia provvisoria, incensurabile in Cassazione, ed
è priva d’efficacia di giudicato in sede di giudizio sulla liquidazione del
danno. L’imputato pertanto non può dolersi ne’ del difetto di
motivazione, ne’ della pretesa abnormità, poiché dispone di ogni
possibilità di difesa nella sede civile di liquidazione definitiva del danno:
SSUU 2246/1990 rv. 186722; Cass. 40410/2004 rv. 230105; Cass.
5001/2007 rv. 236068; Cass. 34791/2010 rv. 248348; Cass.
32899/2011 rv. 250934.

7. In conclusione, entrambe le impugnazioni – in considerazione
della circostanza che non tutti i motivi sono manifestamente infondati devono essere rigettate con conseguente condanna di entrambi i
ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
RIGETTA
i ricorsi e
CONDANNA

10

medesima era stata correttamente contestata la recidiva reiterata

i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Roma 04/06/2015

(Dott.

ENTE
o» Esposito)

IL PR

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