Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26186 del 19/05/2015


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 26186 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TROTTA RITA N. IL 11/07/1975
avverso la sentenza n. 1831/2011 CORTE APPELLO di SALERNO, del
05/05/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
Udito il Procuratore Gperale in persona del Dott. V
;15, n
che ha concluso per

O

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 19/05/2015

50240/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 5 maggio 2014 la Corte d’appello di Salerno ha respinto l’appello
proposto da Trotta Rita avverso sentenza dell’8 marzo 2011 con cui il Tribunale di Salerno
l’aveva condannata alla pena di 20 giorni di reclusione e C 200 di multa per il reato di cui
all’articolo 2 I. 638/1983 per omesso versamento all’Inps di Salerno delle ritenute contributive

al trimestre da ottobre a dicembre 2006.
2. Ha presentato ricorso il difensore, sulla base di due motivi. Il primo motivo denuncia
violazione dell’articolo 8 c.p.p. in quanto competente per il reato contestato sarebbe il
Tribunale di Vallo della Lucania; il secondo censura la corte territoriale per non avere verificato
la regolarità della notifica dell’accertamento dell’Inps e quindi l’effettiva conoscenza dell’avviso
da parte dell’imputata, per cui avrebbe dovuto assolverla ex articoli 530, secondo comma, e
533 c.p.p.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato.
3.1 II primo motivo denuncia violazione dell’articolo 8 c.p.p. per avere la corte territoriale
aderito alla posizione del giudice di prime cure che aveva disatteso la relativa eccezione di
incompetenza, laddove la posizione contributiva e previdenziale della imputata era stata aperta
il 2 maggio 1997 presso la sede dell’Inps di Vallo della Lucania, sede presso la quale dovevano
quindi essere versati i contributi in questione. Inspiegabile sarebbe stato, invece, il rigetto del
relativo motivo d’appello.
Il motivo non trova corrispondenza nel contenuto delle sentenze di merito. Il Tribunale aveva
dato atto che la difesa dell’imputata aveva proposto eccezione preliminare sulla competenza
per territorio proprio sulla base del fatto che la sede dell’impresa di cui è titolare l’imputata si
trova nel territorio di competenza dell’Inps di Vallo della Lucania, richiamando il motivo del
rigetto già manifestato della eccezione, e cioè l’adesione alla giurisprudenza che individua la
competenza territoriale del reato in esame nel luogo in cui devono essere versati i contributi
previdenziali ed assicurativi, da identificarsi nella sede dell’Inps dove l’impresa ha aperto la sua
posizione assicurativa e non nella sede legale dell’impresa, ai sensi dell’articolo 1182, secondo
comma, c.c., per cui l’adempimento di obbligazioni pecuniarie deve avvenire al domicilio del
creditore. A sua volta il giudice d’appello ribadisce che il luogo dove deve essere compiuto
versamento dei contributi è quello che radica la competenza, ed è “da identificarsi nella sede

operate nei confronti dei suoi dipendenti, per un complessivo ammontare di C 873,22, relativo

dell’istituto previdenziale ove l’impresa ha aperto la sua posizione assicurativa e non dove essa
ha la sua sede legale”. La posizione assunta dal giudice di secondo grado non è dunque affatto
inspiegabile, bensì è un richiamo evidente a quanto più ampiamente illustrato dal giudice di
prime cure, rispetto alla cui pronuncia la sentenza impugnata si colloca come una c.d. doppia
conforme fondata su omogenei criteri valutativi e dunque da essa integrabile (sul noto
principio della integrazione reciproca che connette l’apparato nnotivativo delle pronunce c.d.
doppie conformi qualora siano stati adottati, come nel caso di specie, criteri valutativi

