Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26217 del 03/06/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 26217 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
1. PERRICONE ANTONIO GIUSEPPE nato il 03/08/1954;
2. CASCIO VITINO nato il 15/03/1942;
3. CLEMENTE GIUSEPPE nato il 09/08/1971;
4.

FONTANA FRANCESCO nato il 01/11/1937;

avverso la sentenza del 05/11/2014 della Corte di Appello di Palermo;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Giulio Romano che ha
concluso per il rigetto di tutti i ricorsi;
udito il difensore avv.ta Cecilia Furitano in sostituzione degli avv.ti
Rizzuti Giovanni e Vaccaro Giovanni che, per tutti i ricorrenti, ha
concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi;
FATTO
1. Con sentenza del 05/11/2014, la Corte di Appello di Palermo
pronunciava il seguente dispositivo: «decidendo in sede di rinvio dalla

Corte di Cessazione che, con sentenza del 21 ottobre 2013 ha in parte

1

Data Udienza: 03/06/2015

annullato la sentenza emessa da questa Corte di Appello il 18 luglio
2012 nei confronti di Perricone Giuseppe Antonio, Cascio Vitino, Fontana
Francesco e Clemente Giuseppe:
Riduce ad anni tre di reclusione ed C 600,00 di multa la pena
inflitta nei confronti di Perricone Giuseppe Antonio, eliminando la pena

Riduce ad anni nove, mesi dieci di reclusione la pena inflitta nei
confronti degli imputati Cascio Vitino e Fontana Francesco;
conferma nei confronti di Clemente Giuseppe la sussistenza della
aggravante di cui al capoverso dell’art. 629 c.p.p. e condanna il predetto
imputato al pagamento delle spese processuali di questo grado di
giudizio, sospendendo í termini di custodia cautelare».

2. Avverso la suddetta sentenza, tutti gli imputati, hanno proposto
ricorso per cassazione.

3. PERRICONE Antonio, a mezzo dei propri difensori, con un unico
ricorso, ha dedotto la VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 132-133 COD. PEN. in quanto
il giudizio negativo espresso dalla Corte sulla personalità dell’imputato si
riferiva

«a non meglio specificati precedenti risalenti nel tempo e

riguardanti una sola arma (e non un numero indeterminato di armi) per
di più in assenza di qualsivoglia coinvolgimento dell’organizzazione
mafiosa» che non poteva giustificare una condanna così severa.

4. FONTANA Francesco, a mezzo del proprio difensore, ha dedotto
la VIOLAZIONE DEGLI ARTr. 132-133 COD. PEN. per avere la Corte territoriale
irrogato una pena superiore al minimo senza adeguata motivazione né
sulla pena base né sull’aumento.

5. CASCIO Vitino, a mezzo del proprio difensore, ha dedotto la
VIOLAZIONE DEGLI ARTr. 132-133 coi). PEN. per avere la Corte territoriale

irrogato una pena superiore al minimo senza adeguata motivazione né
sulla pena base né sull’aumento.

2

accessoria della interdizione dai pubblici uffici;

6. CLEMENTE Giuseppe, a mezzo del proprio difensore, ha dedotto
LA VIOLAZIONE DELL’ART. 629/2 COD. PEN.: la difesa sostiene che, alla luce

delle: «dichiarazioni delle patti offese (che hanno escluso di essere state

vessate); documentazione prodotta dalla difesa (sui rapporti
commerciali del Clemente con la ditta Ruvio e con il gommista Gulotta);

collaboratore di giustizia Calo gero Rizzuto; il ragionamento operato dalla
Corte, con pieno appiattimento alle conclusioni del Tribunale, appare
meritevole di nuovo annullamento» perché la suddetta aggravante non
avrebbe potuto essere applicata all’imputato non avendo questi mai
fatto parte di alcuna associazione mafiosa.
DIRITTO
1. I ricorsi di PERRICONE, CASCIO e FONTANA, possono essere
trattati congiuntamente in considerazione della medesima problematica
dedotta dagli imputati.
Risulta dalla sentenza impugnata che la precedente sentenza della
Corte di Appello fu annullata da questa Corte di legittimità, per le
ragioni di seguito indicate.
Quanto al Perricone, «la Corte di Cassazione, nel respingere tutti i

