Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26172 del 13/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 26172 Anno 2015
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LO MONACO GIANLUCA N. IL 09/01/1973
LO MONACO ANGELA N. IL 01/02/1972
SAVONA ELENA N. IL 13/11/1940
MALFITANO CALOGERO N. IL 26/09/1967
avverso la sentenza n. 392/2013 CORTE APPELLO di PALERMO, del
22/10/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per et
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U o, per la parte civile, l’Avv
Uditi ifdifensor Avv.
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Data Udienza: 13/05/2015

RITENUTO IN FATTO
La Code di Appello di Palermo pronunciando nei confronti degli odierni ricorrenti LO MONACO GIANLUCA, LO MONACO ANGELA, SAVONA ELENA e MALFITANO CALOGERO, con sentenza del 22.10.2014, confermava la sentenza del
Tribunale di Agrigento, sezione distaccata di Licata, emessa in data 29.10.2012
con condanna al pagamento delle ulteriori spese processuali.
Il Tribunale di Agrigento, sezione distaccata di Licata, giudicava Lo Monaco Gianluca, Lo Monaco Angela, Savone Elena e Malfitano Calogero per i seguenti

a) per il reato p. e p. dagli artt. 110 c.p. e 44 lett. b) D.P.R. del 6 giugno
2001 nr. 380 perché, in concorso tra loro, quale Direttore dei lavori, comproprietario e committenti dei lavori Lo Monaco Angela e Savone Elena, quale rappresentante legale della ditta COIM srl esecutore dei lavori Malfitano Calogero, in via
Mazzini 59 del comune di Licata, in sopraelevazione ad un preesistente immobile
sito a piano terra, distinto in catasto nel foglio di mappa nr 106 part. 449, sub12-3-5 e part. 741, in difformità essenziale al progetto presentato con D.I.A., registrata al protocollo comunale n. 37264 del 03.09.2007 e successiva variante,
in quanto non è stato realizzato l’adeguamento strutturale al piano terra, realizzavano le seguenti opere:
• manufatto al primo piano di m 296 circa, con struttura portante in pilastri e travi in c.a., solaio in latero cemento e tompagnatura in forati laterizi;
• manufatto al secondo piano di mq 220 circa, con struttura portante in
pilastri e travi in c.a., solaio in latero cemento e tompagnatura in foratoni laterizi;
• muri perimetrali in foratoni laterizi sul solaio di copertura del secondo
piano;
• veranda coperta, a livello del piano terra, di mq 56 circa, con struttura
portante in pilastri e solaio in latero cemento;
• variazione della struttura costruttiva del tetto di copertura, da struttura
in c.a. in struttura in legno con variazione delle falde; fatto accertato in Licata, il
10.02.2010;
b) per il reato p. e p. dagli artt. 110 – 61 n. 2) c.p., 64 e 71 D.P.R. del 6
giugno 2001 nr. 380 perché, in concorso tra loro, al fine di commettere il reato
dì cui al capo a) che precede, con la condotta ivi descritta, realizzavano le opere
edilizie in conglomerato cementizio armato senza la predisposizione di un progetto esecutivo e la direzione di un tecnico abilitato; fatto accertato in Licata, il
10.02.2010;
c) per il reato p. e p. dagli artt. 110 – 61 n. 2) c.p., 65 e 72 D.P.R. del 6
giugno 2001 nr. 380 perché, in concorso tra loro, al fine di commettere il reato

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reati:

A

di cui al capo a) che precede, con la condotta ivi descritta, realizzavano le opere
edilizie in conglomerato cementizio armato omettendo di farne denuncia alle
competenti Autorità; fatto accertato in Licata, il 10.02.2010;
d) per il reato p. e p. dagli artt. 110 – 61 n. 2) c.p., 93 e 95 D.P.R. del 6
giugno 2001 nr. 380 perché, in concorso tra loro, al fine di commettere il reato
di cui al capo a) che precede, con la condotta ivi descritta, realizzavano le opere
edilizie in zona sismica omettendo di dare preventivo avviso alle competenti Autorità; fatto accertato in Licata, il 10.02.2010;

