Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26170 del 13/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 26170 Anno 2015
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI CROTONE
nei confronti di:
GIRASOLE GIUSEPPE N. IL 10/01/1962
avverso la sentenza n. 2225/2013 TRIBUNALE di CROTONE, del
17/12/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. -G)o_c2o eckm.s240.;
che ha concluso per
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e6Prai2Al2.0–

Udito, p a parte civile, l’Avv

Data Udienza: 13/05/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Crotone, pronunciando nei confronti di GIRASOLE GIUSEPPE, con sentenza del 17.12.2014, lo assolveva, perché il fatto non sussiste,
dall’imputazione del delitto di cui all’art. 2 co. 1 bis D.L. n. 463 del 1983, conv.
in L. 638/1983, perché ometteva di versare presso la sede provinciale dell’INPS,
entro il termine prescritto dalla legge, le ritenute previdenziali ed assistenziali
operate sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori dipendenti relativamente ai periodi: dicembre 2007, per un ammontare di C 560,00; maggio 2009, per un am-

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, per
saltum, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Crotone, deducendo
i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione,
come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
• Violazione ed erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale ex art. 606,
co. 1, lett. b) c.p.p. in relazione al disposto dell’art. 2, co. 2, lett. c) della legge
nr. 67 del 28.04.2014 (Delega al Governo per la Riforma della disciplina sanzíonatorie).
Il Tribunale avrebbe escluso la colpevolezza dell’imputato, in quanto la condotta dello stesso non avrebbe integrato la soglia di necessaria offensività del
reato stabilita dall’articolo 2, legge n. 67 del 2014, attribuendo alla norma giuridica contenuta nella legge delega indicata — nelle more dell’emanazione del relativo decreto — effetti immediatamente precettivi nell’ambito della fattispecie
incriminatrice per cui si procedeva, sulla scorta di una formulazione dettagliata
dei principi e dei criteri direttivi in essa contenuti.
In realtà, il legislatore delegava al governo la disciplina sanzionatoria della
fattispecie incriminatrice di cui all’art. 2, co. 1— bis decreto legislativo nr.
463/1983, convertito in legge nr. 638/1983, indicando in sostanza due criteri direttivi. In primo luogo, la previsione di una soglia — stabilita dal legislatore delegante in euro 10.000,00 annui — al di sotto della quale l’attuale fattispecie di
reato assumerà natura di illecito amministrativo. In secondo luogo, il legislatore
delegato evidenziava la non punibilità, a prescindere dalla predetta soglia, del
datore dì lavoro che provvede al versamento delle ritenute non versate entro il
termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notificazione dell’avvenuto accertamento della violazione.
Ebbene, con riferimento al primo criterio direttivo richiamato, il giudice, richiamando la decisione della Corte Costituzionale nr. 224 del 1990, riteneva “ragionevole desumere, sul piano esegetico, che il contenuto di delega della legge

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montare di C 208,00.

nr. 67 del 2014, se certamente non ha provveduto ad una formale depenalizzazione dell’art. 2 decreto legislativo 463/1983, possiede tuttavia l’attitudine ad
orientarne l’interpretazione e, più in particolare, ad integrarne il contenuto precettìvo dal punto dì vista dell’elemento costitutivo del reato della necessaria offensività al bene giuridico protetto (o, anche, della soglia di punibilità della condotta), dovendosi ritenere, secondo una valutazione legale tipica, la non punibilità delle condotte al di sotto del parametro dei 10.000,00 euro annui evasi.”
Il ricorrente rileva che la sentenza richiamata non risulta conferente al caso

