Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26211 del 26/05/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 26211 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
L’AQUILA
nei confronti di:
BEVILACQUA SANTINO N. IL 20/03/1959
BEVILACQUA MARCO N. IL 11/01/1984
avverso la sentenza n. 774/2013 CORTE APPELLO di L’AQUILA, del
29/05/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FABRIZIO DI MARZIO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 26/05/2015

Ritenuto in fatto
Con sentenza in data 29 maggio 2014 la corte d’appello di L’Aquila in riforma
della sentenza del tribunale di Vasto che in data 22 novembre 2010 aveva
condannato Bevilacqua Santino e Bevilacqua Marco per ricettazione di un
cellulare assolveva gli imputati dal reato a loro ascritto perché il fatto non
costituisce reato.

Ricorre per Cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di
L’Aquila deducendo che la sentenza impugnata è incorsa in vizio della
motivazione. Lamenta che la corte d’appello perviene all’assoluzione degli
imputati sulla base del fatto che gli imputati avevano utilizzato il telefono
risultato rubato con una scheda a loro intestata. Detta circostanza secondo i
giudici d’appello avrebbe dimostrato la buona fede della prevenuta
nell’acquisto dell’apparecchio atteso che che la nota tecnica del tracciamento
IMEI consente l’immediata identificazione dell’utilizzatore avrebbe dovuto
indurre il ricettatore ad inserire nel telefono una scheda intestata ad altro o a
persona addirittura inesistente.
Rileva il ricorrente che è sfuggito ai giudici d’appello la circostanza che non è
legalmente possibile disporre di schede telefoniche intestate ad altri o a a
persone inesistenti e che per avere la disponibilità di una scheda telefonica
bisogna necessariamente esibire al gestore, che ne estrae copia, un
documento di riconoscimento valido . Ritiene pertanto che il fatto di utilizzare
un telefono ricettato con una scheda telefonica a sé intestata non sia di per sé
indizio di buona fede. Evidenzia inoltre che la corte d’appello ha del tutto
omesso di ripercorrere la motivazione che aveva indotto il giudice di primo
grado ad emettere una sentenza di condanna e di spiegare il perché se ne
discostava. Rileva che dalla sentenza di primo grado emerge non solo
l’esistenza di una precedente denuncia per furto, ma anche che gli
accertamenti effettuati, consistiti nell’acquisizione dei tabulati relativi al
telefono in questione emergeva che lo stesso era stato utilizzato dal giorno
successivo al furto con sim card intestate agli imputati. Osserva inoltre che gli
imputati, rimanendo estranei al processo, non avevano in alcun modo fornito
giustificazione dei comportamenti addebitati.

Considerato in diritto
Il ricorso è fondato.
La sentenza impugnata afferma apoditticamente l’assenza dell’elemento

1

soggettivo senza confrontarsi con le argomentazioni del primo giudice
richiamate nel ricorso del Procuratore Generale. Deve ricordarsi il principio più
volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale il giudice
di appello che riformi totalmente la sentenza di primo grado, ha l’obbligo di
dimostrarne con rigorosa analisi critica l’incompletezza o l’incoerenza, non
essendo altrimenti razionalmente giustificato il rovesciamento della
statuizione.

dimostrazione della incompletezza o della non correttezza ovvero
dell’incoerenza delle relative argomentazioni con rigorosa e penetrante analisi
critica seguita da corretta, completa e convincente dimostrazione che,
sovrapponendosi in toto a quella del primo giudice, senza lasciare spazio
alcuno, dia ragione delle scelte operate e del privilegio accordato ad elementi
di prova diversi o diversamente valutati. In questo caso il giudice di appello
deve raffrontare il proprio decisum non solo con le censure dell’appellante, ma
anche con il giudizio espresso dal primo giudice, che si compone sia della
ricostruzione del fatto che della valutazione complessiva degli elementi
probatori, nel loro valore intrinseco e nelle connessioni tra essi esistenti.
Inoltre, il giudice di appello, allorché prospetti ipotesi alternative a quelle
ritenute dal giudice di prima istanza, non può limitarsi a formulare una mera
possibilità, come esercitazione astratta del ragionamento disancorata dalla
realtà processuale, ma deve riferirsi a concreti elementi processualmente
acquisiti posti al fondamento di un iter logico che conduca, senza affermazioni
apodittiche, a soluzioni divergenti da quelle prospettate da altro giudice di
merito. Questo è invece avvenuto nel caso di specie.

Ciò precisato, deve constatarsi il decesso di Bevilacqua Santino, a cui
consegue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per morte del
reo.

Invece, con riguardo alla posizione di Bevilacqua Marco, si impone pertanto
l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla corte d’appello di
Perugia per nuovo giudizio.

PQM
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Bevilacqua
Santino per morte del reo. Annulla la medesima sentenza nei confronti di

La totale riforma della sentenza di primo grado impone al giudice di appello la

Bevilacqua Marco con rinvio alla Corte di appello di Per1gia per nuovo
giudizio.
Roma, 26.5.2015

Il Consigliere estensore

9.c

Fabrizio Di Marzio

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