giugno 2001 nr. 380 perché, in concorso tra loro, al fine di commettere il reato
di cui al capo a) che precede, con la condotta ivi descritta, realizzavano le opere
edilizie in zona sismica in assenza della prescritta autorìzzazione del competente
ufficio del Genio Civile; fatto accertato in Licata, il 10.02.2010.
Gli imputati, venivano dichiarati responsabili del reato ascritto al capo A)
e concesse le circostanze attenuanti generiche, venivano condannati alla pena di
4 mesi di arresto ed C 12.000,00 di ammenda ciascuno, nonché al pagamento
delle spese processuali; con dissequestro e restituzione agli aventi diritto
dell’opera in sequestro al passaggio in giudicato della sentenza, con sospensione
della pena nei termini e alle condizioni di legge e con ordine di demolizione
dell’opera abusiva; nel contempo gli imputati erano assolti dai reati ascritti ai capi B), C), D) ed E) perché il fatto non sussiste.

2. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione,
personalmente, con unico atto, Lo Monaco Gianluca, Lo Monaco Angela e Savona Elena e, a mezzo del proprio difensore di fiducia, con proprio atto, Malfitano
Calogero, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod.
proc. pen.:

Lo Monaco Gianluca, Lo Monaco Angela e Savona Elena deducevano:

a. Violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art.
44 DPR 380/01 lett. b) e 157 e ss. cod. pen., inosservanza ed erronea applicazione di norme penali e processuali – omessa – illogica e/o contraddittoria motivazione emergente dal testo della sentenza.
La sentenza avrebbe dato una distorta interpretazione dell’art. 44 DPR
380/01, rendendo una motivazione illogica e contraddittoria.
La Corte di Appello avrebbe desunto la circostanza che i lavori fossero in
corso dal fatto che i due piani in sopraelevazione fossero ancora allo stato grezzo, privi di infissi e circondati da un ponteggio.

e) per il reato p. e p. dagli artt. 110 – 61 n. 2) c.p., 94 e 95 D.P.R. del 6

I ricorrenti rilevano, invece, che i lavori sarebbero stati sospesi volontariamente, nel mese di settembre 2008. Pertanto il reato sarebbe stato prescritto a
far data dalla sentenza di primo grado.
b. Violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art.
110 cod. pen., inosservanza ed erronea applicazione di norme penali e processuali, omessa, illogica e/o contraddittoria motivazione emergente dal testo della
sentenza.
La Corte di appello avrebbe confermato il giudizio di colpevolezza del Tribu-

Non vi sarebbe stata un’adeguata valutazione dell’elemento psicologico del
reato. Tale accertamento sarebbe stato fondamentale in quanto, nel caso di specie, non vi sarebbe stato un omesso adeguamento al permesso di costruire, ma
un oggettivo impedimento ad adeguarsi alle prescrizioni del Genio Civile.
Tale impedimento non sarebbe dipeso dalla volontà degli imputati, ma da situazioni contingenti portate a conoscenza dell’Ufficio, che si sarebbe limitato a
rigettare il progetto senza nemmeno darne comunicazione agli istanti.
Ancora, la sussistenza della responsabilità penale dei ricorrenti, sarebbe stata desunta dall’avvenuta firma del progetto e della DIA, che i giudici hanno ritenuto equivalente alla consapevolezza, nonché alla volontà di violare il precetto
urbanistico contestato.
I ricorrenti precisano che Lo Monaco Angela e Savona Elena, essendo residenti altrove, per motivi di lavoro, avrebbero solo firmato il progetto e la DIA ma
non si sarebbero occupate della costruzione.
c. Violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 44
DPR 380/01 lett. b) ed e), inosservanza ed erronea applicazione di norme penali
e/ altre norme giuridiche – omessa – illogica eio contraddittoria motivazione
emergente dal testo della sentenza.
L’illecito sarebbe stato accertato nel 2010, in quanto non sarebbe stato riscontrato l’adeguamento sismico del manufatto avendo avuto le opere inizio con
regolare DIA del 30.9.2007, nonché con permesso a costruire contenete le prescrizioni di adeguamento sismico e successiva DIA del 14.9.2009, in variante, riguardante solo la copertura.
Il mancato adeguamento non sarebbe dipeso da circostanze imputabili ai
committenti, in quanto gli stessi: avrebbero presentato l’adeguamento al genio
Civile, che, in data 25.3.2011 e 12.4.2011, emetteva parere favorevole, dopo
aver ricevuto dal comune parere favorevole per la sanabilità; avrebbero pagato
gli oneri della sanatoria; avrebbero richiesto di utilizzare profilati di diverse dimensioni essendo introvabili quelli prescritti; avrebbero comunicato che il pro-