motivi di doglianza sollevati dalla difesa del Perricone e che avevano
riguardo al merito della contestazione e alla mancata applicazione della
diminuente per la scelta condizionata del rito abbreviato originariamente
avanzata dal ricorrente, come pure alla mancata applicazione delle
circostanze attenuanti generiche, annullava con rinvio la sentenza
impugnata nella parte relativa alla entità della pena inflitta, ritenendo
meritevole il motivo di doglianza con cui il ricorrente aveva censurato la
eccessività della pena e la mancanza di motivazione sul punto.
Osservava la Suprema Corte che la responsabilità dell’imputato era
stata accertata in relazione ad una sola arma e la pena di anni quattro
di reclusione si discostava dal minimo edittale previsto dagli artt.2 e 4
legge 2/10/1967, n. 895, senza che da parte della Corte territoriale

esami dei sottufficiali della Stazione dei CC. Di Montevago; esami del

fosse stata fornita alcuna motivazione a riguardo»: pag. 7-8 sentenza
impugnata.
Quanto agli imputati Cascio e Fontana, «la Corte di Cassazione,
nel respingere tutti i motivi di ricorse sollevati dalla difesa dei predetti
imputati (anche quelli che riguardavano la sussistenza nel caso in

circostanze attenuanti generiche attenuanti generiche), riteneva
fondato il motivo di doglianza con cui i difensori avevano lamentato la
eccessività della pena inflitta ai predetti imputati. Osservava la
Suprema Corte che la contestazione del reato associativo di cui al capo
A) arrivava fino al 2009, ma sia il Cascio che il Fontana erano stati
ritenuti colpevoli del reato di concorso esterno in associazione mafiosa,
per cui doveva ritenersi che il reato si fosse protratto fino al momento
in cui gli imputati avevano offerto il proprio contributo all’associazione,
contributo che, nella specie, anche sulla scorta degli episodi che erano
stati richiamati nelle sentenze di merito, sembrava essersi fermato al
2007»: pag. 10 sentenza impugnata.
La Corte territoriale, adeguandosi al dictum della Cassazione, ha,
quindi, così motivato:
quanto al Perricone, la Corte ha ritenuto di valorizzare la
«negativa personalità dell’imputato, quale si desume dai plurimi
precedenti penali dello stesso (il Perricone risulta essere stato
condannato più volte per violazione delle leggi sulle armi)
giustifica nel caso in esame l’irrogazione di una pena che si
discosti dal minimo edittale. A questo riguardo, va osservato che
í reati per cui il Perricone ha riportato condanna, pur avendo
riguardo ad una sola arma (e non al commercio di un numero
indeterminati di armi, come originariamente contestato), e pur
potendosi ricondurre ad una vicenda nella quale è stato escluso
ogni coinvolgimento della organizzazione mafiosa, denotano
comunque un significativo e stabile collegamento dell’imputato
con il mercato clandestino delle armi che assume una
connotazione particolarmente negativa, malgrado il tempo
trascorso da quei fatti, proprio in considerazione delle precedenti

4

esame delle aggravanti contestate e la mancata applicazione delle

analoghe condanne riportate dallo stesso»:

pag. 8 sentenza

impugnata;
– quanto agli imputati Cascio e Fontana, la Corte

«facendo

riferimento ai criteri edittali in vigore anteriormente alla riforma
del 2008, la pena da infliggere agli imputati Casdo Vitino e

vada determinata in complessivi anni nove, mesi dieci di
reclusione ciascuno (p.b. 416 bis comma 4° ante 2008 = anni 7
+ comma 6° pari ad anni 2, mesi 4 di reclusione = anni 9, mesi 4
di reclusione + art. 81 cpv cp, in relazione al reato di cui al capo
I pari a mesi 6 = anni nove, mesi dieci di reclusione). Restano
ferme le statuizioni precedenti relative alle pene accessorie e alla
misura di sicurezza applicate ai predetti imputati e che non
vengono incise dalla riduzione della pena come sopra inflitta»:
pag. 12 sentenza impugnata.
In punto di diritto, va rammentato che, secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte che, in questa sede, va ribadita, la
graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle
diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra
nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per
fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e
133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel
giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità
della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di
ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – 04/02/2014,
Ferrario, Rv. 259142).
Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla
quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti
per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga
superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere
sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod.
pen. le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo
aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a
delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596).

