Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2620 del 10/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 2620 Anno 2016
Presidente: CARCANO DOMENICO
Relatore: DI SALVO EMANUELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TUGNOLI SIMONE N. IL 12/01/1974
avverso la sentenza n. 14858/2014 CORTE APPELLO di ROMA, del
10/02/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EMANUELE DI SALVO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ( il, i o u A, iv
che ha concluso per

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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

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Data Udienza: 10/11/2015

RITENUTO IN FATTO

2.11 ricorrente deduce, con il primo motivo, vizio di motivazione in ordine alla
responsabilità,poiché il casale all’interno del quale è stata rinvenuta la sostanza stupefacente
(6002 dosi medie singole di amfetamina) era occupato da svariate persone e i materiali
utilizzati per il confezionamento della droga sono stati ritrovati tanto negli ambienti comuni
quanto nelle singole abitazioni. Il ricorrente non era stato presente all’interno del casale sino
alle ore 1,30 del 6 dicembre 2013, essendosi recato a Roma,come dimostrato da una ricevuta
di pagamento. Lo stupefacente era celato all’interno del freezer, dietro buste piene di generi
alimentari non acquistati dal Tugnoli, il quale ha anche indicato, quale probabile proprietario
della sostanza, un cittadino polacco, da lui ospitato dal mese di luglio 2013, come da
dichiarazione di cessione di fabbricato, presentata al Comune. La sostanza stupefacente
detenuta dal ricorrente all’interno del marsupio non aveva alcuna relazione con quella
rinvenuta nel freezer, avendo un principio attivo diverso. La Corte non ha dunque verificato la
congruenza degli elementi di prova rispetto alle ipotesi di spiegazione dei fatti alternative
rispetto a quella dell’accusa, prospettate nel corso del giudizio.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Le doglianze formulate esulano dal novero delle censure deducibili in sede di legittimità,
investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto riservati alla cognizione
del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove
siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell’iter logicogiuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. In tema di sindacato del vizio di
motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria
valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di
prova,bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro
disposizione,se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e
convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole
della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate
conclusioni, a preferenza di altre (Sez. U., 13-12-1995, Clarke, Rv. 203428).
2. Nel caso di specie, dalle cadenze motivazionali della sentenza d’appello è enucleabile una
attenta analisi della regiudicanda, poiché la Corte territoriale ha preso in esame tutte le
deduzioni difensive ed è pervenuta alla conferma della sentenza di primo grado attraverso un
itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla
base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta
illogicità e perciò insindacabili in questa sede. Ciò si desume, in particolare,dalle considerazioni
formulate dal giudice a quo alle pagine 7-9 della sentenza impugnata. Né la Corte suprema
può esprimere alcun giudizio sull’attendibilità delle acquisizioni probatorie, giacchè questa
prerogativa è attribuita al giudice di merito, con la conseguenza che le scelte da questo
compiute, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle risultanze agli atti, si
sottraggono al sindacato di legittimità (Sez. U. 25-11-1995, Facchini, Rv. 203767).
3. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, a norma dell’art. 606, comma 3, cod. proc.
pen., con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di euro mille, determinata secondo equità, in favore della Cassa delle ammende.

1

1. Tugnoli Simone ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la
quale è stata confermata la sentenza di condanna emessa in primo grado, in ordine al delitto
di cui all’art. 73 d.P.R.9 ottobre 1990, n. 309.

PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di euro mille in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma , al! ‘udienza del 10-11-2015.

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