2012 n. 13926; Cass. sez. II, 10 gennaio 2007 n. 5606; Cass. sez. III, 1 febbraio 2002, n.
10163; Cass. sez. I, 20 giugno 2000 n. 8868).
D’altronde, in tal modo entrambi i giudici di merito seguono l’insegnamento di questa
Suprema Corte, richiamata espressamente dal Tribunale nel più recente arresto massimato al
riguardo (Cass. sez. III, 14 febbraio 2007 n. 26067, che si colloca sostanzialmente sulla linea
di Cass. sez. III, 12 luglio 2006 n. 34418, Cass. sez. I, 20 gennaio 2004 n. 3883, Cass. sez.
III, 24 novembre 2000-1 febbraio 2001 n. 3985 e Cass. sez. I, 23 ottobre 1989 n. 2602).
In conclusione, il motivo risulta privo di pregio.
3.2 II secondo motivo si fonda sulla pretesa irregolarità della notifica dell’avviso di
accertamento dell’Inps, che avrebbe impedito, quanto meno a livello di ragionevole dubbio,
alla imputata di venire a conoscenza dell’accertamento stesso. Infatti, come evidenziato dalla
stessa corte territoriale, l’atto non sarebbe stato notificato personalmente alla imputata, ma
sarebbe stato ritirato da un familiare; e pur essendo la comunicazione a forma libera, occorre
che ìl destinatario abbia avuto effettiva conoscenza della comunicazione. Ad avviso della
ricorrente, dunque, il giudice d’appello avrebbe dovuto anzitutto accertare se l’accertamento
era stato regolarmente notificato, verifica non effettuata perché il giudicante si sarebbe
“limitato a considerare tale comunicazione regolare in quanto ritirata da un familiare
dell’imputata senza però verificarne l’effettiva conoscenza da parte della stessa”, così
contravvenendo ai principi di cui agli articoli 530, secondo comma, e 533 c.p.p.
Anche questo motivo è privo di consistenza. La forma libera della notificazione dell’avviso
dell’accertamento Inps è indiscutibile, non essendo applicabili né la disciplina delle notificazioni
degli illeciti amministrativi di cui alla I. 689/1981 né la disciplina delle notificazioni del codice di
rito penale, e dovendosi ritenere che, a fronte di una notifica regolarmente eseguita nel luogo
indicato dalla stessa imputata per le comunicazioni – com’è avvenuto nel caso di specie, ciò
risultando dalla sentenza di primo grado (pagina 3), la cui integratività rispetto alla successiva
doppia conforme si è già rimarcata – non sia sufficiente asserire di non aver avuto conoscenza
dell’atto in quanto non ricevuto personalmente, bensì da un altro soggetto (che per di più la
stessa destinataria ammette essere a lei non estraneo, qualificandolo come suo familiare), per
creare un dubbio ragionevole che porti alla assoluzione dal reato ex articoli 530, secondo
comma, e 533 c.p.p.

omogenei v. Cass. sez. III, 16 luglio 2013 n.44418; Cass. sez. III, 1 dicembre 2011-12 aprile

Invero l’insegnamento di questa Suprema Corte – consolidato nell’affermare la forma libera
della notifica della contestazione dell’accertamento degli omessi versamenti (Cass. sez. III, 17
ottobre 2013-22 gennaio 2014 n. 2859; Cass. sez. III, 16 ottobre 2013 n. 45304; Cass. sez.
III, 14 febbraio 2007 n. 26054; Cass. sez. III, 22 febbraio 2005 n. 9518), essendo sufficiente,
appunto,

“l’effettiva e sicura conoscenza da parte del contravventore dell’accertamento

previdenziale svolto nei suoi confronti, a prescindere dall’impiego di particolari formalità per la
relativa notifica” (così, da ultimo, Cass. sez. III, 6 novembre 2013-22 gennaio 2014 n. 2875) “la effettiva conoscenza della contestazione dell’inadempimento

contributivo può essere desunta dalla esatta indicazione del destinatario e dall’indirizzo di
recapito sulla raccomandata inviata al contravventore, sicchè è irrilevante la impossibilità di
risalire alla identità del consegnatario del plico in mancanza di concreti e specifici dati obiettivi
idonei a dimostrare che la comunicazione non sia stata portata a conoscenza del destinatario
senza sua colpa” (Cass. sez. III, 8 aprile 2014 n. 19457); e addirittura “devono ritenersi
idonee le notificazioni ricevute con firma illeggibile e senza indicazione della qualità del
ricevente, purchè correttamente indirizzate al destinatario ” (così la già citata Cass. sez. III, 17
ottobre 2013-22 gennaio 2014 n. 2859).
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza,
con conseguente condanna della ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle
spese del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte
costituzionale emessa in data 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di
ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via
equitativa, di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di €1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 19 maggio 2015

Il Presidente

chiarisce altresì che

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA