Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26215 del 03/06/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 26215 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
MARANO DOMENICO nato il 13/05/1984, avverso la sentenza del
06/06/2014 della Corte di Appello di Bologna;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Giulio Romano che ha
concluso per il rigetto;
udito il difensore avv.to Pierantonio Carlo Rovatti che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;
FATTO
1. Con sentenza del 06/06/2014, la Corte di Appello di Bologna
confermava la sentenza con la quale, in data 24/06/2013, il tribunale di
Modena aveva ritenuto MARANO Domenico colpevole dei reati di rapina
aggravata e porto di un oggetto (cutter) atto ad offendere.

Data Udienza: 03/06/2015

2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio
difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti
motivi:
2.1. VIOLAZIONE DELL’ART. 530/2 COD. PROC. PEN. per avere la Corte
confermato la sentenza di condanna pur in assenza di un compendio

ripercorso gli indizi valutati in senso accusatorio da entrambi i giudici di
merito, sostiene che nessuno di essi sarebbe grave, preciso e
concordante tanto da far ritenere la colpevolezza dell’imputato al di là di
ogni ragionevole dubbio;
2.2. TRATTAMENTO SANZIONATORIO: la difesa sostiene che la pena
inflitta sarebbe eccessiva anche in considerazione delle modalità del
fatto e delle conseguenze. La difesa, infine, ha eccepito che non vi
sarebbe alcuna prova del previo concerto con il coimputato sull’uso del
cutter sicchè il Marano avrebbe dovuto essere assolto dal reato di cui
all’art. 4 L. 110/1975.
DIRITTO
1. VIOLAZIONE DELL’ART. 530/2 COD. PROC. PEN.: la censura, nei termini

in cui è stata dedotta, è manifestamente infondata.
Infatti, l’analisi e la valutazione del compendio indiziario è stato
oggetto di ampio dibattito in entrambi i giudizi di merito all’esito dei
quali, entrambi i giudici hanno concluso unanimemente per la
colpevolezza dell’imputato spiegando le ragioni della univoca valenza
accusatoria, ai sensi dell’art. 192/2 cod. proc. pen., del compendio
probatorio, non solo per il reato di rapina ma anche per il reato
contravvenzionale (cfr pag. 5 § 5 della sentenza impugnata).
In questa sede, il ricorrente, lungi dall’evidenziare alcuno dei vizi
motivazionali deducibili ai sensi dell’art. 606 lett, e) cod. proc. pen., si è
limitato, in modo tralaticio ed aspecifico, a riproporre la propria tesi
difensiva.
Al che deve replicarsi che le censure riproposte con il presente
ricorso, vanno ritenute null’altro che un modo surrettizio di introdurre,

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probatorio univoco. Sul punto, la difesa (pag. 4 del ricorso), dopo avere

in questa sede di legittimità, una nuova valutazione di quegli elementi
fattuali già ampiamente presi in esame dalla Corte di merito la quale,
con motivazione logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli
indicati elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi difensiva.

incongruità, carenze o contraddittorietà motivazionali dedotte dal
ricorrente, la censura, essendo incentrata tutta su una nuova
rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, va dichiarata
inammissibile.
In altri termini, le censure devono ritenersi manifestamente
infondate in quanto la ricostruzione effettuata dalla Corte e la decisione
alla quale è pervenuta deve ritenersi compatibile con il senso comune e
con «í limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento»: infatti, nel
momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve
stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore
possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione,
ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile
con il senso comune Cass. n. 47891/2004 rv 230568; Cass. 1004/1999
rv 215745; Cass. 2436/1993 rv 196955.

2.

TRATTAMENTO SANZIONATORIO:

non miglior sorte ha la suddetta

doglianza, non peraltro perché, da un controllo dell’atto di appello, non
risulta che fosse stato dedotto alcuno specifico motivo di doglianza in
ordine al trattamento sanzionatorio.

3. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a
norma dell’art. 606/3 c.p.p, per manifesta infondatezza: alla relativa
declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al
versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che,
ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina
equitativamente in C 1.000,00.
P.Q.M.

3

Pertanto, non essendo evidenziabile alcuna delle pretese

DICHIARA
inammissibile il ricorso e
CONDANNA
il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della omma di €

Roma 04/06/2015
ENTE
Esposito)
IL CONSIGLIERE T.
(Dott. G. Rago)

(i

1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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