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nale senza vagliare i motivi del gravame.

getto di adeguamento presupponeva staffature che avrebbero indebolito la struttura
Pertanto, il mancato adeguamento sarebbe addebitabile al comportamento
omissivo del genio
Chiedono, quindi, l’annullamento della sentenza impugnata con ogni altra
consequenziale statuizione di legge.

Malfitano Calogero deduce, dopo aver ricostruito i fatti di causa e l’intero

a. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 44 lett. b) DPR 380/01, dell’art.
14 L.R- Sicilia 2/02 in relazione all’art. 1, co. 6,7,8,9,10 della L443/01 e dell’art.
22 co. 3 DPR 380/01 in relazione all’art. 10 co. 1 lett. c) stesso DPR.
La Corte di Appello avrebbe ritenuto la responsabilità del ricorrente per motivi giuridicamente e sostanzialmente diversi da quelli considerati dal Tribunale a
sostegno della condanna.
Avrebbe ritenuto, infatti, la DIA, titolo inidoneo all’esecuzione delle opere di
sopraelevazione, sull’assunto che comportando le stesse una modifica della sagoma e della cubatura dell’edificio, avrebbero richiesto il premesso di costruire.
Tale convincimento sarebbe errato.
In forza della legge regionale, infatti, le opere potevano essere realizzate attraverso lo strumento della DIA, che la Regione Sicilia prevede come strumento
alternativo al permesso di costruire.
Le opere realizzate sarebbero state assolutamente regolari e rispondenti a
legge.
Da ciò discenderebbe la mancata integrazione del reato contestato e
l’insussistenza del profilo soggettivo, quantomeno di colpa che avrebbe permeato
la condotta del Malfitano.
b. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 192/1, 546/1 lett. e), mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Il motivo principale del gravame proposto avverso la sentenza di primo grado era rappresentato dall’inconfigurabilità di un onere di controllo e verifica da
parte del Malfitano delle opere di consolidamento del piano terra, eseguite da altri, trattandosi di opere non apparenti né verificabili in concreto, risalenti ad epoca anteriore.
La Corte territoriale avrebbe completamente pretermesso l’esame del motivo, senza esprimere qualsiasi enunciazione delle ragioni per cui avrebbe ritenuto
inattendibili le plurime prove a discarico acquisite nel corso del dibattimento di
primo grado.

iter del giudizio:

La motivazione sul punto sarebbe mancante e assolutamente illogica e contraddittoria.
c. Inosservanza e/o erronea applicazione del disposto di cui agli artt.
157/161 cod. pen., in riferimento all’art. 606/1 lett. b) cod. proc. pen.
In via subordinata, il ricorrente impugna la sentenza per avvenuta prescrizione del reato.
Per quanto attiene la posizione del ricorrente, la cui condotta non può porsi
in continuazione rispetto alle opere precedentemente poste in essere da terzi, a

Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, subordinatamente dichiararsi l’intervenuta prescrizione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Tutti i motivi sopra illustrati sono manifestamente infondati e pertanto
entrambi i proposti ricorsi vanno dichiarati inammissibili.

2.

Il primo ricorso, degli imputati Lo Monaco Gianluca, Lo Monaco Angela e

Savona Elena, ancorché si deducano vizi motivazionali e/o violazioni di legge,
tende, in realtà, ad ottenere un riesame dei fatti precluso in questa sede.
Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della
motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la
oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le
varie, cfr. vedasí questa sez. 3, n. 12110 del 19.3.2009 n. 12110 e n. 23528 del
6.6.2006).
Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicità della motivazione per
essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i, dovendo il sindacato di legittimità al
riguardo essere limitato a rilievi dì macroscopica evidenza, restando ininfluenti le
minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del
convincimento (sez. 3, n. 35397 del 20.6.2007; Sez. Unite n. 24 del 24.11.1999,
Spina, rv. 214794).
Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall’art. 606
c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene
né alla ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del giudice di merito, ma è
circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti

lui non riferibili, il dies a quo della causa estintiva decorre al 6.6.2008.

che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della
motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (sez. 2, n. 21644 del 13.2.2013,
sadagliacca e altri, rv. 255542)
Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto.
Non c’è, in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilità di

ciò anche alla luce del vigente testo dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc.
pen. come modificato dalla I. 20.2.2006 n. 46.
Il giudice dì legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei
fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi
di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
Il ricorrente non può, come nel caso che ci occupa limitarsi a fornire una
versione alternativa del fatto, senza indicare specificamente quale sia il punto
della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta.
Com’è stato rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte la
sentenza deve essere logica “rispetto a sé stessa”, cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da
“altri atti del processo”, purché specificamente indicati nei motivi di gravame,
non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice
della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto.

3. Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa
Suprema Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato
si palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d’Appello di Palermo alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva.
I giudici del gravame di merito con motivazione specifica, coerente e logica
hanno, infatti, dato conto dell’aumento di volumetria, che rendeva impossibile
che le opere potessero essere realizzate con una semplice D.I.A..
Viene correttamente ricordato, in sentenza, che la denuncia di inizio di attività, in forza della quale è stata effettuata la sopraelevazione di due piani dell’edificio originariamente composto dal solo piano terra, è titolo idoneo a legittimai’
re solo un’attività edilizia che non incida su é parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modifichi la destinazione d’uso e la categoria edilizia, che non
7

andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E

alteri la sagoma dell’edificio e che non violi le prescrizioni eventualmente contenute nel permesso a costruire (corretto è in tal senso il richiamo al precedente di
cui alla sentenza 24236/2010 di questa sez. 3).
Nel caso che ci occupa l’attività edificatoria – come si dà conto in motivazione- è consistita, invece, nella sopraelevazione dell’originario edificio di due
piani, derivandone un imponente aumento della volumetria dell’edificio e uno
stravolgimento della sagoma del medesimo, sicché il titolo abilitativo indicato
nell’imputazione appare dei tutto inidoneo a rendere lecita l’attività edilizia in di-

Anche quanto all’attribuibilità della condotta illecita agli odierni ricorrenti la
Corte territoriale ha fornito una motivazione logica e congrua, laddove ha ricordato che emerge ex actis che le d.i.a. del 3 settembre 2007 e del 14 settembre
2009 (quest’ultima in variante), in forza delle quali è stata posta in essere l’attività edilizia abusiva in discorso, sono state sottoscritte dai tre comproprietari Lo
Monaco Angela, Savona Elena e Lo Monaco Gianluca (quest’ultimo ha sottoscritto
anche in qualità di direttore dei lavori), ciò a dimostrazione del diretto e fattivo
interesse degli stessi alla realizzazione delle opere in parola.
E’ stata posta in essere un’imponente attività edificatoria per la quale sarebbe stato necessario il rilascio di permesso per costruire e sarebbe perciò illogico che ciò fosse avvenuto a loro insaputa.
La Corte territoriale dà anche conto che, a tenore delle foto in atti,deve ritenersi che al momento dell’accertamento del reato (febbraio 2010) i lavori abusivi fossero ancora in corso, ciò che è agevolmente desumibile dal fatto che le
dette fotografie mostrano i due piani in sopraelevazione ancora allo stato grezzo,
privi di infissi e circondati da un ponteggio.
Da ciò è evidente che alla data del 22.10.2014 in cui è intervenuta la sentenza di secondo grado (tenuto conto anche delle sospensioni della prescrizione
per i rinvii determinati da impedimento del difensore alle udienze del 19.4.2012
e del 25.6.2014)11 termine massimo quinquennale di prescrizione non era ancora
maturato.
Né può porsi in questa sede la questione di un’eventuale declaratoria della
prescrizione maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso.
La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito
che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e
preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità
a norma dell’art. 129 cod. proc. pen ( Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De
Luca, rv. 217266: nella specie la prescrizione del reato era maturata successi8

scorso.

vamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. un., 2 marzo
2005, n. 23428, Bracale, rv. 231164, e Sez. un., 28 febbraio 2008, n. 19601,
Niccoli, rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 dell’8.5.2013, rv. 256463).

4. Quanto al ricorso del Malfitano, lo stesso è manifestamente inammissibile, in quanto il difensore ricorrente, si è nella sostanza limitato a riprodurre le
stesse questioni già devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata che il ricorrente

E’ ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte, infatti, come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione
fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute
infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici.
La mancanza dì specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per
la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di
correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste
a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecìficità che
conduce, a norma dell’art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso sez. 2, n. 29108 del 15.7.2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. sez. 5, n. 28011 del 15.2.2013, Sammarco, rv.
255568; sez. 4, n. 18826 del 9.2.2012, Pezzo, rv. 253849; sez. 2, n. 19951 del
15.5.2008, Lo Piccolo, rv. 240109; sez. 4, n. 34270 del 3.7.2007, Scicchitano,
rv. 236945; sez. 1, n. 39598 del 30.9.2004, Burzotta, rv. 230634; sez. 4, n.
15497 del 22.2.2002, Palma, rv. 221693).
Ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità
delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore
logico o giuridico determinato (sez. 3, n. 44882 del 18.7.2014, Cariolo e altri, rv.
260608).
La Corte territoriale ha confutato, con motivazione logica e congrua, le doglianze già proposte in quella sede dal Malfitano, secondo cui egli sarebbe stato
incaricato esclusivamente della realizzazione dei lavori di sopraelevazione del
primo e del secondo piano dell’edificio, nonché della realizzazione della copertura, con esclusione di ogni opera di adeguamento delle fondazioni dell’edificio rispetto alla commessa attività di sopraelevazione.

9

non ha in alcun modo sottoposto ad autonoma e argomentata confutazione.

Condivisibilmente i giudici del gravame dei merito hanno ritenuto non accogliibile la tesi che l’imputato non avrebbe avuto l’onere di verificare la correttezza dei lavori di adeguamento delle fondazioni dell’edificio, eseguiti da altra
impresa. Ciò, soprattutto, alla luce del fatto che la DIA era inidonea proprio rispetto all’imponente attività di sopraelevazione e di aumento di cubatura dell’edificio posta in essere.
In altri termini, l’attività abusiva nella specie è consistita proprio nell’esecuzione delle due sopraelevazioni – materialmente realizzate dall’impresa facente

costruire). E l’assenza di un permesso per costruire, a fronte di un’attività edificatoria di imponente consistenza, ha portato coerentemente i giudici del merito a
induce a ritenere la sussistenza in capo al Malfitano – esecutore materiale delle
opere – dell’elemento soggettivo (quantomeno della colpa) del reato contestato;
costui, invero, ben si sarebbe potuto render conto del conclamato carattere abusivo di un’attività edificatoria di consistenza davvero rilevante, in totale assenza
del permesso per costruire.
Evidentemente poi, manifestamente infondata è la richiesta valutazione di
un diverso dies a quo della prescrizione laddove proprio le sopraelevazioni erano
ancora al grezzo.

5. Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen,
non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna delle parti ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento
della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di C 1000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma il 13 maggio 2015
Il

i

sigliere tensore

Il Presidente

capo al Malfitano – in totale assenza di un titolo abilitativo idoneo (permesso per

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