Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2618 del 06/11/2013
Penale Sent. Sez. 3 Num. 2618 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ORILIA LORENZO
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DANIELI DANIELE N. IL 16/03/1947
avverso la sentenza n. 3316/2012 TRIBUNALE di ROMclel
05/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LORENZO ORILIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
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( Rk 1 "- Udito, per la parte civile, l'Avv
Udit i difensor Avv. Itne) 7, tk Data Udienza: 06/11/2013 RITENUTO IN FATTO
A seguito di citazione diretta a giudizio, il Tribunale di Roma con sentenza
5.2.2013 - per quanto ancora interessa - ha condannato Danieli Daniele alla pena di C.
300 di ammenda ritenendolo responsabile "del reato p. e p. dall'art. 674 cp per avere
gettato dal proprio terrazzo rifiuti di vario genere (tovaglioli di carta, scatole di
medicinali, pomodori etc.) che andavano ad imbrattare il giardino della sig.ra Gallo
Chiara. Acc. in Roma fino al 28.1.2009". Per l'annullamento della sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Col primo motivo denunzia la violazione dell'art. 552 comma 1 lett. c) cpp
per nullità del decreto di citazione a giudizio e la nullità del capo di imputazione.
Deduce la genericità quanto alla enunciazione del fatto e al tempo di commissione dei
reati. Lamenta la genericità dei fatti e la mancanza di indicazioni delle date, non
essendo sufficiente l'indicazione del solo termine finale (coincidente con la data della
querela) senza alcuna precisazione circa il termine iniziale.
Il motivo è infondato.
Tra i vari casi di nullità del decreto di citazione diretta a giudizio la legge
prevede la mancanza o l'insufficiente indicazione di uno dei requisiti previsti dalle
lettere, c,d,e ed f del comma1. La lettera c) a cui espressamente si riferisce l'imputato,
riguarda "l'enunciazione del fatto, in forma chiara e precisa, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza,
con l'indicazione dei relativi articoli di legge". La ratio della disposizione, che riproduce esattamente l'art. 429 comma 1 lett.
c) cpp, è quella di assicurare il concreto esercizio del diritto di difesa (tra le varie, cfr.
Sez. 4, Sentenza n. 24668 del 21/04/2004 Cc. dep. 31/05/2004 Rv. 228793).
Ebbene, come si evince dalla lettura del capo di imputazione (integralmente
riportato in narrativa/ il fatto addebitato appare specificamente e puntualmente
indicato e quindi nessun pregiudizio alla attività difensiva si rileva.
2. Col secondo motivo il ricorrente denunzia l'inosservanza degli artt. 409 e ss e
414 cpp in relazione alla riapertura delle indagini dopo il provvedimento di
archiviazione. Rileva in particolare che il Tribunale non ha tenuto conto di una
pregressa archiviazione per gli stessi fatti già denunziati con una precedente querela,
procedendo in tal modo ad un nuovo giudizio.
La censura è inammissibile per difetto di specificità (artt. 581 lett. c e 591 lett.
c cpp). Il motivo di impugnazione infatti deve contenere, a pena di inammissibilità,
l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono
ogni richiesta. 2 difensore dell'imputato deducendo sei motivi. Nel caso di specie, il ricorso si limita a rilevare che "alcuni dei fatti per i quali il
Danieli ha subito il processo erano stati oggetto di precedente atto di querela...." senza
neppure specificare quale fosse il contenuto di questi fatti. In ogni caso, la riapertura
delle indagini è prevista dall'art. 414 cpp.
3. Col terzo motivo denunzia l'illogicità e contraddittorietà della motivazione in
ordine alla valutazione della prova rimproverando al giudice di merito di non avere
dato alcun rilievo agli elementi probatori forniti dalla difesa. Rileva inoltre che nessuno Polizia non ha riscontrato la presenza di oggetti nel giardino sottostante.
Il motivo è infondato.
Il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla
coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo
logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. cass. sez. terza 19.3.2009 n.
12110; cass. 6.6.06 n. 23528). Ancora, l'illogicità della motivazione per essere
apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da
risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere
limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze
e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente
confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano
spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (cass. Sez. 3,
Sentenza n. 35397 del 20/06/2007 Ud. dep. 24/09/2007; Cassazione Sezioni Unite n.
24/1999, 24.11.1999, Spina, RV. 214794).
Venendo alla fattispecie oggetto del presente giudizio, il Tribunale ha fondato il
proprio giudizio di colpevolezza in ordine al reato di cui all'art. 674 cp sulla
testimonianza resa dalla vicina Asael Raya e sulle fotografie versate in atti ritenendo
che non vi fossero dubbi sul fatto che l'imputato fosse l'autore della condotta che ben
si inserisce nel complessivo atteggiamento persecutorio posto in esser in quel periodo
nei confronti della Gallo.
Trattasi di motivazione certamente succinta, ma priva di salti logici e come tale
inattaccabile dalla critica del ricorrente, che invece si risolve in una lunga censura di
natura fattuale tendente a riproporre una diversa chiave di lettura delle risultanze
processuali, attività, questa, non consentita nel giudizio di legittimità.
4. Col quarto motivo denunzia l'inosservanza dell'art. 674 e 125 cpp cp nonchè
il difetto di motivazione in ordine alla pena e l' abnormità del provvedimento, dolendosi
dell'applicazione della pena nella misura di €. 300 di ammenda, superiore al massimo
edittale fissato in €. 206,00.
Questo motivo è invece fondato. 3 dei testi della parte offesa ha mai visto l'imputato mentre gettava gli oggetti e che la La pena pecuniaria massima prevista per il reato di getto pericoloso di cose è
quella di €. 206,00 di ammenda, sicché è palese la violazione di legge in cui è incorso il
Tribunale, laddove ha applicato l'ammenda nella misura illegale di €. 300,00.
Consegue l'annullamento della sentenza con rinvio per la determinazione della
pena, restando logicamente assorbito l'esame del quinto e sesto motivo di ricorso con i
quali il ricorrente, sempre in ordine al trattamento sanzionatorio, si duole,
rispettivamente, della mancata applicazione del minimo della pena e della mancata P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Roma limitatamente alla
quantificazione della pena. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 6.11.2013. concessione delle attenuanti generiche senza alcuna motivazione.