5

Fontana Francesco in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti

Nel caso di specie, quanto al Perricone (condannato per detenzione
illegale e porto abusivo in luogo pubblico di armi e munizioni), la Corte
ha ampiamente spiegato le ragioni per cui non riteneva di applicare il
minimo della pena, pena, peraltro, che non è stata affatto irrogata entro
limiti di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale: di

manifestamente infondata.
Alla stessa conclusione,

mutatis mutandis,

deve pervenirsi

relativamente ai ricorsi degli imputati Cascio e Fontana, tanto più ove si
consideri che la Corte è partita dal minimo della pena base vigente
all’epoca (anni sette), sulla quale ha applicato il minimo dell’aumento
previsto dal comma sesto (un terzo), oltre una modesta continuazione
di mesi sei: non si comprende, quindi, su cosa la Corte avrebbe dovuto
motivare.

2. Quanto al ricorso del CLEMENTE va osservato che, come ha
rilevato la Corte, territoriale, «la Corte di Cassazione ha ritenuto fondata

unicamente la censura relativa alla ritenuta sussistenza nel caso in
esame della aggravante contestata di cui al secondo comma dell’art.629
c.p. Con riguardo alla aggravante in parola la Suprema Corte, premesso
che la stessa può essere estesa solo al compartecipe che ne abbia avuto
effettiva o potenziale conoscenza, ha rilevato che la sentenza impugnata
non aveva motivato specificamente in ordine a tale punto, limitandosi a
sostenere che “non pare dubitabile” che l’imputato fosse a conoscenza
dell’appartenenza dei mandanti all’associazione mafiosa, senza
considerare, però, che i due mandanti della estorsione in oggetto, i
coimputati Cascio Vitino e Fontana Francesco, non erano stati
riconosciuti intranei all’associazione, ma solo concorrenti esterni, e
omettendo, inoltre, ogni considerazione sui rapporti diretti con altri
compartecipi del medesimo, quali il Guzzo»:

pag. 13-14 sentenza

impugnata.
La Corte, quindi, da pag. 16 a pag. 23 della sentenza impugnata,
ha illustrato le ragioni per le quali, in punto di fatto, dovesse essere
ritenuta configurabile la suddetta aggravante.

conseguenza, la censura, nei termini in cui è stata’ dedotta, è

L’unico problema che, quindi, si può porre in questa sede, è quello
di verificare se la Corte abbia colmato la lacuna motivazionale
stigmatizzata dalla Corte di cassazione nella sentenza di annullamento,
e se la suddetta motivazione risponda ai criteri di logicità e non
contradditorietà.

Infatti, il ricorrente si è limitato ad offrire la propria versione dei
fatti dando quindi, del compendio probatorio, una versione meramente
alternativa.
Al che deve replicarsi che le censure riproposte con il presente
ricorso, vanno ritenute null’altro che un modo surrettizio di introdurre,
in questa sede di legittimità, una nuova valutazione di quegli elementi
fattuali già ampiamente presi in esame dalla Corte di merito la quale,
con motivazione logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli
indicati elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi difensiva.
Pertanto, non essendo evidenziabile alcuna delle pretese
incongruità, carenze o contraddittorietà motivazionali dedotte dal
ricorrente, la censura, essendo incentrata tutta su una nuova
rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, va dichiarata
inammissibile.
In altri termini, le censure devono ritenersi manifestamente
infondate in quanto la ricostruzione effettuata dalla Corte e la decisione
alla quale è pervenuta deve ritenersi compatibile con il senso comune e
con «i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento»: infatti, nel
momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve
stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore
possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione,
ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile
con il senso comune Cass. n. 47891/2004 rv 230568; Cass. 1004/1999
rv 215745; Cass. 2436/1993 rv 196955.

3. In conclusione, tutte le impugnazioni devono ritenersi
inammissibili a norma dell’art. 606/3 c.p.p, per manifesta infondatezza:
alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la

La risposta non può che essere ampiamente positiva.

condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché al
versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che,
ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina
equitativamente in C 1.000,00 ciascuno.

DICHIARA
inammissibili i ricorsi e
CONDANNA
i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascu

della somma

di C 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Roma 04/06/2015
IL
(Do
IL CONSIGLIERE! ET.
(Dott. G. Rago

ENTE
posito)

P.Q.M.

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