pronunciata in merito ad un’eccezione di inammissibilità formulata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri sul ricorso promosso dalla Provincia Autonoma di
Bolzano in merito alla legittimità costituzionale degli arti. 1, primo comma, 3 e 7
della legge 10 ottobre 1989, n. 349, contenente una delega al Governo ad adottare norme volte, fra l’altro, alla riorganizzazione dell’amministrazione delle dogane e delle imposte indirette.
La Consulta nella menzionata sentenza nr. 224/90 riconosceva la legittimazione attiva di una Regione ad impugnare direttamente la legge delega che disciplinava una materia incidente in modo diretto su una posizione giuridica soggettiva dell’ente territoriale, ritenendola attuale e non meramente potenziale nelle
more dell’adozione dei decreti delegati.
In particolare, la Presidenza del Consiglio dei Ministri contestava la carenza
sotto il profilo della legittimazione attiva dell’Ente territoriale a poter fondatamente lamentare una lesione concreta ed attuale delle sue competenze costituzionali e che potesse quindi avere un interesse al giudizio di legittimità costituzionale prima dell’adozione dei decreti delegati. Ciò sul presupposto, che la legge
di delegazione dovesse essere configurata come un atto preliminare o preparatorio della concreta disciplina legislativa successivamente posta dal decreto delegato e quindi concepita come un atto regolante esclusivamente i rapporti (interni)
tra Parlamento e Governo.
Nel caso che qui interessa, al contrario, richiamando il citato arresto giurisprudenziale si vuole riconoscere un’efficacia diretta della legge delega ad incidere sul sistema sanzionatorio previsto dall’ordinamento giuridico, depenalizzando
una serie di ipotesi di reato, che, allo stato, e salvo l’adozione dei decreti esecutivi, è tuttora prevista come reato, limitandosi la legge 28 aprile 2014, numero
67 a stabilire una delega al governo in materia di pene detentive non carcerarie,
perciò non apportando in nessun modo modifiche alla figura di reato in oggetto
(essendo tale funzione affidata alla futura decretazione delegata), (da ultimo,
Cass. pen, nr. 38080 del 31.07.2014).

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in esame. Ed invero, la Corte Costituzionale nella sentenza nr. 224/90 si sarebbe

Secondo il PM ricorrente, pertanto, il richiamato decisurn del giudice delle
leggi non risulta conferente al caso di specie laddove, con la sentenza impugnata
in riferimento alla novella del 2014, si deduce la sua presunta natura idonea ad
esplicare i suoi effetti in assenza dei relativi decreti legislativi, sulla base di una
valutazione esclusivamente offerta dall’organo giudicante che la ritiene idonea ad
incidere in maniera diretta nell’ambito della fattispecie incriminatrice per cui si
procede.
Di fatto con le motivazioni addotte nella sentenza impugnata, il giudice di

tivo delegato a determinare le concrete modalità di esecuzione di principi e criteri direttivi espressi nella legge delega, concretizzandosi un’ipotesi di eccesso di
potere censurabile anche ex art. 606, co. 1, cod. proc. pen.
Parimenti del tutto errate sarebbero le conclusioni del giudicante nel ritenere che la legge nr. 67 del 2014 possegga l’attitudine ad orientarne l’interpretazione e, più in particolare, ad integrarne il contenuto precettivo dal punto dì vista
dell’elemento costitutivo del reato della necessaria offensività al bene giuridico
protetto, dovendosi ritenere la non punibilità delle condotte al di sotto del parametro di € 10.000,00 annui evasi.
Vi sarebbe stato un evidente errore applicativo, da parte del giudice,
dell’art. 2 della legge delega nr. 67/14, attribuendo natura di elemento costitutivo del reato al predetto criterio direttivo enunciato dai legislatore delegante.
Il ricorrente richiama l’arresto di questa Corte di cui alla sentenza
38080/2014 in cui si è precisato essere la fattispecie in esame tuttora prevista
come reato, limitandosi la L. 28 aprile 2014, n. 67 – richiamata dal ricorrente – a
stabilire una delega al governo, perciò non apportando in nessun modo modifiche alla figura di reato in oggetto (essendo tale funzione affidata alla futura decretazione delegata).
Nella richiamata giurisprudenza, sarebbe stata affermata, senza margine di
dubbio, la vigenza nell’attuale ordinamento giuridico della fattispecie di reato di
cui all’art. 2, co. 1 — bis, D.L. nr. 463/83, conv. in L. nr. 638/83 per come prevista nella formulazione originaria, limitandosi la novella del 2014 a conferire all’esecutivo una delega in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma dei
sistema sanzionatorio che, fungi dall’avere cogenza diretta sulla disciplina sanzionatoria della fattispecie di reato in argomento, non ha portato allo stato in
nessun modo modifiche al reato in oggetto, in quanto tale funzione è affidata,
appunto, dal legislatore alla futura decretazione delegata che interverrà secondo
i criteri direttivi ed i prìncipi contenuti nella legge delega.
Pertanto, chiede, l’annullamento della sentenza impugnata, adottando le
conseguenti statuizioni di legge;
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merito, addiverrebbe ad una sostituzione dell’organo giudicante al potere esecu-

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato a va accolto.

2. Questa Corte ha già precisato con la sentenza della Sezione Feriale n.
38080 del 31.7.2014, Napoli, non mass. – e vuole qui ribadire – che il reato di
cui all’imputazione ad oggi non è affatto depenalizzato.
Come ricorda lo stesso ricorrente, con la legge n. 67/2014, il Parlamento ha

della disciplina sanzionatoria di taluni reati e per la contestuale introduzione di
sanzioni amministrative e civili.
Effettivamente, dunque, l’articolo 2, comma 2 lettera c) della delega ha
previsto la trasformazione in illecito amministrativo del reato di omesso versamento in questione a condizione che non ecceda il limite complessivo di 10.000
euro annui e preservando comunque la possibilità per il datore di lavoro di non
rispondere neanche amministrativamente, se provvede al versamento entro il
predetto termine di tre mesi
Ma i decreti delegati devono essere emanati entro 18 mesi dall’entrata in
vigore della legge e, allorché interviene la presente decisione, sui punto, tale facoltà non è stata ancora esercitata.
Nel nostro ordinamento costituzionale, va ricordato, la legge delega (o
legge delegante o legge di delegazione) è atto di formazione che conferisce al
Governo la potestà di adottare decreti aventi valore di legge e che determina,
con riferimento all’art. 76 cost., l’ambito della competenza di volta in volta attribuita al Governo.
Trattasi -va sottolineato in altri termini- di una facoltà che ha l’Esecutivo,
non essendo peraltro raro, nelle dinamiche politiche, che la stessa non venga poi
esercitata entro il termine indicato.
Ne consegue – con ciò ritenendo il Collegio di dover ribadire il condivisibile dictum di cui alla citata sentenza 38080/2014 – che allo stato è pienamente
vigente, senza alcuna soglia di punibilità, l’articolo 2 I. 638/83 così come lo sono
tutte le altre norme interessate da modifiche o da depenalizzazione in base alla I.
67/2014, sulle quali potranno intervenire – se verranno emanati- i decreti legislativi di attuazione della stessa.

3. Va aggiunto che non appare corretto desumere, in una sorta di automatismo, come si fa nel provvedimento impugnato dal limite quantitativo dei
10.000 euro che, de iure condendo, costituirà la nuova soglia di punibilità per il
reato in esame, il limite di offensività della norma vigente.
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conferito delega al Governo di adottare uno o più decreti legislativi per la riforma

In tal senso, come rileva il PM ricorrente, non appare conferente con il caso in esame il richiamo alla sentenza 224/90 della Corte Costituzionale.
Nell’altra pronuncia del giudice delle leggi richiamata dal giudice (la sentenza n. 139 del 19.5.2014), invece, effettivamente sì richiama (in un giudizio in
quel caso relativo ad un omesso versamento di 24,00 euro) la precedente
giurisprudenza costituzionale di cui alla sentenza 333/1991 in cui si era già precisato che resta precipuo dovere del giudice di merito di apprezzare -«alla stregua del generale canone interpretativo offerto dal principio di necessaria of-

norma incriminatrice, sia, in concreto, palesemente priva di qualsiasi idoneità lesiva dei beni giuridici tutelati e si afferma che il legislatore ben potrà,
anche per deflazionare la giustizia penale, intervenire per disciplinare organicamente la materia, fermo restando il rispetto del citato principio di offensività che ha rilievo costituzionale.
Tuttavia, nella medesima sentenza 139/2014, richiamando il proprio precedente di cui all’ordinanza 206/2003, la Corte Costituzionale ricorda anche come il mancato adempimento dell’obbligo di versamento dei contributi previdenziali determina un rischio di pregiudizio del lavoro e dei lavoratori, la cui tutela
è assicurata da un complesso di disposizioni costituzionali contenute nei
principi fondamentali e nella parte I della Costituzione (artt. 1, 4, 35, 38
della Costituzione).
E’ noto, come ricorda anche il PM ricorrente che, normativamente, il principio di offensività è desumibile in via interpretativa dall’art. 49 comma 2 del codice penale, dal quale discende non soltanto l’obbligo per il legislatore di ricorrere alla sanzione penale solo quando vi sia la necessità di tutelare un bene giuridico ma anche il dovere del giudice di verificare se la fattispecie concreta non solo corrisponda a quella astratta, prevista dalla norma incriminatrice ma integri
altresì l’offesa (lesione o messa in pericolo) dell’interesse tutelato.
Tale impostazione si colloca nell’ambito della c.d. concezione realistica del
reato, secondo la quale esisterebbero dei fatti inoffensivi conformi al tipo.
Secondo tale indirizzo interpretativo, pertanto, senza la lesione o almeno
la messa in pericolo dello specifico interesse tutelato dalla norma incriminatrice,
il reato non sussiste.
Ciò significa che, nel nostro ordinamento, il requisito dell’offesa non è
considerato come necessariamente insito in un fatto che riproduca le note descrittive proprie di una figura criminosa, ma esprime l’esigenza che tale fatto, oltre a possedere i connotati formali tipici, si presenti, anche nel caso concreto, e
non unicamente in astratto, carico del significato in forza del quale è assunto
come fattispecie produttiva di conseguenze giuridiche.
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fensività della condotta concreta» -se essa, avuto riguardo alla ratio della

Viene correttamente ricordato che le Sezioni Unite di questa Corte nella
sentenza 12/1998 si sono richiamate al principio affermato dalla giurisprudenza
costituzionale secondo il quale ove la singola condotta sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio i beni giuridici tutelati, viene meno la riconducibilità
della fattispecie concreta a quella astratta poiché le indispensabili connotazioni di
offensività di quest’ultima, implicano, di riflesso, la necessità che anche in concreto l’offensività sia ravvisabile, almeno in grado minimo, nella singola condotta
dell’agente. In difetto di ciò la fattispecie verrebbe a refluire nella figura del reato

In questa prospettiva vengono ricordate in ricorso anche varie pronunce
di questa Corte di legittimità, ad es. la 12210/2007 in materia di reati di falso, la
8142/2006 di sostanze stupefacenti, la 9216/2005 per il peculato d’uso. Proprio
nel settore delle sostanze stupefacenti, ed in particolare con riferimento alla coltivazione di sostanza drogante, la giurisprudenza, anche costituzionale sì è più
volte pronunciata utilizzando il paradigma del principio di offensività (cfr. sez. 4,
n. 25674/2011; nello stesso senso Corte Cost. n. 360/1995 e n. 296/1996).

4. E’ pacifico, dunque, come anche nella giurisprudenza di questa Corte
Suprema si sia applicato il principio di offensività rispetto a fattispecie concrete,
laddove, stante una legge in vigore, il fatto storico presentava marginalissimi
profili di dannosità tanto da poter essere considerato penalmente neutro.
Tuttavia, come si diceva, non può ritenersi sussistente, come appare essere stato ritenuto nella sentenza impugnata, una sorta di inoffensività in astratto della condotta solo perché nei progetti del legislatore e, quindi in prospettiva
de iure condendo, è inserita una soglia di rilevanza quantitativa parametrata al
dato numerico dell’illecito.
Ciò in quanto le soglie quantitative costituiscono un elemento della fattispecie penale, il cui superamento, peraltro, deve essere coperto dal dolo ed altro
non rappresentano che tecniche selettive, sul piano oggettivo, che connotano il
fatto in termini di astratta modalità di lesione.
Nessun principio di offensività può, quindi, essere evocato nel caso in
esame e s’impone pertanto l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio,
trattandosi di ricorso per saltum, alla Corte di Appello di Catanzaro per nuovo
esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Catanzaro.
Così deciso in Roma il 13 maggio 2015
I

nsigliere tensore

Il Presidente

impossibile.

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